Il G20 di Napoli non risolve il problema dell'ambiente e del clima
Nessun accordo sulle emissioni e sul carbone. Accordi sulla transizione col gas
Seppur l'incontro nella sostanza abbia segnato l'ennesimo nulla di fatto, Il Ministro della Transizione Ecologica del governo Draghi, Roberto Cingolani, al termine del vertice di Napoli di luglio ha affermato che il documento su cui hanno concordato i diversi paesi del G20 “era impensabile fino a pochi anni fa”. Lo definisce “particolarmente ambizioso” e un prodotto diretto della presidenza italiana di turno, mentre invece, come vedremo, la carta conferma lo stallo internazionale sulle fondamenta della lotta al riscaldamento globale, e ribadisce la linea del Ministero guidato da Cingolani stesso che fino ad oggi si è contraddistinto com'era prevedibile per i continui assist alle multinazionali dell'energia e per le ambiguità delle sue dichiarazioni da “piede in due staffe”.
In verità la staffa che conta è sempre quella degli interessi dei capitalisti che, nel cosiddetto “mercato dell'energia”, sono ancorati a doppio filo con quelle di natura fossile che sulla carta si sostiene di voler mettere al bando, quando in realtà si continua ovunque a finanziare.
Nessun blocco ai finanziamenti alle fossili, né allo stop al carbone
Oltre alle dichiarazioni e agli impegni del caso, è lo stesso Cingolani a dichiarare che l’accordo di Napoli sostanzialmente consolida l’accordo di Parigi del 2015, che però a tutt'oggi è inapplicato e gli obiettivi lontani anni luce; era proprio per questo che il mondo della scienza – e soprattutto quella indipendente – continua instancabilmente a sollecitare obiettivi più ambiziosi al fine di recuperare un po' di quel tantissimo tempo perduto.
Non c'è unanimità né sull'impegno di ridurre l'aumento medio della temperatura mondiale al di sotto di 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali (rimane l'obiettivo insufficiente del +2% di Parigi) né sull'indispensabile uscita dall'utilizzo del carbone entro il 2025.
Il quadro che emerge è chiaro, e mostra a tutti che le politiche per il clima dei paesi del G20 sono del tutto insufficienti per traghettare il mix economico-energetico mondiale verso le emissioni zero a metà secolo: non c'è traccia infatti neanche dell'eliminazione dei sussidi a carbone, petrolio e gas, né quegli strumenti di disincentivazione come il far pagare di più a chi emette di più, secondo il principio “Chi inquina paga”.
In realtà i paesi del G20 dal 2015 al 2019 hanno sostenuto l’industria dei combustibili fossili con circa 3.300 miliardi di dollari complessivi, in buona parte sotto forma di esenzioni e riduzioni fiscali nonostante l'accordo di Parigi fosse già stato sottoscritto; addirittura Canada, Australia e Stati Uniti nello stesso periodo hanno aumentato i loro sussidi alle fossili.
Le reazioni del mondo ambientalista
Secondo Greeenpeace Italia, in questo modo “l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5° è già sostanzialmente saltato”, e afferma – attraverso Giuseppe Onufrio, il suo direttore – che con queste premesse “il vertice G20 di Roma a ottobre non potrà essere un successo” e anche la possibilità di riuscita della COP 26 a Glasgow “è oggi ridotta al lumicino”.
Per il WWF il problema è più generale e sostanzialmente assai più grave, poiché l'organizzazione critica la coscienza, tutta, insufficiente sull'argomento: “appare evidente che le politiche energetiche devono ancora davvero incorporare il rischio climatico e che il pericolo di scelte volte a tenere in gioco i combustibili fossili e le emissioni che hanno determinato il riscaldamento globale non è scongiurato”.
Infatti, carbone e gas potranno essere utilizzati e anzi, proprio il gas, anch'esso di origine fossile, viene sostanzialmente eletto l'elemento perno della transizione stessa, anziché mettere al centro le tecnologie effettivamente pulite e rinnovabili ad impatto vicino allo zero.
lo scorso 5 giugno oltre 100 associazioni, hanno fatto causa allo Stato italiano per “inazione climatica” -ovvero per non aver fatto nulla per contrastare il riscaldamento globale -, lanciando la campagna “Giudizio Universale”.
