Un pericoloso conflitto interimperialista
Nato e Russia giù le mani dall'Ucraina
Le proposte di Russia e le controproposte degli Usa
Il presidente americano Joe Biden dalla Casa Bianca suonava la carica, chiamava a raccolta i partner europei intruppati nei contingenti Nato per preparare non solo una serie di pesanti sanzioni a Mosca e rilanciava l'accusa alla Russia di preparare l'invasione dell'Ucraina a fronte del fallimento degli incontri diplomatici a Ginevra di metà gennaio. Anche la riunione del Consiglio di sicurezza dell'Onu del 31 gennaio si chiudeva con un nulla di fatto e col presidente americano che minacciava: "continuiamo a cercare la soluzione diplomatica ma siamo pronti a tutto".
Da un paio di mesi l'imperialismo americano soffia con insistenza sul fuoco della crisi nel cuore dell'Europa gridando al pericolo di invasione preparato dallo schieramento del consistente schieramento di truppe russe non lontano dalla linea di confine con l'Ucraina; Mosca giura che non ha nessuna volontà di passare il confine e rivendica il diritto di spostare le truppe a suo piacimento sul territorio nazionale ma è palese l'intenzione dell'imperialismo russo di usare la minaccia militare per frenare l'avanzamento dello schieramento delle truppe Nato fino ai propri confini meridionali e tentare di risolvere a suo vantaggio il braccio di ferro tra i due schieramenti per il controllo totale del paese; un paese spartito di fatto nella guerra tra il governo reazionario di Kiev e le regioni russofone terminata nel 2014 con gli accordi di pace di Minsk. Le recenti esercitazioni militari e i movimenti di truppe dei due schieramenti sono il preoccupante seguito dello scontro diplomatico che cresce con le minacce americane di nuove sanzioni verso banche e società russe e alimenta un pericoloso conflitto interimperialista sul suolo europeo. Con protagonisti Nato e Russia che devono anzitutto tenere giù le mani dall'Ucraina.
L'imperialismo russo costretto all'arretramento
Ue e Nato si sono mangiate in pochi anni quasi tutti i maggiori paesi dell'est europeo "liberati" dal crollo dell'Urss socialimperialista e dallo scioglimento del Patto di Varsavia, salvo la Bielorussia, nonostante le garanzie verbali di restare lontano dei confini russi ottenute allora dal revisionista Gorbaciov. Nel 1999 con l'ingresso di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria la Nato iniziava la rincorsa che la porterà ai confini della Russia nel 2004, con l'adesione dei paesi baltici, e a dilagare nel resto dell'Europa dell'est. Fino a Georgia e Ucraina messe in lista di attesa nel 2008. L'Ue procedeva invece nei negoziati con Kiev fino a un passo dalla firma di un accordo di associazione e di libero scambio stoppato nel novembre 2013 dall'allora governo filorusso del presidente Viktor Janukovic, una decisione che scatenava una rivolta di massa che lo travolgeva. La rivolta pilotata dall'imperialismo occidentale insediava a Kiev un regime reazionario e innescava la reazione di Mosca che aiutava le province a maggioranza russofona dell'est del paese a proclamare l'indipendenza e accendeva una guerra civile. La Crimea e la città autonoma di Sebastopoli dopo la dichiarazione di indipendenza, l'11 marzo 2014, e il voto favorevole di un referendum non riconosciute dagli imperialisti occidentali è stata annessa alla Russia.
La guerra civile terminava formalmente con gli accordi di Minsk del 5 settembre 2014 firmati dai rappresentanti di Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Doneck e Repubblica Popolare di Lugansk sotto l'egida della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Accordi che porteranno al cessate il fuoco ma non alle misure auspicate sul rispetto da parte dei reazionari di Kiev di una autonomia ai russofoni ucraini del Donbass, così come resterà letterera morta il secondo protocollo di Minsk stipulato nell'incontro al vertice tenutosi nella capitale bielorussa l'11 febbraio 2015 tra i capi di Stato di Ucraina, Russia, Francia e Germania, il cosiddetto Quartetto Normandia, che il presidente francese Macron ha recentemente rivitalizzato per offrire l'opportunità all'imperialismo europeo di uscire dalla sudditanza a quello americano e dire la sua. Il 27 giugno 2014 il presidente ucraino Petro Porosenko a Bruxelles firmava l'Accordo di associazione tra l'Ucraina e l'Ue, l'ingresso nella Nato restava invece congelato anche perché l'alleanza militare imperialista transatlantica e il fronte europeo con la concorrente Mosca non rientrava nelle priorità della presidenza Trump avviata nel 2017.
