Lo certifica l'Inail
Strage continua sul lavoro: 1221 morti nel 2021, 3,34 al giorno
+13% in agricoltura
Sempre più spaventosa l'ecatombe di omicidi provocata dal bestiale sfruttamento capitalista nei luoghi di lavoro.
Nel corso del 2021 altri 1.221 lavoratori hanno perso la vita mentre cercavano di guadagnarsi un misero salario.
Lo ha certificato l'Inail (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) che il 30 gennaio ha pubblicato i suoi open data nel bollettino trimestrale da cui risulta che, nel periodo gennaio-dicembre 2021, ben 3,34 lavoratori al giorno hanno perso la vita mentre si recavano o erano a lavoro.
Basti pensare che nei primi 38 giorni del 2022 si contano già oltre 92 morti sul lavoro fra cui il diciottenne Lorenzo Parelli morto schiacciato da una putrella all'ultimo giorno di PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l'orientamento, reso obbligatorio nel 2015 dalla controriforma Renzi in sostituzione della vecchia Alternanza Scuola-Lavoro introdotta nel 2003) presso l’azienda metalmeccanica “Burimec” di Lauzacco, in provincia di Udine.
Un'ecatombe senza precedenti specie se si considera che, come avverte lo stesso Inail, purtroppo si tratta di dati provvisori e che “il raffronto con le 1.270 vittime registrate nel 2020 (-3,9%) richiede cautela in quanto i decessi causati dal Covid-19 avvengono dopo un periodo di tempo più o meno lungo dalla data del contagio” e soprattutto perché “l’emergenza sanitaria da nuovo Coronavirus ha, infatti, fortemente condizionato l’andamento infortunistico del 2020 e 2021, che rappresentano quindi anni 'anomali' e poco rappresentativi per i confronti temporali. Il 2020, in particolare, più del 2021 risente anche del mancato conteggio di un rilevante numero di 'tardive' denunce (in particolare mortali) da contagio Covid-19, pervenute anche successivamente alla data di rilevazione del 31 dicembre 2020”.
Dunque per avere un quadro completo di tutto il sangue operaio che nel corso del 2021 ha inondato i luoghi di lavoro e le strade di tutto il Paese compresi i cosiddetti incidenti in itinere (infortuni mortali avvenuti nel tragitto casa-lavoro) occorrerà attendere l’aggiornamento dei dati al 30 aprile 2022.
Un quadro che purtroppo si preannuncia ancora più nero del 2020 dal momento che le denunce di infortunio sul lavoro sono ulteriormente aumentate nel 2021 e hanno raggiunto la quota record di 555.236, 896 in più (+0,2%) rispetto all’anno precedente.
In aumento anche le patologie di origine professionale denunciate che sono state 55.288 nel corso del 2021 (+22,8% rispetto al 2020); e gli infortuni in itinere, occorsi cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro (+29,2%, da 62.217 a 80.389 casi), che sono diminuiti del 32% nel primo bimestre del 2021 e aumentati del 50% nel periodo marzo-dicembre (complice il massiccio ricorso allo smart working nell’anno 2020, a partire proprio dal mese di marzo), e un decremento del 3,5% (da 492.123 a 474.847) di quelli avvenuti in occasione di lavoro, calati dell’11% nel primo trimestre 2021, aumentati del 18% nel semestre aprile-settembre e calati di nuovo nel trimestre ottobre-dicembre (-22%).
Numeri e percentuali che comunque, è sempre bene precisarlo, non tengono in nessun conto i morti e gli infortuni di chi è costretto a lavorare a nero o ad accettare contratti di lavoro capestro che non prevedono nemmeno l'iscrizione all’Inail.
Per quanto riguarda i dati per settore, l'Inail sottolinea che per il momento quello dell'industria e servizi è l’unico a far registrare un segno negativo di morti sul lavoro (-6,0%, da 1.106 a 1.040 denunce mortali), al contrario dell’agricoltura, che invece passa da 113 a 128 denunce (+13,3%) e del pubblico – il cosiddetto “conto Stato” che aumenta da 51 a 53 (+3,9%).
