La Risoluzione del CC del PC revisionista e fascista cinese sulla storia del Partito attacca Mao e la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria
Xi detta la linea ai “marxisti di tutto il mondo”

 
La pubblicazione del testo integrale della risoluzione del sesto plenum del 19° Comitato Centrale del PCC, tenutosi a Pechino dall'8 all'11 novembre, sulla storia del Partito e del discorso introduttivo di Xi Jinping ci permettono di precisare e completare il giudizio espresso sullo scorso numero de Il Bolscevico dal titolo "Il Comitato centrale del PC revisionista e fascista cinese adotta il pensiero anti-marxista-leninista e socialimperialista di Xi. Tra Mao e il nuovo imperatore della Cina ci passa quanto il giorno dalla notte", che viene confermato in pieno. E ci permette di aggiungere la denuncia dell'attacco a Mao e al suo contributo allo sviluppo del marxismo-leninismo con la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (Grcp), nel tentativo di accreditare il cosiddetto pensiero di Xi come il vero sviluppo della teoria proletaria e come nuovo riferimento per i partiti comunisti. La linea che Xi detta ai "marxisti di tutto il mondo" è costruita sulla teorizzazione dello sviluppo del socialismo nelle condizioni cinesi, ossia del capitalismo già sbandierata dal rinnegato Deng Xiaoping, e aggiornata dal suo attuale erede alla nuova era, all'era del socialimperialismo cinese in rapida ascesa e proiettato nella lotta per l'egemonia mondiale, impegnato a strappare la leadership al rivale imperialismo americano in declino.
La strumentale chiave di lettura della storia del PCC che il nuovo imperatore della Cina Xi adopera nella relazione e nella risoluzione è subito evidente: un immediato riferimento a Mao per dare il senso di una continuità politica che viene altrettanto velocemente negata con l'esaltazione dei suoi maestri revisionisti e fascisti. Xi prende da Mao quello che gli serve, vedi il ricordo del 4° plenum del VI Comitato Centrale 20 aprile del 1945 che non riguarda ad esempio l'importanza fondamentale del marxismo-leninismo nella rivoluzione cinese e in quelle mondiali ma per invocare "un'unità di vedute all'interno del Partito e in particolare tra i suoi alti funzionari sui temi fondamentali della rivoluzione cinese". Una unità che per Mao doveva proiettare il PCC alla vittoria della guerra di liberazione, alla fondazione della RPC e nella costruzione del socialismo nell'interesse degli operai, dei contadini, delle masse popolari mentre per il nuovo imperatore della Cina deve lanciare il partito nello sviluppo di una politica socialimperialista nell'interesse della borghesia.
A Xi interessa cementare l'unità del gruppo dirigente del PC revisionista e fascista cinese sotto la sua guida, così come il suo primo maestro, il rinnegato Deng Xiaoping cui spettano ripetute citazioni in merito alla risoluzione adottata nel 1981 alla sesta sessione plenaria del Comitato centrale risultante dall'undicesimo congresso del partito, anche essa impegnata a "serrare i ranghi" sul "giudizio obiettivo sul compagno Mao Zedong e sul suo pensiero, che ha permesso a noi di distinguere chiaramente il vero dal falso, per rettificare le idee erronee di 'sinistra' come pure di destra". E intanto cancellava la politica del balzo in avanti e delle comuni popolari. Quel giudizio "obiettivo", nella risoluzione del 1981 si sosteneva che le azioni di Mao erano state per il 70% giuste e per il 30% sbagliate, serviva ai rinnegati di Pechino per confermare la sentenza del 3° plenum dell'XI Comitato Centrale del Partito del dicembre 1978 che "pose categoricamente fine al principio di avere come asse la lotta di classe" e aprì "a un nuovo periodo: quello della riforma, dell'apertura e della modernizzazione socialista", ossia della restaurazione del capitalismo sostiene la risoluzione. Ma che soprattutto aveva rinengato il contributo fondamentale di Mao allo sviluppo del marxismo-leninismo sulla continuazione della rivoluzione nelle condizioni della dittatura del proletariato; la Grcp che li aveva smascherati e messi all'angolo e dal quale erano usciti dopo la morte di Mao. Con il 3° plenum dell'XI Comitato Centrale del Partito del dicembre 1978, sottolinea la risoluzione, "il Partito ha quindi compiuto una delle svolte più importanti della sua storia dalla fondazione della Nuova Cina. Si decide di seppellire una volta per tutte la "rivoluzione culturale" (si noti la censura dell'aggettivo proletaria, evidentemente troppo classista per il nuovo imperatore Xi, ndr). Per più di 40 anni, il Partito non ha fatto altro che applicare, stabilmente e con fermezza, la linea, i principi e le politiche adottate da questo plenum" e blindate nella sessione plenaria del CC del PCC del 1981.
