Lo rivela il Collettivo Link
Draghi taglia la spesa per l'istruzione
La giovane attivista svedese Greta Thunberg, fondatrice del movimento Friday for futures, ha “bacchettato” i potenti del mondo a suon di “bla, bla, bla”, portando in quelle conferenze mondiali al cospetto dei rappresentanti dei Paesi ricchi, la voce popolare che li vede come spietati parolai, bugiardi e opportunisti, sul contrasto al riscaldamento globale ma non solo.
Non sfugge a questa etichetta nemmeno il banchiere massone Draghi, presidente del Consiglio Italiano e osannato da tutta la borghesia nostrana e internazionale senza eccezioni, che lo vede già proiettato verso il Quirinale non appena avrà terminato il suo ruolo presidenzialista in un parlamento ormai servo e esautorato di ogni sua funzione.
Draghi nel suo discorso programmatico di insediamento alle Camere, dichiarò di dover fare “tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura”, e già nell'estate del 2020 al Meeting di Comunione e Liberazione, pose l'accento sugli “investimenti” indispensabili, a partire proprio dalla scuola: “La situazione presente rende imperativo e urgente un massiccio investimento di intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore”.
Eppure gli studenti del Collettivo Link, esaminando la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), ossia il testo in cui il governo spiega come intende impiegare le risorse ora e nei prossimi anni, hanno evidenziato di come i fondi per l’istruzione in rapporto al Pil scenderanno sostanzialmente.
Nel 2020 all’istruzione è stata destinata una quota pari al 3,9% del Pil, lo stesso valore del 2010, ma in netto calo rispetto al 4,6% che ancora si registrava nell'ormai lontano 2007. Al 2025 poi, secondo la Nadef, la spesa diminuirà fino al 3,5% giungendo nonostante i fondi integrativi del Pnrr a quanto stanziato nel 2015 in piena “austerità”, per poi ridursi ancora negli anni successivi tra il 3,2 e il 3,3.
“Da anni rivendichiamo che le spese per l’istruzione devono rappresentare almeno il 5% del Pil – spiegano gli studenti – Già ora il sistema scolastico e quello universitario scontano gravi carenze: mancano insegnanti nelle scuole e professori nelle università, strutture adeguate, i servizi del diritto allo studio non sono sufficientemente finanziati e c’è ancora un’alta percentuale di abbandono scolastico”.
Quello di Draghi dunque va in piena continuità con i governi precedenti, con il “Conte” ad esempio, che già nel dicembre 2019 aveva proposto e approvato la legge di Bilancio per il triennio 2020-2022 che prevedeva nuovi tagli progressivi per un totale di circa 4 miliardi di euro. Più in generale, la spesa pubblica per l’istruzione nel nostro Paese è diminuita del 7% nel periodo 2010-2018 e quella universitaria del 19%, rimanendo in fondo alle classifiche dell'intera Unione Europea, la cui media in rapporto alla spesa pubblica totale sfiora il 10%. (dati UE, Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione 2020 della Commissione europea).
Non è certo sufficiente nascondersi dietro al dito del calo demografico, anche perchè proprio questo processo non certo positivo, avrebbe potuto essere colto come una occasione di investimento per migliorare strutturalmente la qualità del sistema, portando la spesa media per alunno a valori comparabili, ad esempio, con quelli di Francia e Germania, qualificando e generalizzando gli scarsissimi servizi per la prima infanzia in tutto il Paese, e anche per ridurre le disuguaglianze territoriali e per realizzare strutture scolastiche e universitarie accoglienti, ecologiche e dotate di spazi educativi adeguati.
Al contempo nel decennio 2010 – 2020, oltre 5 miliardi di soldi pubblici sono stati consegnati alle scuole private, di matrice religiosa e non. Una vergogna.
Ma l'interesse di Draghi e del suo esecutivo, non è certo quello di rispondere alle esigenze delle giovani e dei giovani, né quello di rendere effettivo il diritto allo studio per tutti a partire dalla scuola primaria, per finire alle università.
All'origine della demolizione progressiva, costante e trasversale del sistema scolastico e universitario da parte di tutti i governi, rimane il fatto che la scuola e l'Università italiane sono borghesi da cima a fondo, e servono in ultima analisi ad educare i giovani a contenuti culturali, ordinamenti, finalità, indirizzi, metodi didattici e pedagogici utili al sistema capitalista, per quanti ne servono alla borghesia stessa nei posti strategici di domani.
In questo modo la borghesia al potere inculca l'ideologia e la morale dominanti, nel tentativo di educare le studentesse e gli studenti al rispetto della gerarchia sociale e del lavoro capitalistico.
Ecco perché in concreto continua la discriminazione nei confronti dei figli “del popolo”, esclusi dalle università sempre più care e a numero chiuso, costretti a studiare nel quadro predetto, in classi “pollaio”, con scarsità di insegnanti e di personale, in strutture vecchie, fatiscenti, poco attrezzate e largamente insufficienti, e senza poter incidere in alcun modo sulle scelte di una istituzione che dovrebbe essere a loro disposizione in tutto e per tutto.
Insomma, nulla ha insegnato la pandemia, nemmeno per quanto riguarda l'istruzione. Una scuola e una università diversa, davvero pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti, passa innanzitutto dalla lotta nei confronti delle politiche antisociali e antipopolari del banchiere massone Draghi e del suo governo borghese al servizio dei capitalisti.
20 ottobre 2021