Afghanistan
Dopo 20 anni di guerriglia i talebani riconquistano Kabul e il potere politico
Si sbriciola in pochi giorni il regime fantoccio di Ashraf Ghani creato dagli occupanti imperialisti
"Abbiamo ottenuto quello che cercavamo, la libertà del nostro Paese e l'indipendenza del nostro popolo"

 
La guerra di resistenza all'occupazione imperialista dell'Afghanistan, iniziata dopo i bombardamenti degli aerei americani il 7 ottobre 2001 e l'attacco all'allora governo talebano, si è conclusa il 15 agosto con l'ingresso trionfale delle formazioni talebane nella capitale Kabul, da alcune settimane sotto assedio, subito dopo la fuga ingloriosa del presidente del regime fantoccio Ashraf Ghani e il cambio della bandiera davanti il palazzo presidenziale. I talebani riconquistano Kabul e il potere politico. "Abbiamo ottenuto quello che cercavamo, la libertà del nostro Paese e l'indipendenza del nostro popolo" e le forze straniere "non ripeteranno più la loro esperienza fallita in Afghanistan", dichiarava alla rete al Jazeera il portavoce del movimento Zabihullah Mujahid, che annunciava il ripristino “dell’Emirato islamico dell’Afghanistan” e la prossima nascita di un governo in seguito alle trattative condotte dal leader supremo del movimento, Haibatullah Akhundzada, e dal leader politico, Abdul Ghani Baradar. L'Afghanistan appartiene al popolo afghano, sono i quasi 40 milioni di afghani che devono decidere del loro futuro, non certo gli imperialisti americani e alleati costretti a fuggire da Kabul ma neanche quelli di Cina, Russia e Turchia che li vorrebbero sostituire.
Il regime fantoccio di Ashraf Ghani creato dagli occupanti imperialisti si è sbriciolato in pochi giorni, le difese di Kabul in poche ore mentre erano da poco iniziate le fasi finali del ritiro dei soldati della missione internazionale Isaf. Le rappresentanze diplomatiche dei paesi imperialisti occupanti si affrettavano a fuggire dalla città coi velivoli militari dall'aeroporto ancora sotto controllo dei marines e assediato da migliaia di afghani che avevano collaborato col regime fantoccio e temevano la ritorsione talebana. Nonostante il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid già il 18 agosto assicurasse che “abbiamo perdonato tutti coloro che hanno combattuto contro di noi. La guerra è finita. Non vogliamo nemici esterni o interni”, prometteva un’amnistia generale per i funzionari statali, per tutti quelli che “hanno collaborato con gli americani” e persino per “i soldati che hanno combattuto contro di noi”.
Più veloce di tutti a scappare era stato il fantoccio Ashraf Ghani che si imbarcava per la sua fuga ignominiosa su un aereo fino a Abu Dhabi negli Emirati una volta perso il puntello delle truppe di occupazione e dei mercenari, abbandonato persino dal suo esercito, dai 180 mila soldati e da altrettanti uomini tra poliziotti e milizie territoriali a difesa delle città che si erano arresi in massa. "Non sanno per cosa devono lottare e in chi credere", spiegava un militare italiano che aveva partecipato all'addestramento dei reparti governativi, a dimostrazione che tutto quello che avevano creato gli occupanti imperialisti, Italia inclusa, era fondato sulla sabbia e non aveva alcuna base popolare.
Il ritiro è completato, annunciava in diretta tv il 30 agosto il generale Kenneth McKenzie capo del Centcom, il comando unificato delle forze armate americane, "abbiamo lasciato l'Afghanistan con le truppe e il resto del personale diplomatico di base. La missione ci è costata le vite di 2.461 fra militari e civili americani uccisi e oltre 20 mila feriti", senza contare i contractor, i mercenari. I militari americani lasciano l'Afghanistan con l'ennesima strage di civili, 10 morti dei quali 6 bambini, a Kabul nel raid compiuto per eliminare la minaccia di un attacco all'aeroporto. Sono le ultime vittime civili dei venti anni di occupazione che ha registrato almeno 240 mila vittime dirette della guerra, in gran parte civili seppelliti dalle bombe “umanitarie” dei paesi imperialisti, cui si sommano forse altrettante vittime a causa della fame, delle malattie e della mancanza di servizi essenziali.
 

