L'Onu condanna l'Italia per le “condizioni inaccettabili” sul lavoro
“Le autorità non fanno abbastanza affinché le leggi vengano applicate. C'è bisogno di più ispettori del lavoro”
“Pur disponendo di un ampio quadro legislativo in diversi ambiti connessi alle imprese e ai diritti umani, che prevede una responsabilità diretta delle persone giuridiche per un elenco di reati commessi dai loro rappresentanti, le autorità italiane non fanno abbastanza affinché le leggi vengano applicate. C’è bisogno di più ispettori del lavoro, perché senza un monitoraggio serio e capillare, per esempio, la legge sul caporalato risulta un guscio vuoto, insufficiente a evitare che i lavoratori vengano di fatto ridotti in schiavitù”.
Così il docente di Legge, Syria Deva, capo della delegazione di esperti Onu ha commentato i risultati preliminari dell'indagine svolta nel 2020 in Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata e Puglia, su “imprese e diritti umani” allo scopo di verificare l’effettivo rispetto delle imprese delle tutele e dei diritti dei lavoratori.
Al termine dell’inchiesta il professor Deva e il suo gruppo di lavoro si sono detti sconcertati per le brutali condizioni di sfruttamento in cui i lavoratori sono costretti a svolgere la propria attività, specialmente nei settore della filiera dell’agroalimentare, tessile, moda, calzaturiero, logistica.
Da Prato alla Val D'Agri, dai campi di raccolta nel Foggiano all'Ilva di Taranto, tanto per citare i casi più eclatanti: “Si tratta di una situazione intollerabile ovunque – ha aggiunto Deva - a maggior ragione in un Paese del G7”.
Dal rapporto emerge l’urgenza di creare un sistema di ispettorati nei settori del lavoro, della sanità e della salute e sicurezza sul lavoro. “Secondo i dati ufficiali, al 31 dicembre 2020, erano presenti solo 3mila ispettori pubblici in Italia. Sebbene per il 2021 fosse stata annunciata l’assunzione di altri 2mila ispettori, i numeri sono ancora troppo bassi se confrontati con la portata del problema dello sfruttamento”, si riporta nel testo dell’indagine preliminare che verrà presentata in forma definitiva l’anno prossimo. Sono state sollevate preoccupazioni anche sul coordinamento tra gli ispettorati di diverse istituzioni.
“Bisogna inoltre che gli immigrati ottengano uno status così da potersi difendere dallo sfruttamento immorale a cui sono sottoposti”, denuncia ancora Deva nel rapporto che sarà pubblicato in forma definitiva nel corso del 2021. Sul banco degli imputati ci sono soprattutto le grandi aziende agricole, le multinazionali della logistica e le griffe dell'alta moda e del tanto sbandierato made in Italy che realizzano profitti da capogiro ricorrendo al caporalato o subappaltando gran parte del lavoro a padroni senza scrupoli in modo da non apparire responsabili in prima persona del brutale sfruttamento dei lavoratori, molto spesso stranieri senza documenti e/o in attesa del permesso di soggiorno, costretti perciò a lavorare sotto ricatto come bestie fino a 12-15 ore al giorno per sette giorni alla settimana in luoghi di lavoro malsani e insicuri e in cambio di 3 euro all'ora con contratti pirata che non prevedono nessuna tutela sindacale, sociale e sanitaria.
Secondo lindagine Onu, tra il 2014 e il 2021 sono arrivati in Italia oltre 700mila migranti, raggiungendo un picco nel 2016 con 181mila persone. Il numero stimato di migranti senza alcun status giuridico al 1° gennaio 2020 era pari a 517mila.
Il gruppo di lavoro del professor Deva ha manifestato inoltre “profonda preoccupazione” anche per quanto riguarda la sicurezza nei luoghi di lavoro, rimanendo “impressionato” nel constatare che solo tra gennaio e agosto 2021, ben 772 lavoratori hanno perso la vita in Italia e che nel 2020 si sono verificati 571mila infortuni.
“Abbiamo appreso che numerosi lavoratori del settore agricolo non sono dotati di adeguati dispositivi di sicurezza durante l’utilizzo di pesticidi e prodotti chimici, esponendoli quindi a effetti nocivi. Inoltre, qualsiasi forma di molestia sessuale o di violenza di genere sul lavoro deve essere trattata come questione attinente alla salute e alla sicurezza sul lavoro e in tale contesto dovrebbe essere adottato un approccio di tolleranza zero” sottolineano ancora gli ispettori delle Nazioni Unite nel report.
Ciò conferma il totale fallimento della cosiddetta legge sul caporalato e la sanatoria del 2020 sbandierata da Conte e dall'ex ministra dell’agricoltura, Teresa Bellanova per “mettere fine al caporalato e allo sfruttamento nelle campagne”.
Secondo l’istat infatti è irregolare il 34,2% dei dipendenti in agricoltura. La cosiddetta “guerra al caporalato” si è trasformata in una Caporetto e i pochi permessi di soggiorno ottenuti si concentrano in gran parte nel lavoro domestico.
I requisiti che impone la legge non solo risultano molto stringenti ma, come abbiamo più volte denunciato, sono a totale discrezione dei datori di lavoro che certamente non hanno nessun interesse a regolarizzare i propri schiavi e a far emergere il lavoro sommerso, fonte principale dei loro grandi profitti.
I dati Istat confermano che le domande totali di regolarizzazione sono state appena 230mila; di queste meno di 30mila riguardano i braccianti. Quelle accolte per ora risultano 60mila. Solo 60 su 16mila a Roma, 2mila su 26mila a Milano, 641 su 17.500 a Napoli. Molto rari sono i casi di domande presentate direttamente dai lavoratori; anche questo intervento, in teoria umanitario, è in pratica soggetto a severi paletti. Su 13mila istanze, poco meno di 10mila sono state accolte: il tentativo di far emergere situazioni di irregolarità e sfruttamento non è stato centrato.
Mentre per quanto riguarda il contrasto al caporalato da parte dell’ispettorato del lavoro, risulta che nel 2020 sono stati deferiti appena 471 trasgressori (61 dei quali denunciati in stato di arresto) e mandato di tutelare 1.850 possibili vittime (119 extra-comunitari senza permesso). In agricoltura sono stati scoperti 37 lavoratori sfruttati ogni 100 aziende irregolari.
15 dicembre 2021