“In una estate funestata dai disastri climatici, è sempre più evidente che non possiamo più permetterci di perdere tempo – è il commento di Marica Di Pierri, portavoce della campagna – E invece il documento licenziato alla fine delle negoziazioni del G20 a Napoli, su clima e energia rinuncia a due punti cruciali: il riferimento all’obiettivo degli 1,5°C , e la data per il phase out dal carbone, la cui discussione in merito è stata ulteriormente rimandata. Senza questi punti di minima lo sforzo diplomatico assume l’aspetto farsesco di un mero esercizio di stile. Questa cecità non è più perdonabile: una colpevole inazione il cui costo va calcolato in termini di vite umane, diritti e disastri ambientali”.
L'ambiente sacrificato ancora una volta nel nome del profitto
Quasi sei anni dopo la firma dell’accordo di Parigi, i fatti evidenziano lo stallo totale che i cosiddetti “grandi” della Terra, ovvero i 20 Paesi che producono l’80% del Pil mondiale e l’85% delle emissioni di anidride carbonica, stanno mantenendo in termini di provvedimenti efficaci contro il riscaldamento climatico.
Infatti anche il protocollo di Napoli è una dimostrazione chiara della reale volontà delle potenze mondiali, al di là degli annunci, di non assumere scelte nette e radicali per fronteggiare adeguatamente la crisi climatica in corso e, più in generale, la tutela ambientale. A fronte di ciò, i contributi nazionali stabiliti dai singoli paesi continuano a proiettare livelli pericolosi di riscaldamento globale a fine secolo, stimati in circa +3°C, che sono assolutamente incompatibili con qualsiasi idea di salvaguardia del pianeta.
Forti sono state anche le reazioni da parte della piazza: a Napoli infatti nella prima giornata del summit migliaia di attivisti coordinati dalla rete “Bees against G20” hanno sfilato per le strade della città chiedendo di fermare immediatamente i finanziamenti alle industrie fossili poiché – e gli ambientalisti lo sanno bene – tutto parte da lì, e questo è il primo passo che potrebbe smuovere qualcosa.
Ma a nostro avviso, tanti anni di pratica, di conferenze inutili sature del perpetrarsi di false promesse e di inganni, di tradimenti politici da parte dei partiti di regime che ieri dichiaravano di volersi immolare, costi quel che costi, per la salvaguardia della saluta pubblica e dell'ambiente, mentre oggi sottoscrivono protocolli insufficienti e danno il via alle grandi opere inutili e devastanti, dovrebbero aver insegnato che il problema principale rimane il sistema economico dal quale dipende tutto.
Legare la lotta ambientalista a quella per il socialismo
Ecco perché, anche alla luce dell'esito del summit di Napoli, auspichiamo che le centinaia di migliaia di ambientaliste e di ambientalisti che lottano, riescano a comprendere fino in fondo la necessità di legare la battaglia per l'ambiente e contro il riscaldamento climatico, alla battaglia anticapitalista per il socialismo.
“In sostanza
– si legge nella lettera aperta dell'Ufficio Politico del PMLI del marzo 2019 agli ambientalisti- proprio i governi e le autorità chiamate in causa dalle petizioni, le istituzioni nelle quali spesso viene riposta una qualche fiducia poiché non si riesce a vedere via di uscita, sono esse stesse complici principali di questa situazione in quanto hanno come ruolo principale quello di rafforzare l’origine di tutti i mali sociali, inclusi quelli ambientali, che è il capitalismo e la sua sete di profitto immediato a ogni costo. Questo è il salto di qualità che vi chiamiamo a compiere: comprendere cioè che la battaglia per l’ambiente (così come tutte le altre che hanno temi sociali), non può rimanere imprigionata in questo modello economico che mette in secondo piano l'ambiente stesso, il clima, l’inquinamento e la salute pubblica, rispetto agli interessi privati dei colossi multinazionali dell’energia, dell’acqua e dei rifiuti poiché, perdurando il capitalismo, si ripeteranno nella sostanza e magari con tendenze alterne in base allo sviluppo delle mobilitazioni e delle lotte che le popolazioni saranno in grado di imbastire, gli accordi di Parigi o poco più, pomposi ma di facciata, poiché inutili e inapplicati, e mai risolutivi
.”.
8 settembre 2021