Una smagliante vittoria antimperialista e una bruciante e storica sconfitta dell'imperialismo
 
La conquista di Kabul e del potere politico da parte dei talebani, dopo venti anni di guerriglia nella guerra più lunga dei tempi recenti, è anzitutto una smagliante vittoria antimperialista e una bruciante e storica sconfitta dell'imperialismo americano e dei suoi alleati. Ribadisce il diritto del popolo afghano di determinare in modo indipendente il proprio destino e futuro. Un diritto che prevale su qualsiasi altra considerazione sulle posizioni del movimento di resistenza all'occupazione imperialista dei talebani, che non condividiamo a partire dall'ideologia, la strategia, il programma, i metodi di lotta e la politica antifemminile. Ma ciò non può e non deve costituire un ostacolo all'appoggio militante al governo antimperialista talebano. Tra un piccolo paese preso di mira da una vasta alleanza imperialista, formata al di fuori della stessa legislazione internazionale in nome dell'inaccettabile teoria della “guerra al terrorismo” per colpire anzitutto paesi e popoli che non si allineano ai diktat imperialisti, tra un Paese e un popolo aggrediti e gli eserciti imperialisti occupanti non abbiamo dubbi, stiamo dalla parte del popolo aggredito e festeggiamo la sua vittoria.
Questo è il punto essenziale da cui partire nell'analisi di cosa è successo in Afghanistan facendo piazza pulita della vergognosa campagna montata dagli organi di disinformazione al servizio della propaganda imperialista, impegnati come nel 2001 a sostegno dell'invasione che avrebbe portato la democrazia borghese e il progresso nel paese e a evidenziare situazioni come la questione della politica antifemminile dei talebani, che tra l'altro non è molto diversa da quella dell'Arabia Saudita e del Pakistan senza che quest'ultimi finiscano nel mirino dei mass media dato che i due paesi sono tra i principali alleati dei paesi imperialisti nella regione. Una propaganda oramai spuntata dalla vittoria della resistenza dei talebani che mostra le proteste nella capitale contro la chiusura delle banche senza precisare che le casse delle banche sono vuote dato che gran parte delle riserve valutarie afghane sono state spostate negli Stati Uniti, depredate dal governo fantoccio Ghani e ora bloccate.
Dal coro che si straccia le vesti per la sconfitta dell'occupazione imperialista escono anche alcune voci come quella di Peter Newman, docente di studi sulla Sicurezza al King’s College di Londra che definisce quello che arriva dall’Afghanistan un messaggio chiaro: “è una vittoria sull’America. Combattenti che scendono dalle montagne per sconfiggere gli Stati Uniti. Molti gruppi si appoggeranno su questa narrazione per costruire la loro propaganda: se i talebani possono farlo, puoi farlo anche tu”. Certo, la vittoria della resistenza talebana contro gli occupanti imperialisti conferma che i popoli che si rivoltano contro gli oppressori imperialisti sono invincibili, e che l'imperialismo, la Nato e la Ue sono delle tigri di carta: pur tatticamente superiori in quanto ad armamenti ed eserciti sono strategicamente destinati al fallimento e alla sconfitta storica.
 

