In Italia sono almeno 15 le strutture ospedaliere fuorilegge, con il 100% di personale anti-abortista
Indagine sugli obiettori di coscienza: a Cesena sono il 63% nel consultorio e il 47% all’ospedale
Dal corrispondente dell’Emilia-Romagna
I numeri dell’indagine “Mai dati!” realizzata da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, presentata al XVIII Congresso dell’Associazione Luca Coscioni, conferma come l’applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza sia ancora ostacolata a 43 anni di distanza dal referendum popolare che l'ha sancita.
Le relatrici denunciano innanzitutto come “la Relazione sulla stessa legge del Ministero della Salute pubblicata lo scorso 16 settembre e i dati in essa contenuti restituiscano una fotografia poco utile, sfocata, parziale di quanto avviene realmente nelle strutture ospedaliere del nostro Paese” in quanto, ad esempio, pubblicando i dati per Regione e non per struttura ospedaliera, risulta che il massimo di obiettori è dell’85% in Sicilia. Ma che vi sono almeno 15 ospedali fuorilegge nel nostro Paese, ossia con il 100% dei ginecologi obiettori di coscienza, fuorilegge in quanto è vietata l’obiezione di struttura, ospedali situati in Lombardia, Liguria, Piemonte, Veneto, Toscana, Umbria, Marche, Basilicata, Campania, Puglia, e 5 presidi in cui la totalità del personale ostetrico o degli anestesisti è obiettore, e questo con solo il 60% di risposte alle richieste di accesso civico alle Asl e alle aziende ospedaliere censite dal ministero Salute. Facile pensare che tra chi non ha risposto vi siano altre situazioni d’illegalità, comunque evidentemente non sanzionate e perseguite in nessun modo, o comunque di pesanti ostacoli frapposti al legittimo diritto di aborto delle donne.
Lalli e Montegiove dichiarano: “La nostra indagine ha una ragione politica e una pratica: i dati dovrebbero essere pubblicati regolarmente e in modo diverso: aperti e dettagliati sulle singole strutture, come previsto dal codice dell’amministrazione digitale per il principio che i dati devono essere aperti e accessibili. Solo se sono aperti i dati hanno davvero un significato e permettono alle donne di scegliere in quale ospedale andare, sapendo prima qual è la percentuale di obiettori nella struttura scelta. Non tutte possono scegliere perché vivono in una città dove c’è un solo ospedale oppure in una regione dove c’è un unico non obiettore. Un servizio medico non dovrebbe essere applicato in modo tanto diverso e non omogeneo”.
Anche a Cesena si è svolta un’indagine simile, condotta dall’associazione “Ipazia libere donne”, che ha partecipato a una mappatura sull’obiezione di coscienza in regione, e i dati non sono affatto confortanti. Anzi, proprio Cesena detiene il primato regionale di ostetriche obiettrici all’interno del consultorio, il 63%, e anche all’ospedale Bufalini la percentuale di ginecologi antiabortisti è molto alta, il 47%, mentre sono addirittura il 53% a Rimini, il 33% a Forlì e il 30% a Ravenna. Sempre a Cesena c’è anche il 36% di obiettori tra gli anestesisti, il 31% tra le ostetriche e il 14% tra le infermiere.
“Ipazia libere donne” si è costituita nel 2019, prendendo nome dalla “più grande scienziata e filosofa dell’antichità lapidata per la sua libertà di pensiero e di indipendenza" da una folla di cristiani, per “manifestare la propria contrarietà al clima di oscurantismo e attacco ai diritti conquistati dalle donne dopo anni di dure battaglie”, lottare contro un “disegno complessivo teso a ristabilire una società patriarcale e a smantellare alcuni capisaldi conquistati negli ultimi 50 anni", per "un cambiamento culturale nella società e nella scuola che favorisca il riconoscimento della parità tra i sessi, del diritto al lavoro e all’autonomia economica delle donne" spiegano le fondatrici dell'associazione, e proprio la difesa della legge 194/78 è tra i suoi capisaldi, considerata "legge di fatto sempre più ostacolata da ripetuti tentativi di revisione”. E infatti denunciano come “‘Ipazia è particolarmente contrariata dalle tante professioniste anti-abortiste che lavorano nel consultorio: “Come è possibile che proprio in quella che è la prima struttura a cui ricorre la donna per chiedere il certificato per l’interruzione volontaria di gravidanza, questa sia accolta da ostetriche obiettrici? Come si può condurre un colloquio e rispondere alle richieste di una donna essendo intimamente discordi con la scelta che chiede di fare? Come non perpetrare lo stigma per la scelta dell’interruzione volontaria di una gravidanza? Queste sono le domanda che ci siamo poste e che poniamo”. Perciò l’associazione intende aprire con i responsabili dell’Ausl “un confronto proprio sul ruolo dei consultori, ai quali la Legge 194 del 1978 ha affidato compiti precisi per una procreazione cosciente e responsabile, che comprende anche l’interruzione volontaria di gravidanza. Invece nel 2021 la realtà è ben diversa. I finanziamenti sono in continua riduzione, consultori depotenziati o chiusi in molte zone, insufficienti. Basti pensare che Cesena ha un solo consultorio per una popolazione di 97.000 abitanti. E di educazione sessuale per le giovani generazioni non se ne parla più. Come si pensa in questo modo di corrispondere agli obiettivi della 194? Se vogliamo fare veramente prevenzione occorre agire su educazione sessuale e contraccezione. Occorre che tutte le cittadine e tutti i cittadini siano informati e s’interessino a queste tematiche. La salute e l’autodeterminazione delle donne non possono essere continuamente sotto attacco. L’interruzione volontaria di gravidanza non può essere un percorso a ostacoli e l’obiezione di coscienza non può diventare una questione di comodo”.
10 novembre 2021