Biden e Xi all'Onu parlano di democrazia e diplomazia mentre in realtà lavorano per il dominio del mondo
Il primo colloquio tra il presidente americano Joe Biden e quello cinese Xi Jinping, rendeva noto la Casa Bianca lo scorso 10 settembre, era stata una lunga telefonata che aveva riguardato "le aree in cui convergono i nostri interessi e quelle in cui i nostri interessi, valori e prospettive divergono"; i due capifila imperialisti facevano a gara per presentarsi alfieri della democrazia e impegnati a usare tutte le armi dellla diplomazia per regolare la loro competizione. "Il destino del mondo dipende dalla capacità di Cina e Stati Uniti di gestire le loro relazioni: è la questione del secolo alla quale i nostri due Paesi devono rispondere", sosteneva Xi nei panni preferiti di diplomatico moderato, occorre lavorare insieme per trovare soluzioni altrimenti lo scontro continuerà e "porterà a disastri". Questi argomenti torneranno due settimane dopo negli interventi all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, assieme a altri che mostrano una realtà ben diversa: l'imperialismo americano e il socialimperialismo cinese lavorano per il dominio del mondo.
Il 21 settembre dalla tribuna dell'Onu Biden ripeteva l'importanza "della collaborazione fra Stati" e chiedeva agli alleati "unità contro le autocrazie", leggi Pechino. Con ancora i telefoni caldi delle proteste degli alleati imperialisti messi di fronte alla decisione della Casa Bianca di lasciare l'Afghanistan, alla faccia dell'auspicata collaborazione, il presidente americano esclamava: "Basta conflitti del passato: concentriamo idee e risorse su sfide che ci riguardano tutti. Questa è la nuova era della diplomazia". Non vogliamo una nuova guerra fredda o un mondo diviso in blocchi regionali, che è esattamente la direzione sulla quale si muove l'imperialismo americano per compattare gli alleati e "guidarli" nella competizione con la rivale. Quella che con toni non certo bellicisti definiva "una dura competizione. Schierati con alleati e amici, contro ogni tentativo dei Paesi forti di dominare i deboli, conquistare nuovi territori con brutalità, coercizione economica e disinformazione". Leggi la Cina di Xi verso la quale l'amministrazione Biden ha mantenuto tutti i dazi del predecessore Trump e tiene viva la guerra commerciale.
A cosa altro servirebbe la rivitalizzazione del Quad, l'alleanza tra Usa, India, Giappone e Australia completata dalla nascita dell'Aukus, la ribattezzata Nato del Pacifico con Australia e Gran Bretagna, se non per fronteggiare le mire egemoniche di Xi Jinping a partire dalle acque del Mar Cinese? Il cui controllo per Pechino significa mettere la mani su giacimenti di petrolio e gas ma soprattutto sulla importantissima via d'acqua dove parte la Via della seta marittima e dove passa un quinto dei traffici mondiali.
Alla sceneggiata recitata da Biden dal palco dell'Assemblea generale era facile per il presidente cinese in collegamento da Pechino ribattere che "la democrazia non è un diritto speciale di qualche particolare paese. Il successo di una nazione non deve significare il fallimento di un'altra"; sottolineare che "i recenti sviluppi della situazione globale (Afganistan, ndr) dimostrano ancora una volta che l'intervento militare dall'esterno e la cosiddetta trasformazione democratica non comportano altro che danni" e giurare che "non cerchiamo egemonia. Ma un nuovo tipo di relazioni internazionali basate su mutuo rispetto e una cooperazione dove vincono tutti. Sì al dialogo: ma nel rispetto reciproco". Anche Biden aveva presentato un nuovo tipo di relazioni internazionali costruito sull'impegno della “mia nuova amministrazione per aiutare a guidare il mondo verso un futuro più pacifico e prospero per tutti i popoli attraverso la cooperazione in istituzioni multilaterali come le Nazioni Unite". Precisando che intanto "gli Stati Uniti si concentrano sulle priorità e le regioni del mondo, come l'Indo-Pacifico, che sono più importanti oggi e domani". Il confronto con il socialimperialismo cinese si conferma prioritario per l'imperialismo americano e finisce per moltiplicare e aggravare i pericoli di guerra.
29 settembre 2021