Il Documento di economia e finanza approvato dal parlamento
Spiccioli per le masse, i rincari, sanità e scuola
Il 20 aprile la Camera e il Senato hanno approvato il Documento di economia e finanza (DEF) che definisce gli indirizzi di politica economica del governo per l'anno in corso e per i successivi due anni, e in particolare stabilisce le linee guida della Legge di bilancio da presentare entro il 20 ottobre. A questo proposito, al fine di cercare di limitare lo scandaloso andazzo ormai consueto della ritardata presentazione della Legge di bilancio alle Camere da parte del governo, con lo strangolamento dei tempi di discussione e relativa approvazione a colpi di fiducia, quest'anno il governo ha accettato di anticipare la presentazione della legge al 10 ottobre; però si è rifiutato di anticipare dal 27 al 20 settembre la presentazione della Nota di aggiornamento al DEF (NADEF), che tiene conto delle variazioni economiche intervenute rispetto alle previsioni. Il che conferma che il governo del banchiere massone Draghi continua a farsi beffe della democrazia parlamentare.
A parte questo nella relazione al parlamento presentata dal ministro Franco si premette che il quadro economico “si è fatto più difficile e complesso” rispetto alle previsioni della NADEF presentata a settembre 2021. Non solo per il perdurare della pandemia ma anche per “l'eccezionale aumento del prezzo del gas naturale”, con la conseguente crescita del tasso di inflazione, salito al 6,7% a marzo, il 5,6% previsto su base annua. Ciò anche a causa della guerra in Ucraina, che ha provocato “un'ulteriore impennata dei prezzi dell'energia, degli alimentari, dei metalli e di altre materie prime”.
Di conseguenza “le prospettive di crescita dell'economia appaiono oggi più deboli e assai più incerte”, e la crescita del Pil, che nel 2021 era stata piuttosto sostenuta (oltre il 6%), e che per il 2022 la NADEF prevedeva in calo ma pur sempre al 4,7%, scenderà invece al 2,9 %. Quella per il 2023 calerà dal 2,8% al 2,3%, e per il 2024 dall'1,9% all'1,8%. In realtà si tratta di previsioni quantomeno ottimistiche, perché secondo le fonti internazionali i rischi connessi alla possibile interruzione del gas dalla Russia e altre possibili emergenze legate alla guerra fanno scendere le previsioni al 2,3% nel 2022 e all'1,9% nel 2023.
Solo 6 miliardi per gli aiuti a famiglie e imprese
Quanto alle misure per fronteggiare tale scenario mutato rispetto alle previsioni fatte a settembre 2021, il governo vanta di aver già risposto con i provvedimenti per contenere il caro carburanti e il caro bollette, riducendo quest'ultime “di almeno un quarto rispetto a uno scenario senza gli interventi del governo” (a fronte però di un raddoppio secco delle bollette energetiche, ndr), nonché con altre misure come “i contributi a fondo perduto a sostegno della liquidità delle imprese” e “altri interventi connessi alle attuali emergenze, inclusi quelli per l'accoglienza dei profughi ucraini”.
Nel DEF varato dal Consiglio dei ministri del 6 aprile e approvato a scatola chiusa dal parlamento (solo gli ex Cinquestelle di Alternativa hanno votato contro in entrambe le Camere, mentre i fascisti di FdI hanno votato contro alla Camera ma si sono astenuti al Senato), non c'è quindi praticamente nulla per le masse lavoratrici e popolari, e solo pochi spiccioli per i rincari energetici, la sanità e la scuola.
Nella relazione del ministro dell'Economia si fa sapere infatti che, grazie ad uno “spazio di bilancio” dello 0,5% di Pil saranno disponibili circa 6 miliardi da utilizzare con “un provvedimento di prossima adozione” (il decreto “Aiuti” varato il 2 maggio, ndr) per prorogare lo sconto sulle accise e il bonus energia per le famiglie meno abbienti in scadenza a fine aprile, per “assicurare la necessaria liquidità alle imprese e rafforzare le politiche di accoglienza nei confronti dei profughi ucraini”, per adeguare all'aumento dei costi i fondi per gli investimenti pubblici già stanziati, e per aiutare i settori produttivi più colpiti dalle sanzioni alla Russia.