Dall’analisi territoriale emerge un aumento nel Sud (da 283 a 318 casi mortali), nel Nord-Est (da 242 a 276) e nel Centro (da 215 a 227). Il numero dei decessi, invece, è in calo nel Nord-Ovest (da 425 a 313) e nelle Isole (da 105 a 87). Il decremento finora rilevato tra il 2021 e il 2020 è legato sia alla componente femminile, i cui casi mortali sono passati da 138 a 126 (-8,7%), sia a quella maschile, che è passata da 1.132 a 1.095 (-3,3%). Il calo riguarda le denunce dei lavoratori italiani (da 1.080 a 1.036) e comunitari (da 61 a 48), mentre quelle dei lavoratori extracomunitari sono in aumento e passano da 129 a 137.
Dall'analisi per fasce di età emergono incrementi per gli under 34 (+6 casi) e per la classe 40-49 anni (+55), e decrementi in quelle 35-39 anni (-12) e over 50 (-98 decessi), da 852 a 754. Ma sempre troppi i casi in età da pensione. Ben 17 gli “incidenti plurimi” nel 2021 per un totale di 40 decessi con un aumento rispetto ai 13 con 27 casi mortali denunciati del 2020.
In forte aumento anche gli infortuni in itinere, occorsi cioè nel tragitto abitazione – posto di lavoro (+29,2% anno su anno) nonostante i lunghi mesi di look down e smart working.
Una strage continua sul lavoro di fronte alla quale gli appelli alla “dignità del lavoro” di Mattarella e del governo Draghi; i protocolli e i tavoli di concertazione dai sindacati confederali collaborazionisti con le associazioni industriali e le istituzioni e perfino le suppliche di papa Francesco per “la custodia delle risorse umane” sono solo lacrime di coccodrillo.
La verità è che questa spaventosa ecatombe di lavoratori non è causata dalla “fatalità”, “dall'inesperienza” o da chissà quale “maledetta serie sfortunata di eventi” come spesso si legge nelle cronache dei giornali.
I 1221 morti del 2021 non si giustificano soltanto col “mancato rispetto delle regole, delle procedure e dei sistemi di protezione” o con la “mancanza di controlli, di ispettori, corsi di formazione e norme adeguate”.
Non si tratta di “incidenti sul lavoro” ma di veri e propri omicidi sul lavoro che hanno un mandante e un esecutore ben precisi: il bestiale sistema di sfruttamento capitalistico, da un lato, e i padroni che costringono le lavoratrici e i lavoratori a ritmi di lavoro insopportabili e si nutrono del loro sangue per realizzare profitti sempre più alti.
Perciò se si vogliono azzerare i morti sul lavoro, bisogna azzerare il capitalismo e la classe dominante borghese che ne regge le sorti e ne cura gli interessi.
Non è sufficiente rivendicare delle buone leggi, dispositivi di sicurezza all'avanguardia, sanzioni più incisive e eserciti di ispettori.
La pratica sociale e le statistiche, sempre in costante aumento, purtroppo ci dicono che nei luoghi di lavoro si continua a morire esattamente come cento anni fa, se non peggio.
Se si permette al libero mercato capitalista di decidere la vita e la sorte delle lavoratrici e dei lavoratori, le macchine continueranno a mangiare gli operai perché la ricerca del massimo profitto capitalista si mangia ogni diritto di chi lavora, anche quello alla vita.
Spesso nelle ditte che lavorano in subappalto e nelle piccole aziende a conduzione familiare e artigiane, come il cantiere dove ha perso la vita il giovanissimo studente di Udine o la filatura in cui ha perso la vita la giovane operaia tessile di Prato, sono gli stessi lavoratori che per “salvare” il posto di lavoro accettano turni di lavoro massacranti, ricattati con la promessa di un’assunzione o di un rinnovo contrattuale e vengono di fatto costretti a lavorare a cottimo, a saltare perfino le pause e spesso non denunciano nemmeno l'omissione delle norme di sicurezza o la rimozione dei sistemi di protezione e sicurezza sulle macchine da parte del padrone che a sua volta non investe in sicurezza e punta sempre al massimo profitto “per essere sempre più competitivo sul mercato e salvare l'azienda dal fallimento”.
Un corto circuito mortale causato dal capitalismo assassino con la complicità delle istituzioni parlamentari borghesi che vanno spazzate via con la rivoluzione proletaria e l'instaurazione del socialismo per farla finita una volta per tutte con i morti sul lavoro.
9 febbraio 2022