Cresce solo il lavoro precario
Il 91% dei contratti è di breve durata
Mentre il governo del banchiere massone Draghi, i circoli finanziari e la stampa di regime ad esso asserviti enfatizzano all'unisono i dati riferiti alla crescita del PIL e della presunta ripresa economica, gli ultimi dati Istat sull’occupazione di novembre 2021 certificano invece una galoppante crescita del lavoro precario a discapito di quello stabile e a tempo indeterminato.
“Considerando i dati sulla scala minimale del mese, e paragonati a quello precedente (ottobre), la tendenza è chiara – sostiene l'Istat - Sul totale di 64 mila occupati in più a novembre, +19 mila sono stati i lavoratori dipendenti a termine, 66 mila gli 'indipendenti'. Ma dal totale vanno sottratti 21 mila lavoratori dipendenti permanenti che hanno perso il posto e 2 mila dipendenti in meno. Se ampliamo la verifica fra il trimestre in discussione nel 2021 e quello precedente del 2020, la crescita degli occupati non solo è complessivamente molto bassa (+70 mila unità) ma è determinata esclusivamente dall’aumento degli occupati a termine (+89 mila) mentre sia i permanenti che gli indipendenti diminuiscono (rispettivamente di -10 mila e -9 mila). Su base annua (novembre 2021-novembre 2020) gli occupati dipendenti sono cresciuti di +490 mila, di cui il 91,5% a termine, pari a 448 mila”.
Insomma a crescere è solo il lavoro precario e la povertà di milioni di famiglie operaie che stentano sempre più a mettere insieme il pranzo con la cena.
Non solo. Se si estende l'analisi dei dati al periodo pre-pandemico risulta che rispetto a febbraio 2020 il numero di occupati è ancora inferiore di 115 mila unità mentre rispetto a novembre 2019 è sotto di 214 mila unità. Se dunque a novembre si è verificato il ritorno a circa 23 milioni di occupati, l’aumento non è ancora sufficiente a colmare il divario con il periodo pre-pandemico.
Nel frattempo continua a diminuire il tasso di occupazione femminile che resta ben al di sotto del 50% e cresce anche il numero degli inattivi che rimane il più alto d’Europa.
Un altro dato molto interessante che emerge dai dati Istat riguarda la qualità del lavoro nel suo complesso e il meccanismo di precarizzazione in atto che dilaga e colpisce soprattutto i più giovani (15-34 anni) a discapito degli occupati nella fascia di età compresa tra i 35 e i 49 anni che continuano a diminuire e che, per la prima volta, sono meno degli ultra cinquantenni.
26 gennaio 2022