Lo afferma la Commissione parlamentare d'inchiesta
Il regime di al-Sisi è responsabile della morte di Regeni
“Ora il governo Draghi agisca”
Dopo due anni di lavori, la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, presieduta da Erasmo Palazzotto (Liberi e Uguali), ha depositato lo scorso 1° dicembre la sua relazione finale, dalla quale emerge chiaramente la responsabilità del regime di al-Sisi nell'assassinio del giovane ricercatore italiano, rapito al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato senza vita il 3 febbraio.
La relazione finale è stata votata all’unanimità dopo due anni di lavoro, che ha visto alcune trasferte all'estero e l'audizione di ex presidenti del Consiglio, ministri ed ex ministri, ricercatori, responsabili di organizzazioni non governative nonché di esperti.
“I responsabili dell’assassinio di Giulio Regeni
– si legge nella relazione - sono al Cairo, all’interno degli apparati di sicurezza e probabilmente anche all’interno delle istituzioni
”: è così che la Commissione punta direttamente il dito non soltanto contro gli apparati di sicurezza, ma anche contro le istituzioni politiche egiziane.
L'accusa contro le istituzioni politiche del Paese arabo è certamente un passo in avanti rispetto a quanto potrebbe emergere dal processo che con enormi difficoltà si sta svolgendo dinanzi al Tribunale di Roma, dinanzi al quale sono imputati, peraltro in contumacia, quattro ufficiali degli apparati di sicurezza egiziani. Il tema di tale processo è quello di stabilire la responsabilità materiale di quei militari nel brutale assassinio del giovane italiano, ma difficilmente all'interno di esso può trovare spazio un dibattito che riguardi la responsabilità politica delle istituzioni egiziane, che invece la Commissione parlamentare ha accertato, o le coperture che il regime di al-Sisi e la stessa magistratura egiziana stanno offrendo agli imputati al fine di inceppare il procedimento penale che si sta svolgendo.
Il dibattimento a carico del generale Sabir Tariq, dei colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim nonché del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif - accusati di avere sequestrato, torturato e assassinato Giulio Regeni – si è infatti aperto a Roma lo scorso 14 ottobre, ma si è immediatamente arrestato per un cavillo tecnico, in quanto il Tribunale ha inviato nuovamente gli atti al Giudice dell'udienza preliminare affinché quest'ultimo disponga nuove ricerche sugli imputati i quali, secondo il Tribunale, non hanno ricevuto una corretta notifica dell'atto di rinvio a giudizio. Il Giudice per l'udienza preliminare, quindi, dovrà necessariamente utilizzare tutti gli strumenti consentiti dalla legge, compresa una nuova rogatoria con l’Egitto, per rendere effettiva, e non solo presunta, la conoscenza legale ai quattro imputati del procedimento a loro carico. In parole povere, il magistrato italiano chiederà alle autorità egiziane di fornirgli residenza e domicilio dei quattro militari, ai quali far notificare l'atto di rinvio a giudizio, ma se le autorità egiziane non collaboreranno, come è certo, il processo di Roma non potrà neppure proseguire, nemmeno in contumacia il prossimo 10 gennaio, data fissata dal Tribunale di Roma per la prossima udienza.
Durante il suo intervento il PM Sergio Colaiocco, chiamando in causa le istituzioni dello Stato nordafricano, ha affermato che “l’Egitto non ha mai risposto sulle assenze
” dei quattro militari, chiamati a rispondere, a vario titolo, dei reati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali aggravate e concorso in omicidio aggravato, precisando di avere fatto “quanto umanamente possibile per fare questo processo
” ed esprimendo la convinzione che “oggi i 4 imputati sappiano che qui si sta celebrando la prima udienza
”.
Sergio Colaiocco, in parole povere, sta affermando che le istituzioni egiziane, anche e soprattutto ai più alti livelli in quanto è risaputo che lì non si muove foglia che al-Sisi in persona non voglia, stanno boicottando in modo sistematico il processo di Roma e di conseguenza vogliono impedire l'accertamento della verità sulla morte del giovane ricercatore.
Qui è opportuno ricordare quanto ha recentemente affermato la Commissione parlamentare nella sua relazione finale, secondo la quale “la via della verità e della giustizia può trovare un correlativo oggettivo solo in presenza di un’autentica collaborazione da parte egiziana
”, collaborazione che finora è mancata, al punto da inceppare il processo di Roma fino al punto di provocarne l'arresto definitivo.
La Commissione, quindi, suffraga pienamente quanto già accertato dalla Procura della Repubblica di Roma riguardo agli esecutori materiali del brutale assassinio, tutti appartenenti alla National Security Agency (NSA) egiziana, ma compie un passo avanti rispetto alla magistratura italiana, in quanto si legge esplicitamente nella relazione che la mancata comunicazione da parte egiziana del domicilio degli imputati “sembra costituire una vera e propria ammissione di colpevolezza
” da parte del regime retto dal golpista Abdel Fattah al-Sisi. Lo stesso al-Sisi non può credibilmente chiamarsi fuori e far finta di niente, dato il ruolo ingombrante, per non dire altro, da lui ricoperto nel contesto istituzionale di quel Paese che governa con pugno di ferro dal 2014 dopo aver diretto il colpo di Stato contro Mohamed Morsi nel 2013.
La relazione della Commissione sarà ora portata in parlamento, affinché quest'ultimo possa discuterla e dare efficacia concreta, oltre che forza politica, al documento appena approvato, con il concreto obiettivo di vincolare il governo, perchè se ci fosse un voto positivo delle Camere, si tratterebbe di un impegno del Parlamento, giuridicamente vincolante per il governo.
Quello dell'inerzia del governo è un tema affrontato dalla Commissione la quale, per bocca del suo presidente Palazzotto, non ha mancato di puntare il dito contro i governi italiani che si sono succeduti negli anni - compreso, ovviamente, il governo Draghi in carica attualmente - la cui azione sul caro Regeni viene ritenuta assolutamente insufficiente: “è necessaria e urgente
– ha detto Palazzotto in un'intervista al Manifesto pubblicata il 2 dicembre scorso – un’attivazione concreta dei nostri più alti livelli istituzionali, del governo in particolare, per pretendere e ottenere giustizia da parte di un regime che finora ha in tutti i modi ostacolato la verità, depistando le indagini e coprendo le responsabilità dei propri apparati
”.
Eppure il governo Draghi sembra molto più concentrato sulla collaborazione militare con il regime egiziano piuttosto che sulla richiesta di collaborazione sul caso Regeni, perché Fincantieri è stato il primo sponsor dell’Expo militare svoltosi in Egitto dal 29 novembre, con la presenza di altre due aziende italiane, Iveco e Intermarine, e, ovviamente, con la benedizione del governo italiano.
Il governo Draghi, alla luce di quanto accertato dalla Commissione di inchiesta, deve assolutamente aumentare la pressione nei confronti del regime di al-Sisi, mobilitando anche l'Unione Europea, affinché l'Egitto collabori con la magistratura italiana che sta accertando i fatti a Roma, rendendo possibile la prosecuzione del processo. Qualora il regime egiziano non collabori, il governo Draghi potrà anche aprire una controversia internazionale sulla base della convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura, ma il presupposto di tutto ciò è sempre la volontà politica, che fin qui non hanno mai assunto il governo in carica e quelli che l'hanno preceduto dal 2016, di subordinare gli interessi capitalistici e gli affari economici alla dignità della memoria del giovane Regeni assassinato in Egitto.
15 dicembre 2021