L'offensiva della resistenza ripartiva da Kandahar dove era nato il movimento dei talebani
 
Il movimento talebano nasce, col contributo anzitutto del Pakistan e altri paesi del Golfo a partire dal 1994, nelle zone rurali della provincia meridionale di Kandahar, in un Afghanistan in pieno caos per gli scontri tra i clan etnici e regionali comandati dai cosiddetti signori della guerra, dopo il conflitto quasi decennale terminato il 15 febbraio 1989 col ritiro delle forze del socialimperialismo sovietico cacciate dalla resistenza dei mujahiddin, quelle forze islamiche appoggiate dagli Usa. I talebani sconfissero i signori della guerra e nel 1996 dichiararono la nascita dell’Emirato islamico che sarà smantellato dall'invasione imperialista a guida americana scattata il 7 ottobre 2001 per dare la caccia ai militanti di Al Qaeda rifugiati nel paese. Quella all'Afghanistan è la prima delle “guerre al terrorismo” decise dalla Casa Bianca dopo gli attentati dell'11 settembre negli Usa ed è finita con la fuga da Kabul. "Così la 'guerra al terrorismo' diventò di fatto la guerra per l’eliminazione del regime talebano al potere dal settembre 1996, dopo che per almeno due anni gli Stati Uniti avevano 'trattato' per trovare un accordo con i talebani stessi: il riconoscimento formale e il sostegno economico al regime di Kabul in cambio del controllo delle multinazionali Usa del petrolio sui futuri oleodotti e gasdotti dall’Asia centrale fino al mare, cioè al Pakistan", ricordava Gino Strada nel suo ultimo articolo pubblicato su La Stampa del 13 agosto. La questione del gasdotto sarà rilanciata dagli Usa nel 2014 con lo stanziamento di 7,5 miliardi di dollari per finanziare lo studio di progetto del gasdotto necessario anche per aggirare l'Iran.
Alla fin fine sono briciole rispetto agli oltre 2 mila miliardi di dollari spesi complessivamente dagli Usa, l’Italia 8,5 miliardi di euro, in 20 anni di guerra e occupazione militare, una parte di questi miliardi, pur sempre un fiume di denaro è sparito nei meandri della corruzione del governo fantoccio di Kabul che appena ha perso l'appoggio diretto degli occupanti si è liquefatto come la neve al sole.
Dalla regione di Kandahar è ripartita la resistenza talebana dopo che nel maggio scorso il presidente americano Biden confermava il ritiro militare dal paese e in breve tempo liberava diversi distretti nelle aree periferiche della provincia di Kandahar e del distretto di Daman, nella parte meridionale e orientale del paese. I talebani seguivano la strategia dell’insurrezione nelle campagne e nei distretti più periferici per liberarli e avvicinarsi ai capoluoghi di provincia, da Herat, da poco abbandonata dal contingente di occupazione italiano, a Mazar-e Sharif, a Kunduz, a Ghazni, alla stessa capitale Kabul. Fino a liberare agli inizi di luglio una buona metà del paese. Il governo fantoccio di Kabul si asserragliava nelle grandi città col contributo di una buona parte delle truppe dei signori della guerra ma già il 3 agosto le forze talebane colpivano nella "Green zone" di Kabul, l'area fortificata e un tempo considerata sicura, e stringevano l'assedio su Herat, Lashkar Gah e Kandahar. Neanche dieci giorni l'esercito governativo si dissolveva e il 15 agosto i talebani entravano a Kabul. Poco dopo anche altre città, da Mazar-i-Sharif, principale centro nel nord, a Jalalabad al confine col Pakistan, venivano liberate senza combattere.
 

Gli Usa in fuga da Kabul come da Saigon nel 1975

 

