La riforma Draghi-Cartabia accentua il carattere classista della giustizia borghese
Ne beneficeranno gli imputati più ricchi
L'8 luglio scorso il ministro Cartabia ha portato in Consiglio dei Ministri, che ha approvato all'unanimità, il testo definitivo degli emendamenti governativi al disegno di legge recante “delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello
” (A.C. 2435) presentato il 13 marzo 2020 alla Camera dal predecessore della Cartabia, Alfonso Bonafede.
Degni di nota, nel testo, sono, relativamente al testo del disegno di legge Bonafede già depositato alla Camera, gli emendamenti all'articolo 14 in tema di prescrizione del reato e l'inserimento di due nuovi articoli, ossia il 14 bis in tema di improcedibilità per superamento dei termini di durata dei giudizi di impugnazione e il 9 bis in tema di giustizia riparativa.
Fondamentali, e strettamente correlati con l'introduzione dell'articolo 14 bis sopra descritto, sono anche gli emendamenti all'articolo 7 del disegno di legge Bonafede, che riguardano l'appello e di ricorso in Cassazione nel processo penale.
Per ciò che riguarda l'emendamento all'articolo 14, viene confermata la norma introdotta con la legge 9 gennaio 2019 n. 3 voluta da Alfonso Bonafede, in base alla quale il corso della prescrizione del reato si blocca con la sentenza penale di primo grado, sia essa di assoluzione o di condanna, tuttavia viene introdotto l'articolo 14 bis nel quale si stabilisce l'improcedibilità per superamento dei termini di durata dei giudizi di impugnazione, ossia appello e ricorso per cassazione, i cui termini massimi sono stabiliti dagli emendamenti all'articolo 7 che stabiliscono la durata massima del processo di appello in due anni e di quello in cassazione in un anno.
Si prevede che la mancata definizione del giudizio di appello e di cassazione entro il termine, rispettivamente, di due anni e di un anno costituiscano cause di improcedibilità dell’azione penale, con la conseguenza che i giudici di appello e di cassazione, una volta accertata la violazione di tale termine, dovranno necessariamente dichiarare di non doversi procedere, travolgendo così anche la sentenza impugnata, sia essa di condanna o di assoluzione.
I termini di durata dei giudizi di impugnazione possono essere prorogati per un periodo non superiore a un anno nel giudizio di appello e a sei mesi nel giudizio di legittimità in presenza di due condizioni, che devono essere entrambe presenti: la prima è che si tratti di reati, dettagliatamente elencati, di particolare gravità e la seconda è che i giudizi siano particolarmente complessi in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare.
La disciplina dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione non si applica ai delitti puniti con l’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.
Per ciò che riguarda la giustizia riparativa di cui all'articolo 9 bis, il progetto governativo prevede - nel rispetto della direttiva europea n. 2012/29 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e dei principi sanciti a livello internazionale - una disciplina organica della giustizia riparativa nel contesto della quale si vuole dare ulteriore potenziamento alla disposizione, già prevista dall'articolo 162 ter del codice penale, per la quale il risarcimento del danno cagionato dal reato estingue il reato.
Entrando nel merito delle questioni, si può dire che furbescamente la Cartabia, pienamente avallata da Draghi, ha saltato a piedi pari il concetto di 'prescrizione del reato
' che la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica ormai non sopporta più, preferendo stabilire che i processi penali dovranno durare non più di due anni in appello e non più di uno in cassazione, e se non verranno rispettati questi termini scatterà la cosiddetta 'improcedibilità
', ossia il processo non potrà più proseguire e l'imputato andrà prosciolto per intervenuta improcedibilità.
Ovviamente la Cartabia, essendo una nota giurista, sa perfettamente che, sulla base delle statistiche giudiziarie italiane, è difficile che un processo penale di appello duri meno di due anni e che uno in Cassazione duri meno di uno, per cui è evidente che la sua proposta di riforma non fa che legittimare l'istituto della prescrizione attraverso il differente nome di improcedibilità: gli effetti sostanziali e pratici dell'intervenuta prescrizione del reato e dell'intervenuta improcedibilità sono infatti identici. Tenendo presente che, per l'annosa mancanza di personale nei tribunali e complice l'emergenza creata dalla pandemia, i tempi dei processi si sono negli ultimi due anni notevolmente e ulteriormente dilatati, nel 2019, secondo i dati del Ministero della Giustizia, un processo di appello durava in media in Italia 759 giorni, cioè 29 in più rispetto al limite dei due anni entro il quale la Cartabia vorrebbe far dichiarare improcedibile il procedimento. I processi di appello, secondo tali dati, duravano in media 347 giorni a Palermo, 315 a Milano, 522 a Brescia e 665 a Torino. Considerando che nel frattempo i tempi si sono ulteriormente dilatati, tali processi di appello sarebbero salvi da un punto di vista statistico. Mentre invece non si salverebbero a Napoli, dove un appello durava mediamente nel 2019 1.495 giorni, a Roma, dove durava 1.128 giorni, a Reggio Calabria, dove durava 1.013 giorni, e a Firenze, dove durava 878 giorni.
