In occasione dello sciopero indetto da Cgil e Uil contro la manovra di Bilancio
Piazze piene contro le misure del governo Draghi
Nonostante una piattaforma rivendicativa debole e rinunciataria dei sindacati, la classe operaia e i lavoratori spingono i sindacati alla lotta.
Il PMLI in prima fila a Roma e Milano
Dal nostro inviato speciale

Lo sciopero generale del 16 dicembre è pienamente riuscito, sono lì a dimostrarlo le piazze piene di Roma, Milano, Bari, Palermo e Cagliari, le zone industriali che marciavano a ritmi ridotti, i trasporti delle città che andavano a singhiozzo, i centri della grande distribuzione aperti solo a macchia di leopardo. In questi casi i numeri sono importanti, ma è sempre difficile quantificare la partecipazione alle manifestazioni e l'adesione nelle aziende. Se per le piazze bastano le immagini che mostrano una marea umana arrabbiata e combattiva, anche le percentuali di chi ha scioperato sono buone. Si va dal 100% nelle fabbriche più sindacalizzate, al 70-80% tra i metalmeccanici, 60% nei trasporti, al 50% nelle altre grandi aziende private, così come nel commercio. I dati diffusi da Confindustria sono palesemente falsi, perché parla di un 5% nelle aziende sue associate, che solitamente sono le più grandi, mentre nelle piccolissime ditte artigiane ovviamente le adesioni sono state più modeste.
 

Uno sciopero indetto in extremis
Numeri che potevano essere anche molto più alti se lo sciopero fosse stato proclamato per tempo e in maniera ben organizzata. Cgil e Uil, come la Cisl, fino all'ultimo hanno lasciato la porta aperta a Draghi e persino nella stessa settimana dello sciopero si erano dette disponibili a revocarlo se dal governo arrivava qualche concessione. In più visto, che fino all'ultimo la prospettiva della sua proclamazione era alquanto incerta, alcuni settori dove la pressione e la rabbia dei lavoratori stava crescendo, come la scuola, erano già scesi in piazza pochi giorni prima, per cui a causa della “regolamentazione” e “rarefazione” degli scioperi non hanno potuto aderire. Sotto “l'attenta e minuziosa” visione del Garante non hanno potuto scioperare, del tutto o parzialmente, anche i lavoratori della sanità pubblica e privata Rsa comprese, del settore Igiene Ambientale e delle Poste, questo grazie a leggi antisciopero avvallate dagli stessi sindacati confederali.
A questo si deve aggiungere la defezione della Cisl che non ha aderito, promuovendo una manifestazione il sabato successivo a sostegno delle misure del governo, perché “il Paese ha bisogno di coesione”. Scelta questa che non deve meravigliare, ma che conferma soltanto il carattere istituzionale, governativo e filopadronale di questo sindacato (tra l'altro investito in queste settimane da un ennesimo scandalo: la truffa della Cisl lombarda ai danni dell'Inps). Sempre l'ultima sigla a mobilitarsi, a scendere in piazza perché costretta dalle pressioni dei lavoratori, e invece la prima a tirare i remi in barca alla prima levata di scudi da parte dei padroni. D'altronde la Cisl non aveva aderito neppure all'ultimo sciopero generale, quello contro il Jobs Act, che risaliva addirittura a 7 anni fa.
Tutte queste falle hanno fatto sì che lo sciopero non sia stato completo e generalizzato. Esse sono il frutto della linea politica tenuta dai sindacati confederali nella trattativa con il governo. La stessa Cgil, che a parole sembrava la più decisa, non ha tenuto il fiato sul collo a Draghi e al suo esecutivo fin dall'estate, quando le linee guida del Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza (PNRR) facevano già capire che le ingenti somme prestate dell'Unione Europea sarebbero state impiegate per sostenere le imprese, con mille sgravi e agevolazioni, lasciando le briciole alle lavoratrici e lavoratori, pensionati/e, giovani e donne, ai servizi di pubblica utilità. Ha pensato invece d'influenzare le scelte di politica economica sedendo al tavolo della concertazione, con la preoccupazione di non ostacolare troppo il Governo e di incrinare l'unità delle tre sigle confederali. Solo quando Draghi si è alzato dal tavolo e ha fatto capire che non era disposto a concedere niente, si è cominciato a parlare di sciopero.
Il messaggio che alla fine si è volutamente far passare sostanzialmente è questo: le tre sigle confederali ritengono Draghi “una risorsa”, ma due di esse proclamano lo sciopero generale per ottenere di più. Solo una settimana prima del 16 dicembre, il segretario della Cgil Landini in un intervista a La Repubblica rilasciava questa dichiarazione surreale: “Il presidente Draghi ha tentato di proporre un punto di mediazione con la sua maggioranza” ma la sua sorprendente conclusione è che “è stato brutalmente messo in minoranza dai partiti che lo sostengono”. Morale: “il buon Draghi” ci ha provato ma lo hanno fermato. Veramente se c'è un governo in cui il Presidente del Consiglio ha il mandato diretto dei poteri economici e finanziari del capitalismo italiano e dell'imperialismo europeo, dove partiti e parlamento contano poco più di zero, è proprio quello di Draghi.
 

