Un morto ogni 48 ore
Gli edili in piazza a Roma per la sicurezza nei cantieri
Bonomi: “no alla lotta di classe servi-padroni”. Landini: “mi auguro non sia necessario arrivare a uno sciopero generale”
“Non si ferma la strage sui posti di lavoro ma anzi peggiora ogni giorno di più, una vera e propria emergenza nazionale quella degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali davanti a cui non si può restare inermi”. Queste le parole usate dai sindacati degli edili Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil, per lanciare la manifestazione nazionale del 13 novembre contro gli infortuni sul lavoro in piazza Santi Apostoli a Roma. Piazza trasformata in un cimitero, coperta di croci bianche con appoggiate sopra dei caschetti gialli da cantiere e delle rose rosse. Il tutto per ricordare quelle che impropriamente sono definite “morti bianche” ma che in realtà hanno dei responsabili ben precisi: lo sfruttamento capitalistico e il risparmio sugli investimenti in sicurezza.
Negli ultimi dieci mesi ci sono stati più di mille morti, 15 mila in dieci anni, oltre a tantissimi infortuni e malattie professionali. E proprio nel settore edile, con la ripresa delle attività dopo il crollo legato alla pandemia, le morti e gli infortuni nei cantieri e nelle fabbriche sono in drammatico aumento. In questo comparto si registra infatti una delle più alte incidenze di infortuni: una vittima ogni 48 ore. In molti casi lavoratori over 60 che salgono sui ponteggi esponendosi a rischi mortali in un’età che dovrebbe essere quella della pensione, neo assunti senza un minimo di preparazione e formazione, lavoratori deboli perché non tutelati da un contratto adeguato alle proprie mansioni.
Quello del 13 novembre è stato il primo appuntamento di piazza dopo l'avvio della mobilitazione unitaria di Cgil-Cisl-Uil per modificare le misure previste nella legge di Bilancio, a partire dalle pensioni. Tra gli altri punti, i sindacati chiedono proprio di rafforzare gli strumenti per l'uscita anticipata e quindi di riconoscere ai lavoratori delle costruzioni l'Ape social con 30 anni di contributi (a fronte degli attuali 36 anni) e di renderla strutturale per i gravosi, perché, come denunciato dal palco di Roma “i lavori non sono tutti uguali".
Seppur i sindacati confederali, anziché opporsi fermamente alla Manovra economica e alla gestione filopadronale dei soldi del PNRR, si siano posti in maniera dialogante verso il governo guidato dal banchiere massone Draghi, tanto è bastato al falco di Confindustria Bonomi per etichettare come “un ricatto” questa manifestazione. “In questa Italia (di Draghi!) le soluzioni si trovano insieme, non scioperando” ha minacciato, e aggiungendo: “Bisogna mettere al centro le persone non evocare lo spettro di una lotta di classe servi-padroni”.
Almeno bisogna riconoscere a Bonomi di essere esplicito e, seppur evocandola per esorcizzarla, sa benissimo che la lotta di classe è uno strumento che mette alle strette i padroni. I leader dei sindacati confederali invece non la vogliono neppur sentire nominare, e parlano di “linguaggio antiquato”. Bombardieri della Uil ricorda che “non sta a lui (Draghi ndr) dire se dobbiamo o meno scendere in piazza”, ma subito dopo aggiunge: “se vuole può venire a manifestare qui con noi”, mentre il segretario della Cgil Landini se la cava con un laconico, quanto inaccettabile: “Mi auguro che non sia necessario arrivare a uno sciopero generale, sono il primo a sapere che bisogna cercare soluzioni condivise. Ma quello è uno strumento previsto dalla costituzione”.
Insomma, Cgil-Cisl e Uil proseguono sulla strada del dialogo con Draghi e i suoi ministri, si limitano a chiedere delle modifiche alla politica del governo e rimandano continuamente lo sciopero generale, invocato con sempre maggiore insistenza da ampi settori di lavoratori. Anche sulla questione della sicurezza sui luoghi di lavoro la linea è quella: tanti proclami alla tv e sui giornali ma poi ci si accontenta di quello che concede il governo.
Eppure dal palco di Roma, dove si sono succeduti gli interventi di lavoratrici e lavoratori che hanno subito infortuni o che hanno avuto familiari coinvolti, si sono sentite tante denunce e testimonianze raccapriccianti, che richiederebbero un azione ben più decisa da parte dei sindacati, per contrastare una illegalità diffusa fatta di norme non rispettate, controlli inesistenti, connivenze e mazzette sulla pelle degli operai. Da chi, come rappresentante dei lavoratori, in pochi mesi si è dovuto occupare di quattro casi di colleghi morti, a chi ha visto il padre non tornare a casa perché precipitato da un ponteggio, alla straziante lettera di una madre che ha visto morire il figlio 23enne in un cantiere del Veneto.
17 novembre 2021