Il Comitato centrale del PC revisionista e fascista cinese adotta il pensiero anti-marxista-leninista e socialimperialista di Xi
Tra Mao e il nuovo imperatore della Cina ci passa quanto il giorno dalla notte
A sentire i toni apologetici con i quali l'agenzia di stampa cinese Xinhua ha dato notizia dei lavori della sesta sessione plenaria dei 197 membri effettivi e dei 151 membri supplenti del 19° Comitato centrale del Partito comunista cinese che si è svolta a Pechino dall'8 all'11 novembre sembrerebbe davvero che si sia conclusa con una "risoluzione storica" sui "principali risultati e sull'esperienza storica dei 100 anni di sforzi del PCC" nel segno di una continuità che lancia il cosiddetto pensiero di Xi come "il marxismo della Cina contemporanea e del ventunesimo secolo". Nei fatti si tratta di un vergognoso bilancio riscritto ad uso e consumo della leadership revisionista e fascista di Pechino, che non a caso non cita la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e si dimentica di termini fondamentali quali il proletariato, allo scopo di dimostrare l'indimostrabile, ossia la continuità tra la linea di Mao e quelle dei suoi successori. In realtà tra Mao e Xi Jinping, il nuovo imperatore della Cina, ci passa quanto il giorno dalla notte. Il pensiero di Mao è uno sviluppo del marxismo-leninismo ed è agli antipodi del pensiero anti-marxista-leninista e socialimperialista di Xi adottato dal Comitato centrale del PC revisionista e fascista cinese.
Ne era stato un recente esempio il discorso di Xi nella celebrazione del centenario della fondazione del Partito Comunista Cinese, lo scorso 1 luglio, che nel numero 27 de “Il Bolscevico”del 15 luglio avevamo bollato come una riscrittura della storia del glorioso partito di Mao per accreditare una falsa continuità fino alla attuale costruzione del "socialismo con caratteristiche cinesi" e al lancio della strategia del "ringiovanimento nazionale", ossia della proiezione del socialimperialismo cinese nella contesa con l'imperialismo americano per il dominio del mondo.
Da Xi nel discorso dell'1 luglio al comunicato della sesta sessione plenaria dell'11 novembre, i revisionisti e fascisti cinesi sostengono che "dalla sua fondazione nel 1921, il Partito ha fatto della ricerca della felicità per il popolo cinese e del ringiovanimento della nazione cinese la sua missione"; nella risoluzione adottata il 20 aprile del 1945 dalla settima riunione allargata del sesto Comitato centrale del Partito comunista cinese tenuta sotto la direzione di Mao si evidenziava già nel primo paragrafo che "in tutto il suo lavoro il Partito comunista cinese si è ispirato, sin dal momento della sua nascita nel 1921, al principio della stretta unione della verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della rivoluzione cinese". Con l'obiettivo di liberare la Cina dal colonialismo, dal feudalesimo e dal capitalismo e la realizzazione della dittatura del proletariato e del socialismo, non certo quello di un'idealistica e borghese “ricerca della felicità per il popolo cinese”, in linea con la confuciana armonia.
Per la seconda volta in pochi mesi Xi cancella tutta la parte riguardante l'edificazione del socialismo in Cina, la lotta contro il revisionismo moderno, l'imperialismo americano e il socialimperialismo sovietico, e la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria per saltare all'esaltazione della fase delle “riforme e apertura” promossa dal rinnegato Deng Xiaoping a due anni dalla morte di Mao; una politica che ha trasformato in poco tempo la Cina socialista di Mao in quella capitalista. Per la "felicità" non delle masse popolari ma dei sempre più numerosi capitalisti e ultramiliardari cinesi i soli a godere della guida di Xi per "realizzare il sogno cinese e il ringiovanimento della nazione".
Xi dopo aver reso omaggio al rinnegato Deng Xiaoping richiamava i suoi recenti predecessori altrettanto revisionisti Jiang Zemin e Hu Jintao per il loro "contributo enorme e storico al ringiovanimento della nazione cinese”. Questa sarà la traccia revisionista e socialimperialista del suo discorso di apertura e del comunicato approvato dalla sesta sessione plenaria del CC del PCC chiusa l'11 novembre. Che cancellando il periodo della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria tenta di confinare lo sviluppo di Mao del marxismo-leninismo solo nell'applicazione alla specifica situazione della Cina e non anche ai principi universali e si premura di sottolineare subito nei primi paragrafi, e ripeterlo più volte successivamente, che "l'Ufficio politico ha tenuto alta la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi; ha seguito la guida del marxismo-leninismo, del pensiero di Mao Zedong, della teoria di Deng Xiaoping, della teoria dei tre rappresentanti (di Zemin, ndr), delle prospettive scientifiche sullo sviluppo (di Jintao, ndr) e del pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era". Il socialismo con caratteristiche cinesi viene definito "l'adattamento dei principi fondamentali del marxismo alle realtà specifiche della Cina e alla sua raffinata cultura tradizionale". Ossia Confucio prevale su Marx.
Nel comunicato si registra quindi una continuità, non da Mao a Xi ma da Deng a Xi e una ancora più stretta da Zemin e Jintao a Xi, tre presidenti che hanno goduto dei consigli dello stesso "ideologo" Wang Huning, oggi membro del gruppo ristretto dei 7 componenti del Comitato Permanente dell’Ufficio Politico del PCC che decide sulle sorti della Cina. Wang Huning ha tra le altre promosso una app per gli smartphone per diffondere le citazioni di Xi ed è artefice dell'inserimento della definizione del cosiddetto pensiero di Xi nel 2017 nello Statuto del PCC e nel 2018 nella Costituzione; da questo anno è inserito financo nei programmi scolastici, dalle elementari all'università. Un passaggio sottolineato dal comunicato che ricorda: "dal 18° Congresso Nazionale del Partito, il socialismo in stile cinese è entrato in una nuova era. I comunisti cinesi, rappresentati dal compagno Xi Jinping, hanno creato il pensiero di Xi Jinping sul socialismo in stile cinese nella nuova era". L'era del socialimperialismo cinese che si espande nel mondo lungo la nuova Via della Seta.
L'era dei revisionisi e fascisti cinesi guidati col pugno di ferro dal nuovo imperatore Xi Jinping che continua a usare il linguaggio del socialismo per tentare di camuffare la reale pratica capitalista del regime di Pechino. Che si permette di sostenere nel comunicato della sessione che "la tutela dell'ambiente ha subito un cambiamento storico, una svolta senza precedenti" mentre i rappresentanti del governo cinese, i secondi inquinatori mondiali dopo gli Usa, alla Cop26 di Glasgow erano tra i protagonisti del previsto fallimento della conferenza sul clima.
17 novembre 2021