Spese militari, riforme liberiste e briciole per il popolo
Non c'è nient'altro oltre questo, salvo una generica promessa di “continuare a sostenere la risposta del sistema sanitario”. Sulle pensioni, per esempio, c'è solo un accenno a cercare “soluzioni che consentano forme di flessibilità in uscita” e che “occorrerà, altresì, approfondire le prospettive pensionistiche delle giovani generazioni”. Eppure a gennaio 2023 scadrà “Quota 102” (64 anni di anzianità e 38 di contributi), il contentino provvisorio offerto all'ultimo momento ai sindacati confederali l'anno scorso. E se non ci saranno altri interventi ritornerà la Fornero, con 67 anni per tutti, oppure 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne).
In compenso c'è la revisione della spesa militare, con l'aumento programmato al 2% del Pil, dal momento che il DEF non comprende le cosiddette “politiche invariate” per cui l'Italia è vincolata ad impegni futuri, come appunto obblighi internazionali come l'adesione alla NATO, le missioni militari all'estero, ecc. A questo proposito, recita il DEF, “allo scopo di coprire adeguatamente tali esigenze, si opererà una revisione della spesa corrente che produca risparmi crescenti nel tempo”: ovvero tagli alla spesa, comprese sanità e scuola, già tagliate infatti quest'anno dello 0,6% e dello 0,5%, rispettivamente. Giacché solo i gonzi possono credere che tale “revisione della spesa” possa realizzarsi, come aggiunge il documento, “senza pregiudicare l’erogazione di servizi pubblici e l’attuazione delle politiche sociali”.
Il DEF prevede anche 19 “interventi di riforma”, collegati con altrettanti disegni di legge, la maggior parte già al vaglio del parlamento, tra i quali provvedimenti liberisti che approfondiscono le disuguaglianze territoriali e di classe come quelli per l'attuazione dell'autonomia differenziata, il riordino della concorrenza, la delega fiscale.
Un elenco di buoni propositi per turlupinare le masse
Alla vigilia del voto in parlamento i 6 miliardi ritagliati da Franco nel DEF per fronteggiare i rincari energetici e le altre emergenze apparivano palesemente insufficienti, tanto che da parte sindacale e dall'interno della stessa maggioranza cresceva la richiesta di un nuovo scostamento di bilancio per aumentare gli aiuti a famiglie e imprese, cosa che però sia il ministro dell'Economia che lo stesso Draghi avevano sempre escluso categoricamente. Su questo tema, dopo una lunga e accesa discussione, tra i partiti di governo e con la contrarietà della sola IV, si è arrivati ad un compromesso con l'approvazione in Senato di una seconda risoluzione di maggioranza, che otteneva anche l'astensione di FdI, e che invitava cautamente il governo ad aprire all'ipotesi di un nuovo scostamento di bilancio per sostenere tutta una serie di interventi di sostegno.
La risoluzione chiedeva infatti al governo di “monitorare in tempo reale l'andamento della situazione macroeconomica” al fine di “valutare, qualora si verifichi un peggioramento dello scenario economico conseguente al perdurare degli effetti negativi”, uno scostamento di bilancio per “interventi di sostegno, del tutto simili a quelli messi in campo durante l’emergenza pandemica, per le famiglie, i lavoratori e per quella parte del comparto produttivo particolarmente colpita dalle conseguenze della crisi in Ucraina”. E aggiungeva un lungo elenco di ambiti di intervento per accontentare tutti i partiti, dal rinvio delle cartelle esattoriali caro alla Lega alla proroga del superbonus edilizio in scadenza giugno per le villette unifamiliari chiesto dal M5S, dal contenimento dei rincari energetici al potenziamento del sistema sanitario, dal sostegno a istruzione e ricerca al proseguimento della transizione ecologica, dall'incremento degli investimenti alla revisione del Patto di stabilità europeo, e così via: un elenco di buoni propositi da presentare alle masse sempre più in difficoltà al posto di provvedimenti concreti, interamente demandati questi alla discrezione di Draghi e dei suoi ministri più stretti, come Franco, Giorgetti, Cingolani, Giannini e compagnia cantante.