La questione Ucraina
La questione Ucraina rientrava invece nelle priorità di Biden, che nell'ultimo anno di vicepresidenza con Obama nel 2016 aveva promosso lo schieramento di gruppi tattici Usa e della Nato nei nuovi arrivati Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia e costruito quella cintura militare attorno al concorrente imperialismo russo che dovrebbe essere completata da Kiev. Il tema dell'ingresso dell'Ucraina nella Nato è riaperto su richiesta del presidente Zelenskij dal vertice di Bruxelles del giugno 2021 con la riaffermazione del "diritto dell'Ucraina di determinare il proprio futuro e politica estera, senza interferenze esterne" a seguito della procedura avviata nel 2008. Putin invitava la Nato a non procedere oltre perché avrebbe superato quella "linea rossa" che avrebbe provocato bellicose reazioni e schierava le truppe ai confini con l'Ucraina.
Le avrebbe ritirate a condizione che la Nato avesse bloccato l'ingresso dell'Ucraina, avesse interrotta qualsiasi attività militare nell’Est Europa, ritirato i battaglioni multinazionali da Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania, e fossero stati definiti due nuovi trattati con Usa e Nato che garantissero la reciproca sicurezza su armi nucleari e convenzionali e sui movimenti di truppe. Le richieste rese note dal Ministero degli Esteri russo il 17 dicembre scorso erano oggetto dell'incontro del 10 gennaio a Ginevra delle delegazioni americana, guidata dalla vice segretaria di Stato Wendy Sherman, e russa guidata dal vice ministro degli Esteri Serghej Rjabkov. La Sherman sosteneva che la Casa Bianca è pronta a discutere "i limiti reciproci alle esercitazioni, le armi nucleari, i controlli su quelle convenzionali" e a resuscitare il trattato sulle Intermediate-Range Nuclear Forces, tra l'altro abbandonato da Trump, ma non vuole mettere bocca sulle attività della Nato e chiedeva anzitutto a Mosca di "riportare nelle caserme i 130.000 uomini schierati" ai confini con Kiev. Il russo Rjabkov chiudeva l'inconcludente incontro commentando che "se la Nato procederà con lo schieramento di capacità in Europa, ciò richiederà una risposta militare. Non abbiamo più spazio per arretrare".
Fumata nera anche dal successivo incontro del 21 gennaio fra il segretario di Stato americano Antony Blinken e l'omologo russo Serghej Lavrov dove gli Usa avanzavano altre richieste: la riapertura degli uffici delle rispettive rappresentanze della Russia e della Nato a Mosca e Bruxelles per ristabilire i contatti interrotti, l'impegno russo a "astenersi da atteggiamenti coercitivi, retorica aggressiva e attività maligne, ritirandosi da Ucraina, Georgia e Moldova, dove sono schierati senza il consenso di quei paesi", "trasparenza e controllo degli armamenti per ridurre ogni rischio, attraverso incontri informativi reciproci su esercitazioni e politiche nucleari" e la riduzione delle minacce informatiche. Lavrov intascava i documenti con le richieste americane da portare a Mosca ma intanto ricordava che la Russia voleva non promesse ma garanzie di sicurezza giuridicamente vincolanti “che assicurerebbero la sicurezza dell’intero continente europeo, con pieno e uguale rispetto dei legittimi interessi della Russia”, che non coincidono però con quelli dell'Ucraina, e che era pronta "a rappresaglie per proteggere i propri interessi".
Il giorno successivo all'incontro, il 22 gennaio, Biden teneva un consiglio di guerra col segretario alla Difesa Austin e il capo degli Stati Maggiori Riuniti Milley, sulle opzioni militari preparate dal Comandante Nato Wolters e annunciava che il Pentagono avrebbe messo in stato di massima allerta 8.500 soldati, pronti a essere schierati in poche ore in Europa. "Esiste una chiara possibilità che i russi possano invadere l'Ucraina a febbraio", rilanciava la portavoce della Casa Bianca il 27 gennaio a commento del colloquio telefonico tra Biden e il presidente ucraino Volodymyr Zelenskij. Perfettamente allineato con Washington era il premier inglese Boris Johnson che ha dato il via al ritiro del personale diplomatico dall'ambasciata britannica a Kiev.
