Rinnovato in peggio il Contratto collettivo nazionale per i lavoratori di Poste Italiane
Confermata la linea capitolazionista e cogestionaria di Cgil, Cisl e Uil
Aumento salariale insufficiente, passi indietro su assunzioni e ferie
Dal corrispondente dell’Organizzazione della provincia di Reggio Calabria del PMLI
Il 23 giugno scorso dopo mesi di “intenso confronto” è stato rinnovato il CCNL per i lavoratori di Poste Italiane valido per il triennio 2021/2023.
Il contratto scaduto il 31 dicembre del 2018, subito spacciato dalle 6 sigle sindacali firmatarie con in testa la Cisl come una “grande vittoria”, prevede sul piano economico un aumento salariale di 110 euro lordi di cui 90 riversati sui minimi tabellari e 20 euro sui ticket restaurant e un emolumento di 1.700 euro lordi totali da liquidare in un’unica soluzione con le competenze del mese di luglio; 900 euro a titolo di vacanza contrattuale relativa all’anno 2020 e 800 euro quale anticipazione sui miglioramenti contrattuali relativi all’anno 2021. In realtà si tratta di un accordo insufficiente per i lavoratori Poste e vantaggioso per l’azienda. Si è calcolato infatti che il risparmio sugli stipendi proprio grazie a questa manovra basata sul cosiddetto “Patto della fabbrica” che impone un conteggio del possibile aumento stipendiale su base Ipca e sul Tem, sarà di circa 150 milioni di euro.
Nessuna novità riguardo l’orario di lavoro che rimane pressoché invariato anche se nei mesi scorsi i sindacati avevano avanzato la proposta di superare la situazione di “turno fisso” riguardante svariate figure professionali col chiaro intento di assoggettare la vita personale e familiare alle logiche della flessibilità selvaggia e di asservimento all’azienda.
Le principali novità del nuovo CCNL riguardano ulteriori restrizioni al diritto di assemblea che non può essere indetta nei primi due giorni di pagamento pensioni per evitare disagi alla clientela, il ricorso sempre più frequente ai contratti di lavoro a tempo determinato e part-time e al “Lavoro agile” che in realtà impegna il lavoratore per l’arco dell’intera giornata senza un tempo reale di lavoro, diminuendo o annullando del tutto la partecipazione e il confronto con gli altri colleghi alienandone la partecipazione alla vita sociale e sindacale lavorativa.
Un peggioramento sostanziale, rispetto al contratto precedente, si registra anche sulla fruizione delle ferie necessarie a reintegrare le energie psico-fisiche del lavoratore. La società assicurava 2 settimane continuative di ferie nel periodo 15 giugno-15 settembre e su richiesta un’ulteriore settimana di ferie nel periodo 15 gennaio-15 aprile. Ora invece a gennaio si deve dare una programmazione di tutte le ferie per tutto l’anno, come se uno sapesse in anticipo quando è il momento di reintegrare le energie psico-fisiche o quando, per sopraggiunti impegni personali o familiari, ne ha bisogno.
Insomma, siamo di fronte a un CCNL che non fa di certo gli interessi dei lavoratori Poste che pur producendo l’intera ricchezza dell’azienda (l’anno scorso ha chiuso il bilancio con un utile di 1,2 miliardi di euro garantendo un aumento del 5% del dividendo sulle azioni), devono accontentarsi delle briciole accettando contratti al ribasso. Confermata la linea capitolazionista dei sindacati confederali Cgil, Cisl, Uil che muovendosi unitariamente sul piano della concertazione e della cogestione confermano il loro asservimento alle strategie di mercato padronali imposte dal sistema economico capitalista.
Quello che occorre, per noi marxisti-leninisti, è invece un unico grande sindacato fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali delle lavoratrici e dei lavoratori e delle pensionate e dei pensionati. Un sistema in cui i lavoratori e i pensionati discutono i problemi, mettono a confronto le idee, assumono le decisioni, approvano le piattaforme e gli accordi con voto palese, selezionano i loro rappresentanti più capaci e combattivi e li revocano non appena essi non riscuotono la fiducia dei lavoratori. Che va ben oltre un semplice sì o no su decisioni già prese.
21 luglio 2021