Unire le forze contro Draghi
Lo sciopero è stato proclamato troppo tardi e con una piattaforma debole e rinunciataria, ma è stata comunque una prima risposta alla tracotanza governativa tanto che faceva scattare una reazione scomposta e una canea mediatica contro di esso. In prima fila quei leader ed esponenti dei partiti della destra che si autoproclamano paladini e difensori (oltre che delle aziende) dei più deboli, dei lavoratori, delle partite iva, del “popolo italiano” come Salvini, Meloni e Berlusconi “perché danneggia l'economia”. Non poteva mancare l'attacco di Renzi, sempre più vicino alle posizioni dei fascioleghisti. Più cauti PD e 5 Stelle, che usano termini come “incomprensibile” o “inaspettato”, comunque solidali con il banchiere massone Draghi.
Non serviva un grande acume politico per capire che se questo sciopero, seppur con tutti i suoi limiti, avesse fallito, il governo Draghi ne avrebbe tratto solo giovamento e legittimazione. Per questo non siamo d'accordo con la maggioranza delle sigle del sindacalismo di base che hanno attaccato o ignorato lo sciopero indetto da Cgil e Uil. Ci risulta che sono solo due le sigle che hanno in qualche modo contribuito alla mobilitazione del 16 dicembre. La CUB ha invitato ad astenersi dal lavoro, mentre il SiCobas si è detto disponibile ad appoggiare tutti i lavoratori che lo avrebbero fatto, e dove presente, ha esso stesso organizzato alcuni scioperi. Entrambe le sigle hanno comunque criticato aspramente i vertici sindacali confederali e la loro piattaforma, ma questo è più che comprensibile. Un po' poco però per affermare che si sta lavorando per l'unità di tutti i lavoratori combattivi e per un ampio fronte di lotta contro il governo Draghi. Un'ulteriore conferma della giustezza della proposta del PMLI di un unico sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e pensionati, fondato sulla democrazia diretta e le Assemblee generali.
 

La manifestazione di Roma
Noi marxisti-leninisti in piazza c'eravamo, con i nostri simboli, le nostre parole d'ordine e la nostra piattaforma. Una piccola ma combattiva delegazione del PMLI, guidata dal compagno Andrea Cammilli era presente a Roma alla manifestazione nazionale dove hanno parlato i segretari nazionali di Cgil e Uil Landini e Bombardieri. Iniziativa statica, cioè senza corteo, con transenne e ingressi convogliati, con obbligo del green pass e applicazione di braccialetto per segnalare l'avvenuto controllo. Davvero esagerate queste misure, quando in altri ambiti, come lo shopping natalizio o l'utilizzo di mezzi pubblici, vede persone accalcate senza nessun tipo di controllo o precauzione. Piazza San Giovanni si è comunque riempita velocemente, dimostrandosi troppo piccola.
 

Il PMLI
Nonostante tutto i compagni si sono posizionati in un settore della piazza, non lontano dal palco, dove le telecamere della diretta trasmessa sui siti dei sindacati riprendevano continuamente le belle bandiere rosse del partito e i cartelli con la scritta “Cacciamo Draghi”, le principali rivendicazioni del PMLI tra cui quelle del blocco dei licenziamenti, dell'abrogazione della Fornero, il diritto a manifestare senza limitazioni, concluso dall'appello a lottare per il socialismo e per il potere politico del proletariato. Il contenuto dei cartelli era riportato sui corpetti indossati dai compagni e sui volantini distribuiti nelle piazza; sono state decine le foto e le riprese fatte alla nostra delegazione. Un troupe di Rai Uno aveva realizzato anche una bella intervista per il programma “Porta a porta” al compagno Cammilli, con a fianco il nostro bel cartello. Ma la previsione del tecnico che accompagnava la giornalista e il cameraman si è puntualmente avverata: “tanto Bruno Vespa la taglierà”.
Le delegazioni di lavoratori provenivano da tutto il centro Italia. Si sono distinte quelle della Caterpillar di Jesi con lo striscione “senza tregua”, ultima delle tante aziende che chiudono i battenti o delocalizzano. Presenti i lavoratori della Whirlpool di Napoli (un suo rappresentante ha parlato dal palco) e della Air Italy, la compagnia aerea sarda su cui pendono 1400 licenziamenti. Tanti i lavoratori provenienti dalla Toscana, tra cui dalle aziende Piaggio e Sammontana, forte anche la rappresentanza degli studenti, in larga parte organizzati con l'UDS. Tra i partiti, oltre alle nostre, si sono notate le bandiere del Prc, Potere al Popolo, Pcl, PCI, Sinistra anticapitalista.
 

