A Roma presieduto da Draghi
Il G20 dei venditori di fumo imperialisti
Solo parole sul cambiamento climatico globale, non citata la data-limite del 2050. Nessun accordo sul clima ed energia, chiacchiere sul Covid, solo promesse ai paesi poveri, ridicola tassa alle multinazionali digitali
Biden e Draghi rilanciano il legame strategico tra l'imperialismo americano e quello italiano
Il vertice dei 20 maggiori paesi industrializzati, il G20, che si è svolto a Roma il 30 e 31 ottobre è stato un successo, parola del presidente di turno Mario Draghi che nella conferenza stampa finale ha sbandierato una presunta vittoria del multilateralismo per aver convinto in particolare i riottosi Cina e Russia a sottoscrivere il documento finale anche nella parte che riguarda gli impegni sul clima e ha spiegato che il successo consisterebbe nell'aver mantenuto "vivi i nostri sogni e - avvisava - ora la credibilità dipende dalle nostre azioni". "Molti dicono che sono stanchi del bla bla, io credo che abbiamo riempito di sostanza le parole", teneva a precisare per dire che i partecipanti avrebbero risposto al pungente e preciso richiamo della giovane attivista svedese Greta Thunberg e del movimento Friday for futures che li ha denunciati come parolai, bugiardi e opportunisti, sul contrasto al riscaldamento globale. Draghi giurava che questo impegno doveva essere "trasformato in fatti" già alla successiva conferenza mondiale sull'ambiente, la Cop26 di Glasgow. Con fatti come quelli del suo governo che, annunciava, avrebbe raddoppiato con 7 miliardi di dollari in cinque anni i contributi per gli investimenti nei paesi meno sviluppati a favore della trasformazione economica nella cosiddetta energia verde, investimenti che tra fondi pubblici e privati potevano arrivare a "cifre stratosferiche, fino a 140 trilioni di dollari".
Draghi si è comportato come un banditore che all'asta cerca di esaltare un prodotto seppur non entusiasmante per ricavarne il massimo profitto ma nella sostanza il G20 di Roma è stato il vertice dei venditori di fumo imperialisti. Pieno di sole parole sul cambiamento climatico globale e non in grado di fissare neanche l'illusoria e insufficiente data-limite del 2050 per la fine delle emissioni di anidride carbonica, come sui finanziamenti per aiutare la cosiddetta economia verde e sulla lotta al Covid nei paesi poveri, fino alla ridicola tassa alle multinazionali digitali. Finanche il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres ha dichiarato che si aspettava di più dal vertice.
Il tema del clima è stato al centro dell'attenzione, per le palesi divergenze sulla scadenza entro cui ridurre le emissioni di anidride carbonica e abbandonare le venefiche e mortali fonti energetiche quali carbone e petrolio tra i maggiori paesi inquinatori, Usa e Cina in testa, seguite a ruota da Russia e India, Germania, Arabia Saudita, Australia in un vergognoso scaricabarile per stabilire a chi tocca iniziare per primo verso un obiettivo tra l'altro posto lontanissimo nel tempo. Quando è evidente che le misure devono essere a effetto immediato come gridato nelle piazze di Roma ai leader imperialisti arroccati nella sede del vertice all'Eur.
Nel documento finale i Venti ribadiscono che "restiamo impegnati all'obiettivo degli accordi di Parigi di mantenere l'aumento del temperatura media globale ben al di sotto dei due gradi e di perseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5 gradi al di sopra dei livelli preindustriali". Ma tra gli obiettivi tra l'altro insufficienti della Cop21 tenuta nel 2015 nella capitale francese c'è l'impegno a fermare e a invertire la perdita di biodiversità entro il 2030 e a ridurre a zero le emissioni entro il 2050. Una data che a parole i pesi imperialisti occidentali dicono di voler rispettare ma che le potenze economiche che hanno scalato le posizioni mondiali fino al vertice anche grazie al mancato rispetto per l'ambiente, Cina e India, e Russia e Arabia Saudita che sono i produttori di gas e petrolio al secondo posto nel mondo dopo gli Usa vogliono posticipare almeno al 2060 per non perdere i vantaggi economici acquisiti. Così come altri paesi imperialisti, dal Brasile alla Turchia, dal Messico all'Indonesia e all'Australia che non vogliono abbandonare le energie fossili (carbone, petrolio, gas). Il compromesso riportato nel documento finale non mette neanche una scadenza con i Venti che si impegnano a "raggiungere emissioni nette globali di gas serra pari a zero o la neutralità del carbonio entro o intorno alla metà del secolo".
