Il capitale prolunga oltre natura la giornata lavorativa
di Marx

“Il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro di pluslavoro, scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici. Usurpa il tempo necessario per la crescita, lo sviluppo e la sana conservazione del corpo. Ruba il tempo che è indispensabile per consumare aria libera e luce solare. Lesina sul tempo dei pasti e lo incorpora, dove è possibile, nel processo produttivo stesso, cosicchè al lavoratore vien dato il cibo come a un puro e semplice mezzo di produzione, come si dà carbone alla caldaia a vapore, come si dà sego e olio alle macchine. Riduce il sonno sano che serve a raccogliere, rinnovare, rinfrescare le energie vitali, a tante ore di torpore quante ne rende indispensabili il ravvivamento di un organismo assolutamente esaurito. Qui non è la normale conservazione della forza-lavoro a determinare il limite della giornata lavorativa, ma, viceversa, è il massimo possibile dispendio giornaliero di forza-lavoro, per quanto morbosamente coatto e penoso, a determinare il limite del tempo di riposo dell’operaio. Il capitale non si preoccupa della durata della vita della forza- lavoro . Quel che gli interessa è unicamente e soltanto il massimo di forza-lavoro che può essere resa liquida in una giornata lavorativa. Esso ottiene questo scopo abbreviando la durata della forza-lavoro , come un agricoltore avido ottiene aumentati proventi dal suolo rapinandone la fertilità.
Con il prolungamento della giornata lavorativa, la produzione capitalistica, che è essenzialmente produzione di plusvalore, assorbimento di pluslavoro, non produce dunque soltanto il deperimento della forza-lavoro umana, che vien derubata delle sue condizioni normali di sviluppo e di attuazione, morali e fisiche; ma produce anche l’esaurimento e la estinzione precoce della forza-lavoro stessa.”
 
( Karl Marx, Il Capitale, Libro Primo, 1867, E. Riuniti, pagg. 300-301)

15 dicembre 2021