Fondazione Open, chiusa l'inchiesta
Renzi e Boschi accusati di finanziamento illecito, Lotti di corruzione
Il 19 ottobre, a poco più di due anni dall'avvio delle prime indagini, la procura di Firenze ha chiuso l'inchiesta sui finanziamenti alla Fondazione Open, considerata la cassaforte della corrente politica di Matteo Renzi.
Tutti i massimi esponenti del “Giglio Magico” renziano con alla testa l'ex premier, ex segretario del PD e attuale senatore di Italia Viva, Matteo Renzi, risultano indagati a vario titolo di finanziamento illecito ai partiti e corruzione.
L’udienza preliminare, per decidere un eventuale rinvio a giudizio degli imputati, si terrà nella primavera del 2022.
L'inchiesta condotta dal Pubblico ministero (Pm) Antonino Nastasi insieme al procuratore aggiunto Luca Turco e al procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo è stata avviata nel settembre del 2019 quando la procura ordinò alla Guardia di Finanza decine di perquisizioni in varie città italiane per accertare la correttezza dei lauti finanziamenti elargiti da grandi e piccoli imprenditori in favore della Fondazione diretta da Renzi.
Insieme a Renzi hanno ricevuto l'avviso di conclusione indagini anche tutti gli altri “componenti del consiglio direttivo della Fondazione Open” ossia la sua ex ministra e attuale capogruppo di Italia viva alla Camera Maria Elena Boschi, l’ex sottosegretario e attuale deputato del Pd Luca Lotti, l’avvocato degli affari sporchi di Renzi Alberto Bianchi – già presidente di Open – e il fedelissimo imprenditore Marco Carrai, considerato il “Verdini” di Italia Viva e di Renzi.
Nelle 15 pagine che compongono l'avviso di chiusura delle indagini i magistrati scrivono fra l'altro che la Fondazione Open ha agito come l’articolazione di un partito e tra il 2012 e il 2018 e in tale veste ha ricevuto “in violazione della normativa” sul finanziamento ai partiti circa 3,5 milioni di euro, spesi almeno in parte per sostenere direttamente la scalata di Renzi ai vertici del PD e del governo.
Dal 7 novembre 2014 all’11 luglio 2018, sostiene ancora la Procura fiorentina, la Fondazione ha ricevuto 3.567.562 euro elargiti da una lunga lista di finanziatori individuati dalla Guardia di finanza, alcuni dei quali avrebbero corrotto l'ex ministro e sottosegretario a Palazzo Chigi Luca Lotti perché nella sua carica segretario del Comitato Interministeriale per la programmazione economica li agevolasse nei rispettivi settori.
Per questo agli altri sei indagati: P. D., Alfonso Toto, Riccardo Maestrelli, Carmine Ansalone, Giovanni Caruci e Pietro Di Lorenzo vengono contestati a vario titolo i reati di finanziamento illecito ai partiti, corruzione, riciclaggio e traffico di influenze.
L'avviso di chiusura indagine coinvolge anche quattro società: la Toto Costruzioni, la Immobil Green, la British American Tobacco Italia spa e la Irbm spa.
Si tratta di un'indagine che potrebbe avere risvolti molto gravi sul futuro politico ed elettorale non solo di Renzi ma di tutto il suo partito. Non a caso, come rivela il Corriere Fiorentino
del 23 ottobre, già a fine estate, ancor prima che Renzi ricevesse ricevere l'avviso di conclusione indagini, i suoi legali avevano presentato alla Procura di Firenze “formale intimazione di astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa preclusa dall’art. 68 della Costituzione e dell’articolo 4 della legge 140/2003, (legge Boato e Lodo Schifani ndr) nonché nell’utilizzare conversazioni e corrispondenza casualmente captate senza previa autorizzazione della Camera di appartenenza”. Ossia l'immunità parlamentare e il divieto di utilizzo delle intercettazioni a suo carico.
In poche parole Renzi, che per anni, quando non era parlamentare, ha rinfacciato a tutti i politici indagati di usare l'immunità parlamentare per difendersi dalle accuse, adesso è lui che cerca si sottrarsi al giudizio della magistratura e invoca l'immunità non per proteggere opinioni insindacabili espresse nell’esercizio delle funzioni, ma per proteggere se stesso e tutto il “Giglio Magico” dal possibile processo sulla montagna di finanziamenti che in soli sei anni gli hanno spianato l'ascesa politica da Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi. Una immunità parlamentare retroattiva, visto che all'epoca dei fatti non era parlamentare.
Secondo la Procura, Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi erano “componenti del consiglio direttivo della Fondazione Open, riferibile a Renzi Matteo (e da lui diretta)”. E dunque per i Pm all’ex premier viene contestato il reato di finanziamento illecito ai partiti come direttore “di fatto” della stessa fondazione. Renzi, Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi sono indagati per l’ipotesi di reato di finanziamento illecito ai partiti perché “ricevevano, in violazione della normativa citata, i seguenti contributi di denaro che i finanziatori consegnavano alla Fondazione Open; somme utilizzate per sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana”.
Nel lungo elenco di finanziatori, tra i più generosi – estranei alle indagini – c’è la società Moby, che nel 2015 ha dato 100mila euro, e Vincenzo Onorato, patron della stessa azienda di collegamenti marittimi, che ha bonificato 50mila euro nel 2016.
Molto generose anche le donazioni di Tci telecomunicazioni Italia (200mila nel 2017 e 300mila nel 2018) e Tci elettromeccanica srl (200mila nel 2017 e 200mila nel 2018).
Nell’elenco spiccano anche i bonifici di Getra power e la Getra distribution che versano a Open rispettivamente 75mila euro il 13 ottobre 2016: quattro mesi prima Renzi aveva visitato gli stabilimenti di Marcianise.
