Un piano di riconversione “sangue e lacrime”
700 esuberi operai alla Bosch di Bari
Smantellamento dell'automotive in Italia come denunciato dal Collettivo di fabbrica Gkn. La Marelli annuncia un taglio di 550 lavoratori
Mentre le varie cosche parlamentari erano occupate nell'elezione del Presidente della Repubblica e la propaganda filo governativa ci propinava un Paese in piena ripresa, con un Prodotto Interno Lordo in forte ascesa, e addirittura nuove prospettive occupazionali, un'altra pesante mannaia veniva calata su centinaia di lavoratori e sull'intero territorio in cui si trova l'ennesima azienda che annuncia centinaia di licenziamenti. Stiamo parlando della Bosch di Modugno, centro pugliese che si trova nell'immediato hinterland di Bari. Si tratta della seconda fabbrica della regione (dopo l'ex Ilva di Taranto) che al momento occupa 1700 persone.
Già a dicembre si ventilavano 620 licenziamenti poi, dopo un incontro avvenuto alla fine del mese di gennaio tra l’azienda, i sindacati e la regione Puglia, la Bosch, ha ufficializzato l'intenzione di tagliare l'organico. L'azienda ha fatto sapere che nello stabilimento barese l'80% dei dipendenti lavora per produzioni legate alle motorizzazioni benzina e diesel e, “per far fronte al passaggio all'alimentazione elettrica” delle automobili ha chiesto una “nuova missione produttiva” Questo vuol dire che il piano di riconversione non sarà senza ripercussioni: verranno considerati “esuberi” 700 dei 1.700 dipendenti nei prossimi cinque anni. Un piano di riconversione “sangue e lacrime”, lo hanno efficacemente ribattezzato i sindacati. Ma come aggiunge il segretario della Uilm Gianluca Ficco ”la situazione è perfino più grave poiché si prospettano ulteriori licenziamenti ed è a rischio la sopravvivenza stessa della fabbrica”.
Una fabbrica con una lunga storia, che rappresenta uno dei più grandi siti produttivi del settore automotive del Sud Italia dove nel 1987, quando apparteneva alla Fiat, fu progettata la prima pompa “common rail” che rivoluzionò i motori diesel. Poi la famiglia Agnelli, per rimpinguare le proprie casse, nel 1994 ha preferito venderla (assieme ai brevetti) al colosso tedesco della componentistica auto oltreché produttore di elettrodomestici. Una azienda Bosch Italia, che nel 2020 dichiarava un fatturato di 2 miliardi di euro e che soltanto pochi anni fa, nel 2017, riceveva una grossa iniezione di denaro pubblico, in particolare dai contribuenti della Regione Puglia guidata dal governatore del PD Emiliano, che faceva lavorare il sabato e la domenica in regime di “solidarietà”, cioè a salario ridotto per presunta crisi produttiva.
È quanto meno dal 2008 che l'azienda chiede sacrifici supplementari ai lavoratori e adesso gli da il benservito gettandoli in mezzo alla strada, affamando le loro famiglie e un intero territorio già martoriato dalla disoccupazione. Una politica seguita da tanti altri marchi italiani e stranieri dell'automotive che hanno fabbriche nel nostro Paese dove sfruttano i salari e un “costo del lavoro” tra i più bassi d'Europa. Non passa settimana che dopo Gkn aziende come Continental, Gianetti Ruote, Timken, annuncino licenziamenti, delocalizzazioni, chiusure, maldestramente giustificate, ora dalla transizione ecologica, ora da altre necessità produttive.
“Chiediamo un piano di salvaguardia industriale e occupazionale per lo stabilimento di Bari, altrimenti si aprirà il conflitto”, hanno annunciato Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive per la Fiom-Cgil e Ciro D’Alessio, segretario Fiom-Cgil Bari. Un piano che deve essere esteso a tutta Italia perché come abbiamo visto tutto il settore legato alla produzione di auto rischia di essere spazzato via e con esso decine di migliaia di posti lavoro. Le case automobilistiche, la Confindustria e i governanti danno la colpa alla transizione all'elettrico, come se le modalità in cui questa sta avvenendo siano calate sulla Terra da un altro pianeta e non possono essere modificate.
Il fatto è che la cosiddetta transizione ecologica, spinta dall'inquinamento del pianeta a cui i gas di scarico delle auto a motore termico danno il loro contributo, vuole essere sfruttata dai grandi gruppi industriali per aumentare o quanto meno mantenere i propri profitti. I capitalisti del settore auto preferiscono scaricare sui lavoratori le conseguenze di questa trasformazione, chiudendo, ristrutturando o spostando gli stabilimenti in Paesi dove lo sfruttamento capitalistico dei lavoratori è più alto e con meno vincoli, mentre a livello politico si cerca di mettere qualche toppa affinché l'onda dei licenziamenti non faccia scoppiare una bomba sociale.
Questo scenario è simile in tutti i Paesi industrializzati ma in Italia vi è l'aggravante che i governi non hanno nemmeno previsto interventi strategici e strutturali per fermare la desertificazione dell'automotive nel nostro Paese e sono inermi di fronte alle aggregazioni e acquisizioni di marchi (vedi Stellantis) senza chiedere garanzie occupazionali, mentre l'unica decisione che hanno saputo prendere è stata quella di regalare un ampia fetta dei fondi del PNRR alle varie case automobilistiche. Che l'Italia, per adesso ancora tra le maggiori manifatture per la componentistica auto, vada verso il declino lo dimostra come sia poco presente nella mappa delle gigafactory
(gli impianti che producono gli accumulatori di elettricità) che si stanno allestendo in Europa. L'unica prevista, quella di Stellantis a Termoli in Molise, è ancora in alto mare.
A confermare il ridimensionamento del settore, quasi in contemporanea a Bosch un'altra storica azienda ha annunciato 550 licenziamenti su un organico di quasi 8000 lavoratori. Si tratta della Marelli, anche questa fino a pochi anni fa controllata dalla Fiat e poi venduta ai giapponesi della CK Holdings. I sindacati chiedono la convocazione di un tavolo di crisi nazionale e criticano duramente "l'atteggiamento impassibile del governo che sta mettendo a dura prova la tenuta dell'intero settore" e lo accusano di un "immobilismo non più tollerabile, il rischio desertificazione è davvero alto”.
Come ha denunciato da tempo il Collettivo di fabbrica della Gkn, anche se grazie alla lotta tutti i lavoratori fossero riassunti, la riconversione della loro fabbrica rientra nello smantellamento dell'automotive nel nostro Paese. Ma, aggiungiamo noi, questa esemplare ed indomita lotta ha indicato anche quale sia la strada da intraprendere: rispondere al padronato e ai licenziamenti con forza e fierezza, senza compromessi, contando sulle proprie forze, sul sostegno delle masse popolari e di tutte le forze sindacali, politiche e sociali che intendono difendere i posti di lavoro.
9 febbraio 2022