Il delfino di De Luca, Draghi e Conte, Gaetano Manfredi (PD-M5S), “vince” al primo turno ma 7 elettori su 10 non lo votano
Risultato storico dell’astensionismo a Napoli (55,3%)
Liquefatti il rinnegato e novello amico dei fascisti Bassolino e l’arancione Clemente. Tracollo della destra

Redazione di Napoli
L’affermazione dell’astensionismo più importante del dopoguerra a Napoli: è quello che emerge dalla due giorni di elezioni comunali del 3 e 4 ottobre dove le masse popolari hanno severamente punito i due poli del regime neofascista e le sue false alternative di “sinistra”. Una cifra impressionante che ha catalizzato per la prima volta anche l’attenzione della stampa e della tv del regime neofascista: più della metà del popolo partenopeo ha deciso di disertare le urne, lasciare la scheda in bianco o annullarla.
Su 776.751 elettori ed elettrici è andato a votare soltanto il 47,2% ossia 366.430 elettori a fronte di ben 429.769 astenuti complessivi pari al 55,3% (410.321 hanno disertato le urne, le schede bianche sono state 7.561, pari all’1% e quelle nulle 11.887, pari all’1,5%). Un risultato folgorante che ha visto l’agenzia Ansa , il quotidiano Il Mattino e Rainews24 parlare di “allarme astensionismo” e “fuga dalle urne”. D’altronde noi marxisti-leninisti avevamo denunciato che l’esercito di candidati nulla aveva fatto per Napoli negli ultimi cinque anni, era in pratica senza uno straccio di programma e composto per di più esponenti della borghesia, molti dei quali, ben 180, voltagabbana che erano passati da un partito all’altro senza che i propri candidati a sindaco avessero speso una parola o li avessero esclusi.
 

Niente per lavoro e riqualificazione delle periferie urbane
L’incredibile affermazione dell’astensionismo è direttamente proporzionale al vuoto assoluto dei programmi dei vari candidati delle istituzioni locali in camicia nera, che non hanno mai messo al primo posto il lavoro, la riqualificazione delle periferie urbane e il risanamento dei quartieri popolari. Si pensi alla questione annosa delle case e della mancanza di un piano che permetta alle famiglie povere e disagiate, alle giovani coppie, ai nuclei monoreddito oppure a chi ha in famiglia un portatore di handicap di poter avere una abitazione dignitosa. Nulla ha fatto De Magistris, nulla è trapelato dalla bocca dei vari candidati a sindaco con la conseguenza della diserzione alle urne del Comitato degli abitanti di via Scarpetta a Ponticelli, da anni occupanti di uno stabile del Comune che proprio l’arancione Alessandra Clemente non ha mai voluto stabilizzare. Pertanto nessuna coalizione ha saputo inquadrare un piano concreto di sviluppo e reindustrializzazione di Napoli; tutti intenti a rilanciare il turismo e mantenere la città all’ombra del Vesuvio come una vetrina per la borghesia, soprattutto per i proprietari di alberghi e ristoranti lussuosi.
Si è parlato del dissesto finanziario ma la ricetta avanzata per “eliminarlo” è stato un clamoroso autogol dei candidati: dalla privatizzazione dei servizi comunali (Manfredi), cominciando dai rifiuti (Maresca) con la costruzione di altri termovalorizzatori (Bassolino), fino alla riscossione forzata dei tributi, cioè rimettere in campo una macchina da guerra come la ex Equitalia (Clemente). Il rafforzamento della polizia municipale con una militarizzazione massiccia del territorio è stata la “soluzione” per camorra e parcheggio abusivo. Persino la destra CGIL con Gianluca Daniele in testa ha parteggiato per Bassolino, salvo ripresentare la solita ricetta del turismo e della cultura, ridotta ad apertura soltanto di trattorie, kebab e bed and breakfast.
Non sono bastati il richiamo per Bassolino della lista civica Lgbt o l’improvvisata lista “Azione” di Calenda (entrambi un clamoroso flop), dei Carc, di Potere al Popolo, l’appoggio di PRC e PCI per la Clemente, l’annuncio di Matteo Brambilla di spaccare il M5S e candidarsi fuori dall’alleanza con il PD per evitare l’astensionismo che ha travolto tutte le compagini della borghesia, lacchè compresi.

