Assunto solo il 25% di Alitalia con stipendio dimezzato
Quasi 8mila licenziamenti, per i 2700 rimanenti disconoscimento del contratto nazionale di lavoro. Blocchi e proteste dei lavoratori, sfidando anche le manganellate della polizia, contro i tagli della nuova compagnia aerea ITA. Alla manifestazione del 24 settembre a Fiumicino presenti anche delegazioni della GKN, ex Ilva, Alitech e i portuali di Genova e Livorno
RITIRARE IMMEDIATAMENTE IL PIANO INDUSTRIALE ITA

Sembra senza fine la vicenda che coinvolge la storica compagnia di bandiera. Continui fallimenti, “resurrezioni” e nuove cadute che negli ultimi decenni si sono susseguiti sempre più velocemente, con un avvicendamento di manager vorticoso i quali, al momento di andarsene, hanno ricevuto liquidazioni milionarie nonostante la gestione disastrosa di Alitalia. A rimetterci, come sempre, i lavoratori, dipinti come privilegiati e fannulloni nel maldestro tentativo di scaricare su di loro le conseguenze delle privatizzazioni e della liberalizzazione del trasporto aereo.

Il disastro delle privatizzazioni
Alitalia, nata nell'immediato dopoguerra, negli anni 80 è arrivata a essere tra le maggiori compagnie aeree europee assieme a Lufthansa, British Airwais e Air France. Indubbiamente l'entrata in scena delle compagnie low cost ha stravolto il mercato, ma anziché rispondere con gli investimenti i governi italiani hanno scelto la strada della privatizzazione. I promotori della svendita della compagnia di bandiera (e non solo di quella) sono stati i governi guidati dal “centro-sinistra” nel 1996 e nel 2006, in entrambi i casi presieduti dall'ex democristiano Romano Prodi.
Dopo gli interessamenti francesi e olandesi, dietro il paravento di preservare “l’italianità della compagnia”, si fece avanti la cordata di “capitani coraggiosi” messa in piedi dal governo Berlusconi, la Cai (Compagnia aerea italiana), la good company guidata dall’imprenditore Roberto Colaninno e tra i soci anche le famiglie Benetton, Riva, Ligresti, Marcegaglia e Caltagirone, mentre la bad company , cioè i debiti, rimase a carico dello Stato e quindi sulle spalle dei contribuenti.
Nonostante le agevolazioni, anche questa gestione ebbe vita breve e nel 2014 arrivarono gli arabi di Etihad. Ma niente da fare, le cose non migliorano e la situazione richiese nuovamente l'intervento pubblico: Alitalia nel 2017 entra in amministrazione straordinaria. Fino ai giorni nostri, con l'aggravante dell'arrivo della pandemia da Covid-19 che falcidia il traffico aereo.

Il diktat della UE
Ma qui entra in scena l'Unione Europea che in sostanza impedisce all'Italia, dopo 10 anni di gestione privata disastrosa, di disporre nuovamente di una propria compagnia di bandiera. Le condizioni per concedere l'autorizzazione agli aiuti di stato sono un vero e proprio capestro. Che la nuova società assuma “sul mercato”, ovvero senza preoccuparsi di riassumere tutto il personale Alitalia, che si faccia uno “spezzatino” che lasci alla nuova ITA solo il personale addetto al volo, vendendo i servizi di terra (handling) e la manutenzione a terzi. Che il marchio Alitalia sia cancellato per sempre, un fatto non da poco visto che nel settore la fidelizzazione è molto importante: praticamente farebbe partire la società un passo dietro ai concorrenti.
Il governo del banchiere massone Draghi ha opposto qualche debole resistenza ma non è andato fino in fondo mentre l'UE, in altre occasioni assai più accomodante, è stata molto rigida. Evidentemente i finanziamenti che l'Europa concede al PNRR rappresentano una spada di Damocle, un ricatto continuo che autorizza l'EU a ingerirsi ancor più di quanto abbia fatto adesso nelle scelte del nostro Paese, ponendoci in una situazione simile a quella riservata alla Grecia quando ha chiesto il maxi prestito nel momento di maggiore crisi economica.