Il ricatto sulle forniture di gas all'Europa
"Lavoriamo insieme per una fornitura continua, sufficiente e tempestiva di gas naturale alla Ue da diverse fonti mondiali, per evitare choc come quello che potrebbe essere generato da un’ulteriore invasione russa dell’Ucraina" dichiaravano il 28 gennaio Biden e la presidente della Commissione europea Von der Leyen: la Casa Bianca vorrebbe che non fosse mai aperto il rubinetto del nuovo gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania e offriva alternative cosciente che la questione non riguarda soltanto un pur importante aspetto economico di fornitura dell'energia all'industria europea e di guadagno per Mosca ma anche la costruzione di un legame geopolitico fra i paesi imperialisti che sono fra i principali concorrenti degli Usa. L'Ue ha avviato anche contatti con altri fornitori, dal Qatar all'Egitto, all'Algeria, per allargare le possibilità di acquisto del gas. La questione delle forniture energetiche sarà oggetto della riunione del 7 febbraio a Washington del Consiglio Energia Usa-Ue mentre poco distante alla Casa Bianca ci sarà il cancelliere tedesco Olaf Scholz per discutere con Biden il blocco di Nord Stream 2 e altre misure. Fino a poco tempo fa Scholz definiva il gasdotto una questione meramente economica e voleva tenerlo fuori dalle rappresaglie ma dovrà cambiare idea, ha iniziato a evacuare il personale dall'ambasciata ma non invierà armi a Kiev.
L'Italia imperialista di Draghi e Guerini calza l'elmetto
Con il presidente del consiglio Mario Draghi che sembrava impegnato a tempo pieno nella fallita scalata al Quirinale toccava al ministro della Difesa Lorenzo Guerini far sapere agli alleati atlantici che l'imperialismo italiano che già partecipa ai contingenti Nato schierati in Lettonia e Romania "darà il suo ulteriore contributo e farà la propria parte". Ma come i colleghi imperialisti di Berlino quello italiano gioca su due tavoli e non tocca i rapporti economici con Mosca tanto che il 25 gennaio si terrà regolarmente la programmata videoconferenza tra Putin e i responsabili di diverse società private allo scopo di aumentare ancora il volume degli scambi commerciali, cresciuto del 44% pari a 20 miliardi di dollari solo nella prima parte del 2021. Scholz e Draghi fanno comunque asse con Macron che dallo scranno di presidente di turno ha messo in moto la Ue rivitalizzando i negoziati del formato Normandia, l’unica sede in cui russi e ucraini si parlano sottolineavano a Parigi, e con la convocazione di un incontro a metà febbraio a Berlino per "avanzare sul cammino dell’attuazione degli accordi di Minsk".
Al momento avanzano solo i progetti di guerra. Quasi in contemporanea a fine gennaio arrivavano le notizie dell'inizio delle esercitazioni delle forze ucraine, sotto la guida degli istruttori americani, nella regione Occidentale di Leopoli con i nuovi lanciagranate spediti dagli Usa assieme ai 300 missili anticarro Javelin e della fine di quelle antisommergibile della flotta Settentrionale russa nel Mar di Norvegia e della Flotta di Crimea e di Novorossijsk nel Mar Nero. La Difesa russa ha mobilitato negli ultimi dieci giorni di gennaio gran parte della sua flotta per esercitazioni che continuano nel Mediterraneo e ne ha annunciate altre dell'esercito tra il 10 e il 20 febbraio nella Bielorussia dell'amico dittatore Alexander Lukashenko, lungo il confine Meridionale con l’Ucraina.
L'asse tra il socialimperialismo cinese e l'imperialismo russo
Se la Ue imperialista è schierata con l'offensiva guidata dagli Usa di Biden ma cerca comunque di ritagliarsi un proprio spazio nei rapporti geopolitici con la Russia, il socialimperialista cinese Xi Jinping è schierato decisamente con l'alleato strategico Putin pur coltivando i suoi interessi costruiti con le relazioni diplomatiche e commerciali intrecciate con il governo di Kiev. Nei colloqui del 26 gennaio con il segretario di Stato americano Blinken, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi appoggiava le "ragionevoli preoccupazioni russe per la sua sicurezza" e sottolineava che "la sicurezza regionale non può essere garantita dal rafforzamento o dall'espansione dei blocchi militari (leggi la Nato, ndr)”, con le stesse parole usate a metà dicembre dal presidente Xi nel vertice con l'amico Putin. E Wang approfittava dell'occasione per ricordare a Blinken che a due mesi dal vertice tra Xi e Biden “il tono della politica degli Stati Uniti verso la Cina non è cambiato. Gli Usa continuano a pronunciare parole e a fare azioni sbagliate che provocano solo instabilità nella relazione tra i due Paesi” e giocano col fuoco sulla questione di Taiwan. Il socialimperialismo cinese ha raggiunto una potenza economica e militare che lo mette al riparo da qualsiasi esito del braccio di ferro sull'Ucraina tra Usa e Russia mentre Biden rischia complicazioni anche con l'alleata Ue per recuperare il ruolo di leader mondiale: se Putin vince, Xi ha un alleato più forte ma ancora gestibile, se perde ha un alleato più debole ma ancora più stretto perché senza alternative.
2 febbraio 2022