Il secondo bilancio sulla storia del partito, quello stilato da Deng Xiaoping nel 1981, registra che la restaurazione del capitalismo in Cina può dirsi conclusa, denunciavamo nel documento del CC del PMLI dell'8 luglio 1981 che difendeva Mao. Secondo Xi ha permesso di "raggiungere l'unità ideologica in tutto il Partito" sui principi revisionisti.
Depotenziata la carica rivoluzionaria del pensiero di Mao e chiusa a doppia mandata in un un cassetto la Grcp, Xi annunciava che dopo la prima risoluzione sulla storia del partito di 76 anni fa e della seconda di 40 anni fa, messe sullo stesso piano, diventava necessaria una terza che tenesse di conto degli ultimi quattro decenni e soprattutto dei passi da gigante compiuti dalla "causa del Partito e dello Stato, così come la teoria e la pratica del Partito". Passi da gigante nella restaurazione del capitalismo, del selvaggio sfruttamento dei lavoratori financo con i formalmente illegali turni di 12 ore di lavoro giornaliere per 6 giorni a settimana, nello sviluppo economico a ritmi forsennati senza remore nella distruzione dell'ambiente e nell'emissione di sostanza nocive tanto da raggiungere il secondo posto nel mondo tra i paesi inquinatori, dopo gli Usa. "Dopo la riforma e l'apertura, il PCC ha certamente avuto dei problemi, ma ciò non impedisce alla causa del Partito e dello Stato di fare enormi progressi", sintetizza il pensiero di Xi che si traduce in problemi trascurabili per i lavoratori e le masse popolari e enormi progressi per i multimiliardari capitalisti.
Questa è la traccia capitalista e imperialista, anzi socialimperialista, che troviamo pari pari nella risoluzione che Xi ha scritto su incarico dell'Ufficio politico, dal quale nel marzo scorso si è fatto appunto nominare capo della squadra di redazione creata allo scopo. E il nuovo imperatore della Cina ha svolto diligentemente il compito per, come dice lui stesso, scrivere "le nuove interpretazioni del Comitato Centrale sui cento anni di lotta del Partito". E lanciarlo verso "il raggiungimento dell'obiettivo del secondo centenario, che è quello di fare della Cina una grande potenza socialista" entro la metà del secolo, secondo i principi "del socialismo in stile cinese della nuova era" costruito sulla base del cosiddetto pensiero di Xi; ma "il socialismo di tipo cinese" da Deng Xiaoping a Xi Jinping è il capitalismo e l'obiettivo è quello di fare della Cina una grande potenza capitalistica nell'era del consolidamento del socialimperialismo cinese.
Nella risoluzione Xi rende più volte omaggio alle sue radici revisioniste e fasciste declamando i successi del PCC sotto la guida dei "compagni Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao"; soprattutto i successi del pluririchiamato Deng Xiaoping, che una volta seppellita la Grcp indicava che la lotta di classe non doveva più essere l'asse dell'iniziativa politica del partito e doveva essere sostituita dal compito di "liberare e sviluppare le forze produttive della società, per sollevare le persone dalla povertà e per aiutarle ad arricchirsi il più rapidamente possibile", e vediamo come è finita. Il primo spazio concesso all'inziativa privata nel quadro della cosiddetta economia di mercato socialista dette il via alla rapidissima trasformazione capitalistica dell'intera economia socialista e il sopravvento della borghesia cinese sul proletariato. Nella risoluzione è definito come il passaggio "da un regime di economia pianificata altamente centralizzata a un regime di economia di mercato socialista dinamico", ossia al mercato capitalista controllato dai rappresentanti della borghesia che si erano presi la guida del partito e dello Stato. Altro elemento che la risoluzione mette in evidenza degli ultimi 40 anni di storia del PCC è la decisione con la quale "il Partito ha guidato la restaurazione dell'ordine in tutto il paese", a cominciare dall'elogio della repressione con l'esercito e i carri armati contro gli studenti nel 1989 in piazza Tiananmen. Quello stesso pugno di ferro che Xi non ha esitato a usare verso operai e studenti in lotta contro il supersfruttamento nelle fabbriche e la dilagante corruzione dei funzionari locali di partito e statali, così come per affrontare le contraddizioni con le minoranze etniche in Tibet e degli Uiguri nello Xinjiang.