Se anche il G20 fosse riuscito a confermare i parametri di Parigi non basterebbe, non sarebbe il successo sbandierato da Draghi. Lo stesso segretario Onu Guterres alla vigilia del vertice aveva avvisato che "il nostro Pianeta sta andando verso la catastrofe climatica. Mentre i leader si preparano per la Cop26 di Glasgow, siamo ancora lontani dall'obiettivo di rimanere sotto i +1,5 °C di cui il nostro mondo ha disperatamente bisogno. Se guardi ai piani nazionali attuali, quelli che abbiamo mostrano un percorso che va verso i 2,7 gradi al di sopra dei livelli preindustriali". Quasi il doppio del dato che tutti i leader imperialisti mondiali giurano di voler rispettare. Anche l’ultimo rapporto dell’Organizzazione metereologica mondiale ha rivelato come il 2020, nonostante le attività rallentate dalla pandemia, sia stato l’anno record per le quantità di emissioni inquinanti. E quanto sia precaria la ridicola intesa del G20 di Roma lo ha mostrato il premier indiano Narendra Modi che nel volo da Roma a Glasgow per la Cop26 ha già cambiato idea e l'1 novembre alla conferenza Onu dichiarava che l'India raggiungerà l'obiettivo delle emissioni zero nel 2070. D'altra parte era al cospetto della copresidenza italo-britannica, col premier inglese Boris Johnson che a inizio 2021 appoggiava l'apertura di una nuova miniera di carbone in Cumbria, poi sospesa, e dalla tribuna di Glasgow pontificava che "la Cop26 deve segnare l'inizio della fine del cambiamento climatico".
Uno dei risultati del vertice del G20 di Roma sarebbe l’impegno a fornire dosi per contribuire al piano vaccinale dell'Organizzazione mondiale della Sanità che prevede di vaccinare il 40% dei quasi 8 miliardi della popolazione mondiale entro quest’anno e il 70% entro metà 2022. Secondo l’ambasciatore dell’Oms, Gordon Brown, tra Ue, Usa, Gran Bretagna e Canada ci sono almeno 600 milioni di dosi non usate che dati i numeri non bastano proprio. In un documento diffuso da Oxfam, Emergency e Amnesty International si denunciava che "le Nazioni ricche hanno finora donato ai Paesi in via di sviluppo appena 261 milioni di vaccini Covid, a dispetto degli 1,8 miliardi di dosi promesse. L’Italia ne ha consegnate 6,1 milioni dei 45 promessi dal Premier Draghi". Di nuovo promesse insufficienti e nemmeno mantenute.
"Le aziende farmaceutiche, che detengono i brevetti dei vaccini, dal canto loro, hanno destinato solo il 12% delle dosi assegnate al COVAX, l’iniziativa voluta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per garantire l’accesso nei Paesi a basso-medio reddito ai vaccini. L’industria farmaceutica nel 2021 produrrà 1,3 miliardi di dosi in meno di quelle programmate, continuando a vendere quelle prodotte al miglior offerente", proseguiva la denuncia delle tre organizzazioni che rivendicava giustamente la sospensione dei diritti di proprietà intellettuale per vaccini, test e trattamenti Covid-19 detenuti dall’industria farmaceutica che continua "a vendere la stragrande maggioranza delle dosi al miglior offerente tra i paesi ricchi, applicando un costo fino a 24 volte quello di produzione" e si oppone alla sospensione dei monopoli sui vaccini Covid che consentirebbe la produzione nei paesi a basso reddito dove al momento è vaccinato appena il 1,8% della popolazione.
Dall'elemosina promessa sui vaccini a quella sugli aiuti ai paesi poveri nella cosiddetta transizione climatica. Il G20 conferma il fondo di 100 miliardi di dollari anche se durante la trattativa era ipotizzata una crifra superiore. Tanto l'aumento del fondo non sarebbe servito a nulla, i "generosi" leader imperialisti i 100 miliardi li avevano già promessi promessi 12 anni fa e mai versati come confessava il presidente francese Macron. Alla riunione preparatoria della Cop26 a Milano del 2 ottobre l'inviato degli Usa per il clima John Kerry aveva sollecitato un intervento massiccio di capitali privati per arrivare fino a 4 trilioni di dollari l'anno e con una gestione in collaborazione con il World Economic Forum di Davos. E aprire così nuovi mercati alle multinazionali che hanno già sfruttato all'osso le risorse e l'ambiente degli stessi paesi e ricavare nuovi profitti dall'investimento delle "cifre stratosferiche" richiamate da Draghi.
