La seconda all'estero dopo quella di Gibuti
Il socialimperialismo cinese costruisce una base militare in Tagikistan
Tra il 22 e il 23 ottobre si sono svolte in Tagikistan, lungo il confine con l’Afghanistan, le manovre militari “Interaction-2021” dedicate a "operazioni per identificare e distruggere le formazioni armate terroristiche che invadono le aree prossime ai confini dei Paesi membri della CSTO, nella regione dell’Asia Centrale”, avvisava un comunicato da Mosca. L’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva è l'organizzazione militare nata il 15 maggio 1992 promossa e guidata dalla Russia e che comprende anche Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. E proprio nel paese centroasiatico, presso la capitale Dushanbe, ha la 201esima base militare, la più grande struttura militare della Federazione Russa all'estero che recentemente l'imperialismo russo ha annunciato di voler ulteriormente potenziare. Ma nel paese non è la sola base, ce ne sarà una nuova del socialimperialismo cinese, che comunque già ne gestisce una.
A fine ottobre il governo di Dushanbe ha approvato l'offerta di Pechino di costruire una nuova base militare nel Gorno-Badakhshan, nella regione confinante col corridoio del Wakhan, quella lingua di terra afghana che arriva fino al punto di confine con la Cina nello Xinjiang. Con i 10 milioni di dollari investiti nella costruzione della nuova base militare il socialimperialismo cinese si sarebbe guadagnato anche il controllo gratuito della base esistente da cinque anni nella regione di Murghab anche essa vicino al confine con l’Afghanistan. La crescente presenza militare cinese nel paese è stata spiegata dal presidente tagiko Emomali Rahmon, alla guida del paese dal 1992, come un aiuto contro il pericolo dei “gruppi terroristici” presenti lungo confine con l'Afghanistan, nel paese dove la consistente minoranza tagika è sotto il governo dei talebani della maggioranza pashtun; e magari un supporto anche contro i “gruppi terroristici”, ossia i partiti di opposizione al suo regime a Dushanbe.
I socialimperialisti di Pechino hanno un problema simile con i separatisti del Movimento islamico del Turkistan orientale, accusato di attacchi nella provincia cinese dello Xinjiang, ai quali hanno pensato di chiudere le porte lungo i 76 chilometri di confine in fondo al corridoio del Wakhan col recente accordo con Kabul; grazie ai nuovi stretti rapporti col governo dei talebani la Cina può presentarsi come autorevole mediatrice tra i due paesi confinanti e nel contempo può rafforzare il controllo nella regione. La nuova base militare in Tagikistan, la seconda all'estero dopo quella di Gibuti nel Corno d'Africa, si trova lungo la vecchia e la nuova Via della Seta, lo strumento economico e politico dei socialimperislisti cinesi per allargare affari e influenze approfittando anche del relativo disimpegno nella regione del concorrente imperialismo americano. E se Biden rivitalizza in funzione anticinese alleanze politiche e militari in Asia, il nuovo imperatore Xi risponde con più stretti rapporti coi piccoli paesi insulari del Pacifico e con la Siria di Assad che nel loro colloquio telefonico del 5 novembre ha indicato che il rapporto con la Cina è “centrale e importante”, gli ha assicurato l'impegno di Damasco a aderire all'iniziativa “Belt and Road”, la Via della Seta, e garantito che la Siria sta dalla parte della Cina di fronte alle campagne dei paesi rivali che tentano di minare la stabilità nel sud-est asiatico e nella regione del Mar Cinese Meridionale.
10 novembre 2021