Ma c'è di più: fondamentale nell'allungare i tempi dei processi è il ruolo degli avvocati, e gli imputati colpevoli la faranno franca facilmente solo se sono ricchi e possono pagare parcelle salate ad abili e spregiudicati avvocati, che hanno tutto l’interesse a sforare i tempi per rendere lettera morta i processi, mentre ciò sarà molto più difficile per coloro che devono affidarsi alla difesa di ufficio e al patrocinio a spese dello Stato, con avvocati per lo più giovani e inesperti, con la conseguenza che Draghi e la Cartabia, con la loro riforma, fanno assumere ancor di più alla giustizia italiana il carattere di giustizia di classe.
Anche l'enfasi data alla giustizia riparativa è un espediente per consentire, in pratica, solo ai ricchi di godere dell'estinzione dei propri reati, in quanto privilegiati nel poter risarcire il danno derivante da reato, e anche in questo caso si deve parlare di accentuazione del carattere classista già intrinsecamente presente nella giustizia borghese.
L'ex magistrato Gian Carlo Caselli, in un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano
del 10 luglio scorso, ha ben messo in risalto quanto la riforma voluta da Draghi e Cartabia rischi di accentuare il carattere classista della giustizia nello Stato borghese: il giurista scrive che la riforma porterà, di fatto, alla “coesistenza di due codici distinti. Uno per i 'galantuomini' (che in base al censo o alla collocazione politico-sociale sono considerati 'perbene' a prescindere); l’altro per i cittadini 'comuni
'”. “I primi
- prosegue il giurista - possono permettersi difensori costosi e agguerriti, in grado di utilizzare ogni spazio per eccezioni dilatorie. Per loro, il processo può ridursi all’attesa che il tempo si sostituisca al giudice con la prescrizione o improcedibilità che tutto cancella. Mentre per gli altri il processo – per quanto di durata biblica – riesce più spesso a concludersi, segnando in profondo vite e interessi. Un’intollerabile asimmetria incostituzionale, fonte di disuguaglianze, che nega elementari principi di equità
”.
Caselli ha parlato di “asimmetria incostituzionale
”, in quanto, sicuramente in pratica se non nell'astrattezza delle norme, Draghi e la Cartabia furbescamente e in modo subdolo eludono il primo comma dell'articolo 3 della Costituzione, il quale dispone che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali
”. Peraltro già nei lavori dell'Assemblea costituente era ben presente l'idea che le differenze economiche tra i cittadini di fatto li rendevano non uguali di fronte alla legge, perché il secondo comma dello stesso articolo sancisce che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese
”, mentre la riforma proposta da Draghi e Cartabia va proprio nella direzione opposta, ossia fa sì che lo Stato borghese accentui, anziché rimuovere, gli ostacoli dei cittadini a una vera ed effettiva difesa dinanzi alla legge.
Anche il riferimento alla “coesistenza di due codici distinti
”, ossia all'esistenza di due o più sistemi penali di fatto distinti e quindi all'inegnaglianza dei cittadini di fronte alla legge potrebbe a prima vista sembrare soltanto una provocazione intellettuale da parte di Caselli, ma essa era la realtà giuridica che si aveva in Europa prima della Rivoluzione francese, quando nobiltà, clero e terzo stato avevano realmente e legalmente tre organizzazioni giudiziarie distinte con tre legislazioni totalmente distinte, e c'è da giurarci che a marcire in galera o a finire nelle mani del boia erano solo ed esclusivamente sottoproletari, proletari e contadini poveri.
Non vi sono dubbi pertanto che da un punto di vista politico la riforma voluta da Draghi e Cartabia deve incontrare la più ferma opposizione di noi marxisti leninisti, perché volta ad accentuare il carattere classista dello Stato borghese nel quale sempre di più conviveranno, dietro il paravento formale di un unico codice penale e di un unico codice di procedura penale, due sistemi giuridici nel quale il denaro farà la differenza: un sistema per la borghesia, per l'apparato ormai sempre più corrotto dello Stato borghese e per il comitato d'affari politicante della stessa borghesia che renderà improcedibili i relativi processi, e un altro sistema per le classi sociali popolari, che rischierà di far concretamente condannare gli imputati più poveri che non potranno permettersi una difesa tecnica degna di questo nome.
21 luglio 2021