Ridimensionamento e licenziamenti
Tuttavia il “piano industriale” della compagnia aerea che ne è venuto fuori non è stato aggiustato solo sulla base delle pretese della UE, ma sono il frutto anche di scelte autonome della nuova società presieduta da Alfredo Altavilla. Prima di tutto ha annunciato che uscirà da Assaereo, chiedendo ai sindacati un accordo in deroga ponendosi fuori dal contratto nazionale sullo stile FCA, del resto è da li che proviene l'attuale manager ITA. È veramente inaccettabile che proprio un azienda pubblica al 100% faccia dumping contrattuale applicando condizioni di lavoro peggiori delle compagnie low cost e la cancellazione dei diritti acquisiti, con stipendi inferiori anche più del 50% rispetto ad altre compagnie.
Una nuova società che nascerà su scala ridotta, con poche tratte e con 52 vettori rispetto ai 110 precedenti. Una dimensione tale da metterla nel mirino delle grandi compagnie (a loro volta aiutate dai rispettivi stati) che potrebbero fagocitarla in un batter d'occhio. Tra la cessione dei servizi a terra e la riduzione degli aerei, dai 10500 dipendenti di Alitalia si vuol passare ai 2700 di ITA. A farne le spese sopratutto l'hub principale, l'aeroporto di Roma-Fiumicino ridimensionato di due terzi.

Forte risposta dei lavoratori
Di fronte a questa drammatica prospettiva occupazionale la mobilitazione è andata via via crescendo. L'8 settembre manifestazione dei lavoratori Alitalia a Roma, dove centinaia di persone si sono riunite in corteo e hanno sfilato in auto verso la sede di ITA. La protesta è nata dopo l'assemblea convocata da Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl, e sindacato Usb che non aveva portato nessun risultato. Un corteo che ha proceduto lentamente bloccando la circolazione lungo la Roma-Fiumicino, fino alla protesta finale presso la sede della compagnia, presieduta dalla Polizia in tenuta antisommossa. Le richieste più urgenti e immediate sono la proroga della Cigs fino al 2025, che non siano cedute sul mercato il settore manutenzione e handling, il rispetto dei tempi di erogazione del Fondo di solidarietà del trasporto aereo, il rispetto dell'articolo 2112 del codice civile, che prevede il mantenimento dei diritti acquisiti in caso di trasferimento di azienda.
Nella prima metà del mese di settembre si sono svolte altre manifestazioni e sit-in a Roma: in Piazza san Silvestro, davanti la sede della compagnia all'Eur e in Piazza San Giovanni. Lunedì 20 una nuova manifestazione davanti la sede di ITA e il giorno successivo, martedì 21, di nuovo in piazza ma stavolta nel centro città. Una forte risposta dopo che il presidente di Alitalia Alfredo Altavilla ha chiuso ogni possibilità di confronto con il sindacato confermando i 7800 licenziamenti diretti ma che calcolando l'indotto mettono a rischio nello scalo di Fiumicino e nel territorio limitrofo alcune decine di migliaia di posti di lavoro.
Il 24 settembre, giornata di sciopero di tutto il trasporto aereo, manifestazione con migliaia di lavoratori davanti all'aeroporto di Fiumicino. Erano presenti anche delegazioni provenienti da altre vertenze dov'è in gioco il posto di lavoro. Tra le più consistenti quella della GKN di Campi Bisenzio. Dopo la conclusione dei comizi dei rappresentanti sindacali una parte consistente dei manifestanti ha forzato il cordone di agenti in assetto antisommossa bloccando la Roma-Fiumucino nonostante le manganellate della polizia.
I lavoratori e i sindacati chiedono il mantenimento del posto per tutti i dipendenti Alitalia che non sono alla soglia della pensione, l'applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro che si vorrebbe bypassare, e più in generale che un azienda di proprietà dello Stato, quindi gestita con i soldi pubblici, ritiri un piano che prevede migliaia di licenziamenti e si proceda invece alla sua ritrasformazione in una vera azienda di Stato.

20 ottobre 2021