Sotto la pressione della mobilitazione e solidarietà internazionale
Scarcerato ma non ancora assolto Patrik Zaki
Dopo 668 giorni dietro le sbarre Patrick Zaki ha lasciato la mattina dello scorso 8 dicembre il carcere egiziano della città di al-Mansoura, la città sul delta del Nilo che si trova a 120 chilometri dal Cairo, dopo che il giudice di quella città ha ritenuto non più sussistenti le esigenze cautelari nei suoi confronti.
Infatti Patrick Zaki, arrestato il 7 febbraio 2020 al suo arrivo in Egitto proveniente dall'Italia, finora ha scontato in carcere non una pena derivante dall'esito di un processo, ma esclusivamente una misura cautelare prevista dalla normativa egiziana, e lo ha fatto prima nel terribile carcere di Tora, che si trova a sud del Cairo, e solo una settimana prima del suo rilascio era stato trasferito nel carcere di al-Mansoura.
Quindi, nonostante la mobilitazione in Italia e in molti Paesi del mondo a suo favore, la persecuzione giudiziaria di Zaki - pur libero, in buone condizioni e già tornato a casa sua – è tutt'altro che finita, perché comunque non potrà lasciare l'Egitto in attesa del processo, la cui prima udienza sarà celebrata il prossimo 1° febbraio, nel quale la magistratura egiziana lo chiamerà a rispondere delle gravissime accuse di propaganda sovversiva, di sostegno a gruppi terroristici e, infine, di aver diffuso informazioni false e dannose per la sicurezza nazionale, reati per i quali la normativa di quel Paese prevede fino a 25 anni di carcere.
Nonostante la buona notizia della scarcerazione, quindi, è sbagliato abbassare la guardia sul caso giudiziario di Zaki, perché troppe incognite pesano su un procedimento che, secondo i suoi legali egiziani e secondo l'opinione pubblica che ha a cuore i diritti umani, non dovrebbe neppure svolgersi, per almeno due motivi.
Il primo è che lo studente sta subendo un processo solo ed esclusivamente per aver esercitato la libera manifestazione del pensiero, un diritto che la stessa legislazione egiziana salvaguarda almeno formalmente. La prova a suo carico consiste infatti esclusivamente su un articolo pubblicato su un sito web nel 2019, nel quale denunciava abusi, molestie e violenze di cui è vittima la minoranza a cui lui stesso appartiene, quella cristiana copta: tuttavia i suoi avvocati hanno sempre ritenuto che Zaki sia totalmente estraneo alla stesura e alla pubblicazione di tale articolo.
Il secondo motivo è che la sua vicenda giudiziaria, come hanno più volte segnalato i suoi legali, è segnata da varie irregolarità procedurali, a partire dall'arresto arbitrario da parte di agenti dei servizi segreti del regime di al-Sisi all'aeroporto del Cairo il 7 febbraio del 2020, avvenuto mentre il giovane stava rientrando in Egitto da Bologna per una breve vacanza dopo aver terminato la sessione invernale degli esami. La magistratura egiziana si è interessata a Zaki solo a partire dal giorno successivo, l'8 febbraio, perché nei verbali risulta che l'arresto è avvenuto l'8 febbraio ad al-Mansoura, nella sua città d'origine, per ordine di un giudice. I legali hanno avanzato il sospetto che i servizi segreti abbiano percosso Zaki utilizzando anche l'elettroshock durante il primo interrogatorio, e certamente qualcosa di grave deve essere accaduto, perché gli stessi avvocati hanno ripetutamente chiesto ai giudici - senza ottenere risposta - di poter avere accesso ai video delle telecamere di sorveglianza dell'aeroporto per sciogliere il nodo dell'arresto illegale.
È lo stato di incertezza sul destino di Zaki che ha spinto Amnesty, come molte altre associazioni e istituzioni tra le quali l'Università di Bologna dove Patrick studiava fino al suo arresto, a chiedere all'opinione pubblica di continuare a mantenere alta l'attenzione, perché parlare di Zaki significhi continuare a denunciare un Paese in cui almeno 25.000 cittadini egiziani sarebbero in carcere per reati di opinione.
Il 6 dicembre, alla vigilia dell'udienza che avrebbe poi portato Zaki fuori dal carcere, si erano svolte manifestazioni in oltre 50 città italiane – Bologna anzitutto - organizzate da Amnesty International per la sua liberazione, mentre decine di città italiane hanno già concesso la cittadinanza onoraria al giovane egiziano, ma tutto ciò potrebbe non bastare per garantirgli l'assoluzione dalle accuse che potrebbero costargli una pena pesantissima.
Infatti “il timore
– ha affermato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, sul sito dell'associazione - è che la magistratura egiziana non rinneghi se stessa ed emetta una condanna: se ciò accadesse, sarebbe uno sviluppo terribile, anche perché nei confronti delle sentenze dei tribunali d’emergenza non è previsto appello
”.
Alla manifestazione di Bologna Noury ha chiesto che, in caso di condanna di Zaki nel processo che inizierà a febbraio, a chiedere la grazia al presidente egiziano al-Sisi sia il premier italiano Mario Draghi: una richiesta generosa, quella di Noury, che però contrasta con l'atteggiamento di assoluta passività tenuto finora dal governo Draghi sul tema, evidentemente più sensibile ai cospicui affari con l'Egitto piuttosto che alla salvaguardia dei diritti umani in quel Paese, responsabile, tra l'altro, della morte del nostro giovane connazionale Giulio Regeni.
Né è servita a qualcosa la mozione con cui la Camera dei Deputati ha deliberato quasi all'unanimità il 7 luglio scorso (con l'astensione soltanto di FdI) la mozione con cui si chiedeva al governo di concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki, perché finora il governo Draghi l'unica solerzia nei confronti dell'Egitto l'ha dimostrata nella cura dei cospicui affari economici, tra cui ingenti forniture di armi, piuttosto che alla salvaguardia dei diritti umani nel Paese retto da al-Sisi il cui regime, è responsabile, tra l'altro, della morte del nostro giovane connazionale Giulio Regeni e sta pesantemente ostacolando il processo che si sta svolgendo a Roma contro quattro ufficiali dei servizi segreti egiziani per far luce su quel brutale omicidio.
Occorre pertanto continuare a battersi affinché la magistratura egiziana assolva Zaki da ogni accusa e, contemporaneamente, occorre il massimo impegno e la massima determinazione affinché sia il governo Draghi ad attivarsi nei confronti di quello egiziano affinché Zaki possa al più presto tornare in Italia per proseguire i suoi studi.
15 dicembre 2021