Agli analisti militari dei paesi imperialisti lasciamo il compito di disquisire sugli eventuali errori delle procedure del ritiro, o meglio della precipitosa fuga degli Usa da Kabul, registriamo che il segretario di Stato Usa Antony Blinken in un'intervista alla Cnn , respingeva ogni paragone tra la situazione a Kabul e la fuga da Saigon in Vietnam nel 1975, ribadendo che gli Stati Uniti hanno "raggiunto gli obiettivi" della guerra in Afghanistan. "Siamo andati in Afghanistan 20 anni fa con una missione e quella missione era regolare i conti con chi ci ha attaccato l'11 settembre. Abbiamo portato a termine questa missione". A dire il vero questa non era la vera missione tanto che era conclusa da tempo dato che la cosiddetta mente degli attacchi terroristici del 2001, Osama bin Laden, era già stata assassinata il 2 maggio 2011 a Abbottabad in Pachistan.
Magari Biden non ha saputo digerire la polpetta avvelenata consegnatagli dal predecessore Trump con l'accordo di Doha del 29 febbraio 2020, una parziale intesa di tregua da sviluppare in trattative successive che non ci sono più state e firmata dall’allora segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, e dal mullah Abdul Ghani Baradar che prevedeva tra le altre il ritiro delle truppe straniere dal paese. Un accordo firmato senza i rappresentanti del governo fantoccio di Kabul, palesemente delegittimato e dichiarato non più utile alla politica dell'imperialismo americano nella regione. Una regione dalla quale la Casa Bianca voleva disimpegnarsi perché gli Usa in chiaro declino non erano più in grado di tenere aperte tutte le guerre e i confronti militari con le rivali imperialiste nel mondo quando erano ancora il leader indiscusso. Contro il parere di Gran Bretagna e Italia che volevano continuare nell'occupazione militare del paese, Biden dava il via al ritiro totale delle truppe. Già con Obama l'attenzione della borghesia americana si era spostata sulle attività politiche e militari per premere sulle frontiere europee e tenere sotto pressione la rivale Russia ma soprattutto a contrastare le mosse della principale rivale imperialista, la Cina di Xi nel Pacifico. Una politica proseguita da Trump e da Biden che mentre si sottoponeva alla gogna mediatica della disfatta in Afghanistan spediva la vicepresidente Kamala Harris nell'ennesimo giro di esponenti della sua amministrazione in Asia a stringere legami in funzione anti-socialimperialismo cinese.
 

L'imperialismo europeo cerca uno spazio maggiore accanto agli Usa ridimensionati

 

Il malumore degli alleati imperialisti europei cacciati con gli Usa dall'Afghanistan si materializzava inizialmente coi distinguo sul piano militare. "Questa è una sconfitta di tutto l'Occidente e di quello in cui abbiamo creduto negli ultimi venti anni. Non è la certo la fine della Nato, come ha scritto qualche analista, ma è chiaro che l'Alleanza va ripensata. E io sono convinto che ci voglia un maggior coinvolgimento dell'Europa", dichiarava in una intervista su la Repubblica del 22 agosto il generale Claudio Graziano, presidente del Comitato militare della Ue, e metteva in evidenza che se l'America "sembra intenzionata a ridimensionare il suo ruolo attivo, serve un maggior coinvolgimento dell'Europa. C'è un vuoto: se non lo riempiamo noi, lo faranno altri".
Il vicepresidente della Commissione e alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea Josep Borrell in un’intervista pubblicata il 30 agosto dal Corriere della Sera riprendeva il tema e sosteneva che “la Ue dev’essere in grado di intervenire per proteggere i propri interessi quando gli americani non vogliono essere coinvolti. La nostra 'First Entry Force' dovrebbe essere composta di cinquemila soldati in grado di mobilitarsi a chiamata rapida”. Senza ovviamente mettere a rischio le relazioni transatlantiche che vanno rafforzate. “Come europei, dobbiamo usare questa crisi per imparare a lavorare di più insieme. E per rafforzare l’idea dell’autonomia strategica. Dovremmo essere in grado di muoverci anche da soli. Rafforzando le nostre capacità, rafforziamo la Nato”, precisava Borrell. Che poco prima all'europarlamento aveva dichiarato che "non possiamo lasciare che Cina e Russia prendano il controllo della situazione e siano gli sponsor di Kabul".
Con Draghi che si muoveva per mobilitare gli alleati imperialisti tra riunioni Onu, del G7 e del G20 era il presidente francese Macron che passava ai fatti per conto dell'imperialismo europeo accordandosi con la Gran Bretagna per chiedere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la creazione a Kabul di una "safe zone" per consentire il proseguimento delle "operazioni umanitarie" dopo il 31 agosto che sarà bocciata per l'opposizione di Cina e Russia. Promuoveva e partecipava il 29 agosto a Baghdad al vertice dei paesi arabi e islamici mediorientali per organizzare un fronte comune per fronteggiare il ritorno sulla scena dello Stato islamico dopo l'attentato del 26 agosto all'aeroporto di Kabul, rivendicato dalle milizie attive nella provincia afghana del Khorasan, l'Isis-K. Alla riunione di Baghdah erano presenti i leader dell'Iran e delle due cordate del mondo sunnita, quella di Arabia e Egitto e quella del Qatar che viaggia di concerto con la Turchia. Secondo quanto riferito proprio dal canale satellitare di Doha, i talebani in Afghanistan chiederanno l’aiuto del Qatar nella gestione dell’aeroporto internazionale di Kabul dopo la partenza delle forze internazionali. Dove forse non a caso sono già presenti i soldati del fascista Erdogan che non perde un colpo per allungare le mani dell'imperialismo turco sui paesi della regione.
 