L’elezione di Manfredi, una iattura per Napoli
Una vera e propria calamita di transfughi e voltagabbana sono state le liste del nuovo sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che ne ha incamerati addirittura un centinaio senza fare alcuna distinzione tra destra e “sinistra”, così da attirare ex elettori della casa del fascio fino a prosciugare l’elettorato arancione di Alessandra Clemente, tenuto conto che pezzi importanti del gruppo “DemA” decidevano di candidarsi con Manfredi, infiltrandosi nelle liste civiche di appoggio all’ex ministro dell’Università. “Ritengo che questa vittoria, della coalizione fra PD e M5S, rappresenti una vittoria dei napoletani”: così il nuovo sindaco, con l’attenta regia del volpone De Luca, l’emissario di Conte e del governo del banchiere massone Draghi.
L’affermazione personale dell'ex rettore Manfredi col 62,9% dei voti validi e 218.077 preferenze si sgonfia come neve al sole: a votarlo è stato appena il 28,1% degli elettori napoletani. E infatti arretra sia il PD (che perde 3.886 voti rispetto al 2016 attestandosi a 39.904 preferenze, 5,1% del corpo elettorale) e del M5S (-4.554 voti rispetto alle precedenti elezioni con 31.805 preferenze, 4,1%). Trattasi, invece, di una iattura per Napoli che vede accedere a palazzo S. Giacomo un barone universitario proveniente dall’ex PCI (il fratello Massimiliano è stato più volte nella dirigenza del partito revisionista e poi nel PDS-DS) e che fin dalle prime battute parla di privatizzazione dei servizi pubblici come panacea per aggiustare l’enorme deficit di patrimonio delle casse che languono miseramente. In realtà la sua elezione rappresenta i desiderata del governo Draghi prono per erogare gli enormi capitali del “recovery fund” al suo figlio prediletto e per gestire assieme a PD e M5S i soldi che dovrebbero servire al rilancio di Napoli nel post-coronavirus. Una torta enorme che stimola gli appetiti dei vari contendenti del “centro-sinistra” pronti a spartirsi ogni fetta e lasciare le briciole al proletariato e alle masse popolari.
 

Il crollo di Bassolino: da rinnegato del comunismo ad amico dei fascisti
Non ci meraviglia il crollo verticale di Antonio Bassolino (28.451 voti, 3,7% sul corpo elettorale) che aveva imbastito una campagna elettorale costruita, da vecchio volpone revisionista, sull’incontro nei quartieri con la vecchia base del PCI, sui comizi volanti e sul lancio del suo libercolo “Terra nostra”, una sorta di testamento del passato politico da neopodestà di Napoli e da governatore regionale antipopolare. A questo tipo di campagna elettorale l’ex operaista, ammiratore di Ingrao e del destro Napolitano, univa una furiosa lotta contro l’astensionismo fin dai primi incontri con i suoi elettori e concludeva il 1° ottobre nel classico comizio addirittura facendo appello al “voto disgiunto”, ossia sulla possibilità di votare al Consiglio comunale anche uno degli avversari, l’importante è concentrare il restante voto verso la sua figura. Una manovra da narcisista e megalomane che veniva a conclusione di una settimana dove in maniera viscida e opportunista Bassolino abbandonava anche la parvenza di quel pallido antifascismo rimasto ancorato al suo passato nel PCI, incontrandosi nella loro squallida libreria con i fascisti di “Controcorrente” nel centro studi dedicato al defunto ex Lotta di Popolo Pietro Golia, “sgamati” da una foto, probabilmente di un freelance, e pubblicata da Il Mattino martedì 28 settembre. Alla sinistra di Bassolino compare il plurinquisito e fascista storico, attuale deputato del PdL, Amedeo Laboccetta, nonché alcuni noti mazzieri e squadristi napoletani disposti a cerchio ad ascoltare il candidato che oltre a vantarsi delle amicizie fascistoidi come quella del defunto Isotta, si lanciava in un’ammirazione per il fucilatore dei partigiani, Giorgio Almirante, ammettendo di aver partecipato ad una sua commemorazione nel 2018: “trent’anni dopo la sua morte avevo ritenuto di rendergli omaggio”. Da giorni i vecchi fascisti dell’MSI flirtavano con Bassolino, cominciando dalla nipote del duce, Alessandra Mussolini, e finendo con l’ex ministro delle comunicazioni del governo del neoduce Berlusconi, Mario Landolfi (“sto con Bassolino per far fallire l’asse PD-M5S”), fino al fondatore di Forza Italia, Giuliano Urbani, che indicava di votare il novello amico dei nostalgici del duce. Un finale degno per un campione di revisionismo prima e ora pappa e ciccia con la peggiore teppaglia fascista a caccia di voti con la singolare motivazione “sarò il sindaco di tutti e quindi anche di quelli di destra”.
Tutto ciò mentre a Napoli venivano ricordate le Gloriose Quattro Giornate che 78 anni fa videro le masse popolari cacciare dalla città le orde nazifasciste: una offesa al capoluogo Medaglia d’oro della Resistenza tenuto conto che Bassolino non dedicava neanche una parola all’avvenimento.
 