Gli operai Gkn
Un discorso a parte meritano i lavoratori della Gkn. La loro presenza non passa inosservata: la loro combattività, vitalità, con striscioni, tamburi cori e fumogeni, parole d'ordine avanzate. Piano piano si sono avvicinati al palco, con il loro striscione “insorgiamo” e il canto di battaglia “occupiamola”. A un certo punto la nostra delegazione si è trovata fianco a fianco e ci siamo messi anche noi a cantare assieme a loro con il nostro megafono. Il protagonismo del Collettivo di Fabbrica Gkn e dei tanti lavoratori solidali al loro fianco ha infastidito un dirigente sindacale che, sceso dal palco, si è messo a discutere animatamente con gli operai fiorentini che, secondo lui, stavano disturbando l'intervento di Bombardieri della Uil che aveva iniziato a parlare. Non si tratta di un aneddoto “di colore” ma della dimostrazione che i rapporti degli operai del Collettivo con la Fiom (a cui molti sono iscritti) non sono idilliaci. La Cgil non sta supportando a dovere questa esemplare lotta, e appare davvero sconcertante che, senza nulla togliere alle altre vertenze, nemmeno un rappresentante di chi si è posto alla testa della battaglia contro i licenziamenti e le delocalizzazioni, la Gkn appunto, sia stato nemmeno chiamato sul palco a parlare.
Gli interventi dei segretari generali non si sono discostati dalla linea tenuta e descritta fin'ora. La stesso slogan che campeggiava dietro il palco “insieme x la giustizia” così generico da non individuare un obiettivo preciso, diceva tutto e niente. Bombardieri si è preoccupato più di giustificare lo sciopero (“è garantito dalla Costituzione”), quasi si dovesse scusare con Draghi, che di attaccare il governo, la Gkn ha evitato accuratamente di nominarla. Landini ha fatto un discorso più generale, denunciando alcuni degli aspetti più negativi che caratterizzano i rapporti di lavoro dei nostri giorni come la precarietà e i bassi salari Entrambi hanno criticato la “riforma fiscale” del governo, ovvero la revisione dell'Irpef che favorisce i redditi medio alti. Uniti anche nel denunciare le pensioni da fame e l'età pensionabile alta, ma nessuno dei due ha chiesto l'abrogazione completa della Fornero.
 

Le altre piazze
Ci sono state altre quattro manifestazioni oltre a quella di Roma, una scelta che, se ha favorito la partecipazione di Sicilia e Sardegna, è stata penalizzante rispetto ad un'unica iniziativa. A Milano le strade e le piazze si sono riempite di lavoratrici e lavoratori per una riuscita manifestazione che qui, a differenza delle altre città, si è sviluppata attraverso un corteo che partito da Piazza Castello ha percorso Parco Sempione fino all'Arco della Pace. Nel capoluogo lombardo sono confluiti manifestanti provenienti da tutto il Nord. Presente anche il PMLI, con i sui attivi e combattivi militanti che hanno sfilato fianco a fianco con quelli del PCI lanciando assieme gli slogan (vedi articolo a parte).
A Bari si è ritrovato il sud più profondo del nostro Paese, oltre alla Puglia, la Basilicata e la Calabria. Regioni martoriate già prima del Covid, con disoccupazione endemica e strutture pubbliche di ogni tipo ridotte al minimo, che il PNRR continua a trattare come territori di serie B rispetto al centro-nord. Anche Palermo si è dimostrata una piazza molto “calda”. Ampia e solida l'adesione dei lavoratori siciliani nelle maggiori aziende dell'isola che si sono ritrovati in Piazza Massimo. Qui, oltre ai temi legati alla manovra di bilancio anche quelli della deindustrializzazione della regione. Infine a Cagliari , in piazza dei Centomila, dove sono confluiti i manifestanti di tutta la Sardegna, una terra carente di lavoro e infrastrutture, che soffre l'abbandono industriale dei settori minerario e chimico, che non possono essere sopperiti dal turismo, oltretutto stagionale.
Le lavoratrici e i lavoratori del nostro Paese hanno dimostrato che la voglia di lottare e la forza per fermare il governo guidato dal banchiere massone Draghi ci sono. Adesso staremo a vedere se lo sciopero generale del 16 dicembre è stata solo una tappa di un lungo percorso di mobilitazione come ha detto Landini dal palco di Roma o se, come spesso è accaduto in passato, anche in quello più recente, basteranno qualche briciola concessa dal governo e la promessa di Draghi di tornare al tavolo della “concertazione con i sindacati” per far rientrare tutto e far sottostare, oltre che la Cisl, anche Cgil e Uil, alle linee guida imposte dal capitalismo, dalla grande finanza e dall'Unione Europea imperialista.

22 dicembre 2021