La risoluzione rimarca la continuità tra i maestri rinnegati, revisionisti e fascisti e l'attuale pensiero di Xi, e in parte anche con Mao ma solo fino agli anni Sessanta, fino alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, il "disastro". Nel capitolo su "La rivoluzione socialista e la costruzione del socialismo" la risoluzione affronta il periodo successivo all'VIII Congresso del PCC nel 1956, un periodo pieno di errori, dal grande balzo in avanti alle comuni popolari, critica "gli eccessi della lotta contro gli elementi di destra" proprio mentre Krusciov sparava a zero contro Stalin ma soprattutto attacca direttamente Mao. In un paio di capoversi la risoluzione sembra elogiare Mao: "il pensiero di Mao Zedong ha sviluppato e applicato in maniera geniale il marxismo-leninismo nella condizioni della Cina". Ma subito dopo spara ad alzo zero: "gli errori teorici e pratici del compagno Mao sulla lotta di classe divennero sempre più gravi e il Comitato Centrale non reagì in tempo per ristabilire la rotta. A causa di una valutazione completamente erronea dei rapporti di classe e della situazione politica nel Partito e nel Paese, Mao ha lanciato e guidato la 'rivoluzione culturale'". Che sembrerebbe sfuggita di mano a Mao, secondo la versione di Xi: "la cricca controrivoluzionaria di Lin Biao e la cricca di Jiang Qing, approfittando di questi errori, commisero un gran numero di crimini efferati a spese del popolo e dello stato. Durante il decennio di disordini interni che seguì, il Partito, lo Stato e il popolo subirono battute d'arresto e perdite senza precedenti nella storia della Nuova Cina. Fu una lezione molto amara. Nell'ottobre 1976, l'Ufficio Politico del Comitato Centrale, secondo la volontà del Partito e del popolo, ha schiacciato la 'banda dei Quattro' e ha posto fine al disastro della 'rivoluzione culturale'". Le complesse vicende che hanno caratterizzato la Grcp sono vergognosamente rimpastate ad uso e consumo della narrazione utile alla cricca revisionista e facista guidata da Xi per "nobilitare" i suoi maestri che al contrario di Mao non avrebbero commesso errori sia teorici che pratici.
La risoluzione riporta che nell'analisi della centennale storia del partito "abbiamo messo in evidenza i contributi storici del PCC al popolo cinese, alla nazione cinese, al marxismo, alla causa del progresso umano e allo sviluppo dei partiti politici marxisti". Alludendo a una funzione di modello da seguire, con Xi che detta la linea ai “marxisti di tutto il mondo”. Una nuova guida per in partiti revisionisti, ovviamente, come quello russo di Ziuganov che ha plaudito alle conclusioni della sessione di Pechino, non certo per quelli autenticamente marxisti-leninisti.
Non c'è nulla di Marx, casomai di Confucio, nelle considerazioni riportate nella risoluzione come quella che sostiene "per cento anni, il partito ha lavorato non solo per la felicità del popolo cinese e il rinnovamento della nazione cinese, ma anche per il progresso e l'armonia del mondo intero"; non esiste la presunta continuità ripetuta in fondo al documento dove si afferma che "il partito non deve in alcun modo discostarsi dal marxismo-leninismo, dal pensiero di Mao Zedong, dalla teoria di Deng Xiaoping, dall'importante pensiero della 'Tripla Rappresentazione' e dal concetto di sviluppo scientifico" e quindi "deve applicare pienamente il pensiero di Xi Jinping sul socialismo in stile cinese nella nuova era". Anzi, rincara la dose la risoluzione "il compagno Xi Jinping è l'autore principale del pensiero sul socialismo cinese della nuova era, del marxismo della Cina contemporanea e del XXI secolo", la nuova era ricordiamo che si intende l'era del socialimperialismo. Che sfrutta i lavoratori e devasta l'ambiente, continua a sostenere la necessità di "promuovere l'imprenditorialità", modernizza il suo arsenale bellico e si attrezza per le guerre nello spazio, allarga l'area di controllo diretto negli atolli contesi del Mar Cinese Meridionale; sbandiera la politica di "un paese due sistemi" ma nei fatti accelera i tempi dell'annessione completa di Hong Khong e reprime i movimenti che vi si oppongono, manda regolarmente i suoi caccia a violare i cieli di Taiwan per rimarcare come ha fatto anche di recente Xi che "riconquistare l'isola è una missione storica del partito"; come una piovra allunga i suoi tentacoli sul mondo a cominciare dalla penetrazione economica tramite la realizzazione della nuova Via della Seta nell'Asia centrale e in Africa fino all'Europa. Queste sono le realizzazioni del cosiddetto pensiero di Xi al di là del fiume di parole speso nell'ampia parte della risoluzione che lo esalta.

24 novembre 2021