De Magistris e Clemente: che “paliatone”! La casa del fascio al palo
Chi ha rischiato seriamente di non accedere al Consiglio comunale è stata Alessandra Clemente che ha avuto un autentico “paliatone”, in napoleatno “mazzata” elettorale (19.338 voti, 2,5% sul corpo elettorale) confermando la severa punizione che gli astensionisti, soprattutto quelli di sinistra, hanno voluto infliggere alla fallimentare gestione della giunta antipopolare guidata dall'“arancione” De Magistris. A sua volta l’ex pm ha fatto un flop in Calabria e la sua formazione politica, DemA, si è di fatto liquefatta e rischia di implodere dopo il fuggi fuggi generale proprio sotto le elezioni dei suoi uomini in cerca di una poltrona certa tra Consiglio comunale e municipalità. E pensare che De Magistris sindaco nel 2016 aveva preso con la sua lista civica 51.896 voti risultando al secondo posto nel calcolo dei voti del corpo elettorale subito dopo l’astensionismo.
Disastrosa anche la partecipazione di Potere al Popolo che, nonostante prenda qualche consigliere in municipalità, si attesta allo 0,6% sul corpo elettorale (4.358 voti), e anche se rimaniamo sui soli voti validi (l'1,3%) ben lontano dallo sperato 3,5% che rientrava nei desiderata dei dirigenti Laurenzano e Carofalo protagonisti di un patetico video che annunciava, pochi giorni prima della votazione, la percentuale facendo leva sui sondaggi della società privata Pagnoncelli. Fatto sta, invece, che anche i neomutualisti sono stati travolti dall’ondata astensionista di sinistra che ha castigato la loro compagine, con zero ingressi in Consiglio comunale.
Assolutamente non pervenuta la coalizione guidata dal magistrato Catello Maresca che ha dovuto abdicare praticamente un mese prima per la clamorosa defezione delle liste della Lega, esclusa perché il coordinatore cittadino l’antioperaio e nemico giurato dei disoccupati organizzati Severino Nappi, ha presentato le liste oltre l’orario massimo previsto per legge. A quel punto né Salvini - che dirigeva tutte le sue forze verso Caserta per sostenere il candidato Zinzi - né Meloni decidevano di affiancare Maresca, lasciandolo di fatto solo con Forza Italia e con le sue rimanenti liste civiche. Così il responso delle urne ha lasciato a “bocca asciutta” la Lega, e i fascisti di FdI all’1,8% (pari a 14.404 voti) risultato tra i più bassi mai ottenuti da quando Meloni è segretaria.
Il risultato è che Maresca ha preso solo 75.891 voti, il 9,8% sul corpo elettorale.
 

Conclusione
L’avanzata dell’astensionismo, soprattutto quello di sinistra, delegittima le nuove istituzioni locali del regime neofascista. Compito fondamentale per noi marxisti-leninisti è quello di incrementare la propaganda in città per qualificare politicamente l’astensionismo, affinché si apre una grande discussione sul futuro dell’Italia. Una questione che dovrà rappresentare il primo punto all’ordine del giorno della Cellula “Vesuvio Rosso” di Napoli e dei simpatizzanti e amici del PMLI nel propagandare la linea del Partito in città.

13 ottobre 2021