Il nuovo presidente iraniano Raisi guarda verso la Cina e la Russia
Ebrahim Raisi, capo della magistratura iraniana, è stato eletto presidente dell’Iran con poco meno di 18 milioni di consensi pari a quasi il 62% dei voti e entrerà in carica il prossimo 3 agosto. Era il candidato favorito grazie all’appoggio, ufficializzato un mese prima dopo la presentazione delle candidature, dalla guida suprema iraniana l’Ayatollah Ali Khamenei. Il voto del 18 giugno è stato comunque segnato dalla partecipazione più bassa dalla nascita della Repubblica islamica nel 1979 con neanche il 49% dei quasi 60 milioni di elettori e da un numero di schede nulle arrivato a quasi il 13% dei voti espressi.
In occasione della sponsorizzazione da parte di Khamenei, l'allora candidato Raisi aveva affermato di voler formare un “governo popolare per un Iran forte”, un esecutivo che abbia come obiettivo la lotta alla corruzione e il miglioramento della situazione socio-economica. Il programma minimo in presenza di una crisi economica pesante per le condizioni di vita delle masse popolari iraniane, aggravata dalla pandemia e dalle ingiuste sanzioni decise dagli Usa, e assecondate dalla Ue, e da una guerra non dichiarata dei nazisti sionisti di Tel Aviv appoggio di Teheran alla causa palestinese. A fronte dell'esplosione di questi problemi la Repubblica islamica dell'Iran aveva scelto di combattere le provocazioni fino agli atti di guerra e le ingerenze dell'imperialismo Usa e dei sionisti appoggiandosi alla cordata imperialista concorrente guidata da Russia e Cina già sotto la presidenza dell'uscente Hassan Rouhani. Ma se il il punto di partenza della poltica estera del cosiddetto "moderato" Rouhani era stato inizialmente orientato verso occidente, gli Usa di Obama e la Ue, quello del successore Raisi guarda da subito verso gli alleati Mosca e Pechino.
Il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, è stato tra i primi a felicitarsi con il neoeletto presidente, auspicando l’avvio di un ulteriore sviluppo di una cooperazione bilaterale costruttiva tra Mosca e Teheran. Già funzionante da anni nella guerra per la spartizione della Siria. Con la Cina di Xi il legame è stato stretto lo scorso 27 a Teheran con la firma dell'accordo venticinquennale che prevede investimenti cinesi in infrastrutture in Iran pari a 400 miliardi di dollari, due terzi dei quali nel settore petrolifero. Un accordo non solo economico ma finalizzato soprattutto alla costruzione di un "partenariato permanente e strategico a livello politico e economico", come metteva allora in evidenza il Consigliere di Stato e Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, Wang Yi. In Iran non tutti erano d'accordo perché quella che viene presentata come una paritetica cooperazione strategica presenta invece il pericolo di un paese ridotto a provincia del nuovo impero cinese.
8 settembre 2021