Occorre investire nello sviluppo di energia "verde", indica il G20 anche quando chiede di cessare gli investimenti nelle nuove centrali a carbone entro fine anno. Una misura che ha trovato oppositori in quei pesi dove sono in corso progetti per la costruzione di nuove centrali, dalla Cina alla Turchia, alla Polonia. Per gli investimenti pubblici la realizzazione della promessa dipende dai governi che ovviamente non possono rispondere per i capitali privati, per le banche Usa che sono le prime per capitali investiti nel settore ma anche per quelle europee che hanno partecipato a un quarto di tutti i progetti per lo sviluppo di centrali a carbone del mondo tra il 2016 e il 2018. Secondo il recente rapporto “Banking on Climate Change”, pubblicato da una rete di sei Ong che si occupa di temi legati al finanziamento dell’industria fossile, nel triennio hanno investito oltre 21 miliardi di dollari banche come la svizzera Credit Suisse e britannica Barclays, superate però dal balzo della francese BNP Paribas che nel 2020 da sola ha tirato fuori 41 miliardi di dollari in finanziamenti fossili. Tutte ben lontane dalle primatiste mondiali americane, a partire dalla JPMorgan Chase, e tutte insieme hanno aumentato i finanziamenti di ben il 10% nel 2020 rispetto all'anno precedente. E non sembrano intenzionate a mettere in pratica la fine dei finanziamenti propugnata dal G20 entro due mesi.
Altro risultato ridicolo venduto come un successo dal vertice G20 è quello della futura applicazione di una tassazione minima del 15% dal 2023 per le multinazionali da pagare nei Paesi in cui operano. Una misura che dovrebbe tra l'altro ostacolare la pratica delle grandi multinazionali di rifugiarsi nei paradisi fiscali. Se funzionerà in questo senso probabilmente sarà perché, come metteva in evidenza una nota di Oxfam, la tassa minima del 15% è poco più del 12% applicato nei paradisi fiscali. Ma resta sempre una miseria, che non sarà applicata tra l'altro nei paesi che non hanno partecipato alla trattativa che si è svolta in sede Ocse, vedi Cipro, un paradiso fiscale interno alla Ue, dove la tassa per le aziende è al 12,5%.
Chiusi i lavori del G20 i leader imperialisti si sono spostati quasi tutti a Glasgow, alla Cop26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Un appuntamento decisivo secondo il segretario Onu Guterres: "Glasgow, senza accordi si rischia un biglietto di sola andata per il disastro". Tra i primi interventi quello di un'indigena dell'Amazzonia che ha ripetuto l'allarme: "Non si tratta del 2030 o del 2050. Il disastro è qui, è ora". Ma i leader imperialisti non ci sentono, vendono fumo e sono sempre impegnati a difendere gli interessi capitalistici delle borghesie nazionali che rappresentano, sulla pelle dei propri popoli e dei popoli e paesi più poveri; senza alcun rispetto per l'ambiente, a meno che non diventi una nuova opportunità di profitto.
Un'ultima annotazione sul G20 di Roma riguarda uno dei tanti incontri bilaterali, che spesso hanno risultati più significativi dei lavori ufficiali affidati agli sherpa, quello tra il presidente americano Joe Biden e Mario Draghi che hanno rilanciato il legame strategico tra l'imperialismo americano e quello italiano. "Mi congratulo col premier Mario Draghi. Con questo G20 ha fatto un lavoro straordinario" sosteneva Biden nella sua conferenza stampa finale, dove ha esultato per un vertice che avrebbe "prodotto risultati tangibili su clima, pandemia ed economia" ovviamente grazie "al potere che ha l'America quando si impegna". Nell'incontro bilaterale del 29 ottobre a palazzo Chigi i due leader imperialisti hanno evidenziato "l'eccellente cooperazione fra la presidenza italiana del G20 e gli Usa nella gestione delle più importanti sfide globali", un segno della "solidità del legame transatlantico" di un legame strategico tra i due paesi con Biden che si fida di Draghi anche per quanto riguarda il tema dello sviluppo della Difesa europea, valida "anche per la sicurezza transatlantica, in un rapporto di complementarietà".
3 novembre 2021