Dallo stampatore Vittorio Farina, invece, sono arrivati 200mila euro divisi in 2 tranche da 50mila nel dicembre del 2016 e una da 100mila nel maggio del 2017. Farina, noto per i suoi vecchi legami col faccendiere piduista Luigi Bisignani, nel marzo scorso è finito ai domiciliari per una vicenda legata a una fornitura di mascherine non conformi: era già stato arrestato nel 2017 per bancarotta fraudolenta.
La società British American Tobacco, seconda più grande azienda mondiale produttrice di sigarette, ha donato poco più di 253 mila euro in totale negli anni 2014, 2015 e 2017. Proprio per la vicenda Bat– la società è indagata per la legge 231 – a Lotti e Bianchi viene contestata la corruzione per l’esercizio della funzione. A Lotti, che era segretario del Cipe all’epoca in cui Renzi stava a Palazzo Chigi, si contesta di essersi “ripetutamente adoperato, nel periodo temporale 2014 – 2017, in relazione a disposizioni normative di interesse per la spa British American Tobacco Italia spa (delega fiscale 2014 in materia di accise sui tabacchi lavorati, procedura comunitaria 2015 relativa al c.d. ‘pacchetto generico‘, emendamenti a legge di bilancio 2016, emendamento onere fiscale minimo legge bilancio 2017)”. Sempre per questa vicenda sono indagati Giovanni Caucci e Carmine Gianluca Ansalone, rispettivamente vice presidente del consiglio di amministrazione e responsabile dell’ufficio relazioni esterne della società, per l’ipotizzato finanziamento illecito. Sempre per la questione Bat la procura rileva una contestazione anche all’ex presidente di Open: Alberto Bianchi per gli inquirenti avrebbe emesso una fattura falsa (con data 3 agosto 2016) dell’importo di 83.200,00, ma in realtà avrebbe versato il ricavato (al netto delle imposte) alla Fondazione Open per nascondere la donazione.
Sempre Lotti è accusato perché nell’esercizio delle sue funzioni si sarebbe “ripetutamente adoperato, nel periodo temporale 2014 – giugno 2018, affinché venissero approvate dal parlamento disposizioni normative favorevoli al gruppo Toto”, titolare di concessioni autostradali. In cambio di queste “attenzioni” è accusato di aver ottenuto finanziamenti per la fondazione. In particolare, come “ricompensa” per l’operato di Lotti, il gruppo Toto avrebbe versato all’allora presidente di Open, Bianchi, 801.600 euro a fronte di una “prestazione professionale fittizia“. Di questa somma, Bianchi avrebbe poi versato 200.000 euro alla Open e altri 200.000 al comitato per il Sì al referendum sulla riforma costituzionale. Per quest’episodio
oltre a Lotti sono accusati di corruzione Bianchi, l’imprenditore P. D. e
Alfonso Toto, quale referente della Toto Costruzioni. Sempre in relazione allo
stesso episodio, a Toto viene contestato anche il reato di finanziamento
illecito ai partiti. Sia Alfonso Toto che P. D. inoltre devono rispondere dell’accusa di traffico di influenze illecite in concorso: per l’accusa,
P. D., si sarebbe fatto pagare da Toto circa un milione di euro “sfruttando relazioni esistenti con Lotti Luca”. Nell’avviso di conclusione indagini si legge che l’indagato “indebitamente si faceva dare da Toto, come prezzo della propria mediazione illecita verso il predetto pubblico ufficiale e per remunerare lo stesso in relazione all’esercizio delle sue funzioni (con riguardo all’approvazione da parte del Parlamento di disposizioni normative favorevoli al gruppo Toto), la somma di euro 1.030.000”. Il denaro, sostengono i pm, fu corrisposto attraverso Renexia spa (gruppo Toto) alla Immobil Green srl amministrata da
P. D. il quale è accusato anche di autoriciclaggio per aver cercato di nascondere la provenienza dei soldi impiegando parte della somma ricevuta in due società attive nel settore del turismo e dell’immobiliare.
Tra gli indagati c’è anche Riccardo Maestrelli, l’imprenditore nominato dal governo Renzi nel cda alla Cassa depositi e prestiti nel 2015 e il cui nome era emerso per il prestito ricevuto dal senatore per l’acquisto della villa nella esclusiva collina di piazzale Michelangelo a Firenze. I Pm contestano all’imprenditore il finanziamento illecito per tre versamenti alla Open attraverso tre società: la Framafruit per 70mila euro, la Tirrenofruit per 50mila euro, la Fondiaria Mape per 30mila euro. Tutte donazioni avvenute tra il 22 e 23 febbraio del 2018. Denaro utilizzano secondo i pm “per acquistare beni e servizi destinati a Renzi”.
L’ultimo filone dell'inchiesta ha come protagonisti ancora l’avvocato Bianchi e Pietro Di Lorenzo. Secondo gli inquirenti l’ex presidente di Open – sfruttando la sua relazione con Lotti – si faceva dare da Di Lorenzo “come prezzo della propria mediazione illecita” 130mila euro tramite la società Irbm tra l’ottobre del 2016 e il giugno del 2017. Una mediazione che avrebbero dovuto riguardare l’erogazione di finanziamenti pubblici per la realizzazione di una tv scientifica su piattaforma digitale e satellitare in favore del consorzio Cnccs (Collezione nazionale dei composti chimici e centro screening) partecipato dalla stessa Irbm e dal Consiglio nazionale delle Ricerche e dell’Istituto superiore di Sanità. I 130mila euro, stando ai calcoli delle Fiamme gialle, sono stati versati in cinque tranche: tre da 30mila euro e due da 20mila.
27 ottobre 2021