Il socialimperialismo cinese sfrutta il vuoto lasciato dagli Usa

 

Con minor enfasi ma con maggiore efficacia si stanno muovendo i principali concorrenti imperialisti degli Usa. La portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying, in conferenza stampa già il 16 agosto dichiarava che "la Cina rispetta il diritto del popolo afghano di determinare in modo indipendente il proprio destino e futuro ed è disposta a continuare a sviluppare relazioni amichevoli e di cooperazione”, leggi a prendere il posto degli Usa e fare i suoi affari nel paese confinante. Nei 76 chilometri di confine in alta montagna tra i due paesi, il corridoio di Wakhan, Pechino ha già iniziato a costruire quella che è stata definita la "strada sul tetto del mondo" e diventerà la via di collegamento diretto del socialimperialismo cinese alle ricche risorse minerarie dell’Afghanistan, stimate in almeno mille miliardi di dollari. Dal 2017 a oggi la Cina ha investito in Afghanistan circa 4 miliardi di dollari per lo più nelle miniere di rame dell’Anyak, poco meno di quelli investiti per lo sviluppo dell’area portuale di Gwadar, in Pakistan, l'alleato nella regione lungo la nuova Via della Seta e protettore dei talebani.
Il vuoto lasciato dagli Usa sarà certamente riempito dalle rivali Cina e Russia che con Iran e Turchia non hanno chiuso le loro ambasciate a Kabul.
Nella capitale afghana nel frattempo il portavoce Zabiullah Mujahid annunciava il 29 agosto la definizione a breve della conposizione del nuovo esecutivo che dovrebbe essere affidato a Abdul Ghani Baradar. Le ben informate fonti russe sostenevano che le varie formazioni talebane avevano trovato un accordo per buona parte dei ministri fra i quali diversi esponenti della resistenza rinchiusi illegalmente per diversi anni nel carcere di Guantanamo. Quello che Obama aveva promesso di chiudere ed è sempre operativo.
"Voglio innanzitutto ringraziare i militari, i diplomatici e tutti i cooperanti che per vent'anni sono stati ad Herat, a Kabul e in tutto l'Afghanistan... Il loro sacrificio non è stato vano, hanno difeso i valori per cui erano stati inviati, hanno difeso le libertà fondamentali", ha dichiarato enfaticamente il premier Draghi. E dopo essersi battuto per prorogare in ogni modo la missione ha chiamato gli alleati imperialisti a non deflettere dalla guerra al terrorismo: “la nostra cooperazione è essenziale ed è cruciale agire in modo unitario. È fondamentale anche utilizzare tutte le leve diplomatiche e finanziarie a nostra disposizione”. Evidentemente non ha imparato niente dalla lezione venuta dall'Afghanistan.

1 settembre 2021