L'inganno del decreto “Aiuti”
Alla fine Draghi e i suoi hanno dovuto allargare i cordoni della borsa, con il decreto “Energia e investimenti” da 14 miliardi, meglio noto come decreto “Aiuti”, varato dal CDM del 2 maggio, ma sempre senza cedere sullo scostamento di bilancio, bensì ricorrendo a nuove entrate più sulla carta che reali. Il governo stanzia infatti 2,1 miliardi per prorogare fino all'8 luglio il taglio delle accise sui carburanti scaduto a fine aprile, altri 6,5 miliardi per un bonus di 200 euro una tantum a 28 milioni circa di lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati fino a 35 mila euro di reddito per fronteggiare l'inflazione, e gli altri 5,4 miliardi per tutti gli altri interventi destinati a sostenere imprese, famiglie meno abbienti, investimenti ed enti locali.
Per trovare gli 8 miliardi da aggiungere ai 6 ritagliati nel DEF il governo è ricorso alla sottrazione di 2 miliardi dal Fondo sviluppo e coesione e gli altri 6 miliardi dovrebbero arrivare dall'aumento dal 10% al 25% della tassa sugli extra profitti delle società dell'energia, a copertura del bonus da 200 euro. Ma pur essendo questa una tassa più che doverosa, e finanche troppo generosa, considerando che la sola Eni ha realizzato 5 miliardi di utili in due trimestri, si tratta per gli esperti di una copertura assai incerta perché facilmente soggetta a ricorsi, anche di costituzionalità.
In ogni caso i 200 euro per lavoratori e pensionati sono poco più di un'elemosina, considerato che per un salario o una pensione da 1.200 euro la perdita di potere d'acquisto, con un'inflazione al 5,6% prevista per quest'anno, ammonta a circa 900 euro. Inoltre dei 5,4 miliardi per tutti gli altri interventi, ben 3 miliardi sono assorbiti dall'adeguamento dei prezzi dei materiali da costruzione necessari a mandare avanti gli appalti già in corso, con priorità per quelli inerenti il PNRR, e per compensare il caro bollette agli enti locali. E se a questo si aggiungono gli aiuti alle imprese, tra proroga delle garanzie statali sui prestiti, crediti d'imposta e aiuti a fondo perduto, e la proroga del superbonus alle villette, non si fa fatica a capire che per le voci restanti, che sono gli aiuti alle famiglie meno abbienti sul caro bollette, la sanità, i trasporti e gli affitti (la scuola non compare neanche) non resta altro che qualche briciola.
Occorre lo sciopero generale
Al momento in cui scriviamo i vertici confederali non hanno ancora espresso un giudizio sul decreto. La mattina del 2 maggio erano usciti dall'incontro con Draghi e i ministri economici dichiarandolo per bocca di Landini “incontro importante che viene dopo le manifestazioni del primo maggio, il governo condivide che la priorità oggi è tutelare il potere d'acquisto dei salari e delle pensioni”, ma sospendendone il giudizio in attesa del decreto, mettendo le mani avanti sulle risorse annunciate di 6 miliardi, giudicate nettamente insufficienti, e chiedendo lo scostamento di Bilancio.
Inoltre il segretario della Cgil aveva riassunto i temi messi sul tavolo dai tre sindacati, tra i quali gli aumenti del salario netto e la riduzione del prelievo fiscale ai lavoratori dipendenti, la rivalutazione delle pensioni, l'aumento del reddito Isee e sua retroattività per il bonus energia alle famiglie svantaggiate, la stabilizzazione dei precari, a partire da sanità e scuola, la sicurezza sul lavoro, il rinnovo dei contratti di lavoro e i diritti contrattuali estesi a tutti i lavoratori, l'obbligo di rispetto dei contratti, dei diritti e della sicurezza per le aziende che partecipano agli appalti pubblici.
Nessuno di questi temi è stato affrontato nel decreto, e per i salari e le pensioni erosi dall'inflazione e i rincari dei carburanti e delle bollette è stato concesso solo qualche pannicello caldo che lascia il tempo che trova. Ce ne sarebbe più che abbastanza per proclamare uno sciopero generale per sturare le orecchie a Draghi e al suo governo del capitalismo, della grande finanza internazionale, della UE e della NATO. Che cosa rispondono le segreterie di Cgil, Cisl e Uil?
4 maggio 2022