L'armata neonazista del nuovo zar Putin avanza in Donbass bombardando i palazzi civili. Zelensky visita i soldati in prima linea a Kharkiv
Macelleria a Mariupol. Rapiti 230 mila bambini dall'inizio dell'invasione
Zelensky: "Se gli occupanti pensano che Lyman o Severodonetsk saranno loro, si sbagliano. Il Donbass sarà ucraino"
L'aggressione neonazista dell'armata del nuovo zar Putin all'Ucraina iniziata il 24 febbraio è concentrata all'inizio del quarto mese di guerra nelle regioni meridionali del Donbass su una linea del fronte che da molti giorni è pressoché ferma; una volta caduta definitivamente Mariupol, il fuoco dell'artiglieria russa batte attorno alla città di Severodonetsk, l'unica nella regione di Luganks ancora sotto il controllo di Kiev e accerchiata dalle truppe di terra. Il sindaco della città denunciava il 27 maggio che finora sono state uccisi almeno 1.500 abitanti e che sarebbero poco più di 12 mila quelli che non sono riusciti a fuggire e vivono sotto gli incessanti bombardamenti delle forze russe che già hanno completamente distrutto il 60% delle abitazioni e danneggiato la restante parte, un esempio di quello che lo stesso giorno il presidente ucraino Volodymyr Zelensky definiva "un'evidente politica di genocidio portata avanti dalla Russia" con deportazoni e uccisione in massa di civili in Donbass.
La battaglia ha infuriato anche a Lyman, nel nord dell’oblast di Donetsk, una città il cui controllo è considerato strategico perché è sede di un fondamentale nodo ferroviario a pochi passi da importanti ponti ferroviari e stradali sul fiume Siverskyy Donets.
In alcuni dei territori meridionali occupati, dalla provincia di Kherson a Zaporizhzhia, seppur sottoposti a contrattacchi dell'esercito ucraino, l'amministrazione filorussa insediata dalle truppe di Mosca ha annunciato il rilascio di propri passaporti con procedura semplificata in base al decreto presidenziale firmato al Cremlino il 25 maggio per mettere quello che vorrebbe essere il timbro definitivo all'annessione di fatto alla Russia. Anche ai residenti di Mariupol è stata offerta la stessa opportunità. Con questa decisione "noi saremo Russia per sempre", esultava il vicesindaco fantoccio di Kherson, la città dove il rublo ha già sostituito la grivna ucraina, mentre non è altro che una flagrante violazione dell'integrità territoriale ucraina. Ecco quello che sarebbe successo all'intero Paese se l''invasore neonazista russo fosse riuscito a rovesciare alla fine di febbraio col blitz militare a Kiev il legittimo governo Zelensky, sostituendolo con un governo fantoccio.
Se non fosse stato ancora chiaro lo ripeteva il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un messaggio su Telegram del 28 maggio: “Se gli occupanti pensano che Lyman o Severodonetsk saranno loro, si sbagliano, il Donbass sarà ucraino. Perché questi siamo noi, questa è la nostra essenza. Anche se la Russia porta ovunque distruzione e sofferenza, ricostruiremo comunque ogni città e ogni comunità. E lì non ci sono e non ci saranno alternative alle nostre bandiere ucraine”.
La riaffermazione del diritto ucraino a decidere del proprio futuro, quantunque ripetuta in varie sedi dai paesi che appoggiano la resistenza all'invasione della Russia di Putin, non è affatto scontata e Zelensky correttamente la ricorda a quei "politici che propongono a Kiev la cessione di territori in cambio di una 'illusione di pace' e non tengono conto dei milioni di persone che vivono in quei territori. Dietro tutte queste speculazioni geopolitiche di chi consiglia all’Ucraina di dare qualcosa alla Russia, ci sono ‘grandi geopolitici’ che non vedono la gente normale. Ucraini normali. Milioni di persone che vivono nei territori che loro propongono di scambiare per una illusione di pace. Bisogna sempre guardare alla gente. E ricordare che i valori non sono solo una parola”.
E bisogna ricordare che il passaggio del fronte di attacco dell'armata neonazista del nuovo zar Putin ha lasciato anche nel sud del paese aggredito una scia di macerie e montagne di cadaveri di civili. Non è certo una sorpresa quella del 24 maggio quando alcuni media hanno documentato il seminterrato emerso dalle macerie di un grattacielo bombardato a Mariupol, vicino alla stazione di servizio suburbana-2 su Myru Avenue, in cui sono stati ritrovati circa 200 cadaveri di civili che avevano cercato rifugio, un obitorio a cielo aperto dove i corpi chiusi nei sacchi sono rimasti lì per diverso tempo dato lo stato di decomposizione. La denuncia delle ex autorità ucraine della città rasa al suolo dall'armata di Putin era rilanciata il 29 maggio con una documentazione fotografica dei cumuli di cadaveri di ucraini ammucchiati in un supermercato. Sono gli ultimi esempi della criminale macelleria commessa dagli occupanti russi a Mariupol.
La Procura generale ucraina su Telegram ha aggiornato anche i dati ufficiali dei bambini uccisi durante i tre mesi di guerra; sono 240 e oltre 440 i feriti. Al 26 maggio il maggior numero di vittime è stato registrato nelle regioni di Donetsk, Kiev, Kharkiv, Chernihiv. Dei 240 bambini uccisi, più di 150 sono morti nella regione di Donetsk. Non sono morti ma sono stati rapiti dagli occupanti e trasferiti in Russia almeno 230mila bambini denunciava Sergiy Dvornyk, consigliere della Missione permanente ucraina presso le Nazioni Unite, durante un dibattito aperto al Consiglio di sicurezza sulla protezione dei civili in situazioni di conflitto.
L'Ucraina chiedeva sanzioni massime contro la Russia, un aiuto per sbloccare i porti sul Mar Nero e più armi. Armi a media gittata per avere una superiorità su quelle degli aggressori, missili antinave per difendere la costa erano chieste dai delegati ucraini ai ministeri della Difesa dei quaranta Paesi del "Gruppo consultivo di supporto all'Ucraina" nella riunione virtuale del 23 maggio, il secondo appuntamento dopo quello del aprile nella base Nato tedesca di Ramstein.
La regia della riunione era del capo del Pentagono Lloyd Austin che sottolineava come "tutti capiscono che la posta in gioco della guerra va ben oltre l'Europa perché l'invasione è un affronto all'ordine internazionale" e ringraziava i venti Paesi pronti a fornire altri aiuti militari, a cominciare da Italia, Grecia, Norvegia, Polonia e Danimarca. Aveva già fatto la sua parte l'imperialismo italiano con l'invio dei cannoni a lungo raggio FH70 e il ministro Guerini poteva declamare che "sosteniamo con la massima determinazione la resistenza eroica del popolo ucraino a tutela della sua sovranità e indipendenza" e per creare le condizioni di un "serio e concreto negoziato di pace". Una condizione creata magari sulla base della proposta avanzata da Draghi che cerca uno spazio per conto dell'imperialismo italiano costruito proprio con l'invio delle armi all'Ucraina.
L'Italia appoggia Kiev ma continua anche a dare la sua parte della montagna di soldi che tutti giorni i paesi imperialisti europei passano alla Russia per pagare le indispensabili forniture energetiche e a finanziare contemporaneamente l'aggressione del Cremlino. Anzi i soldi italiani alla Russia di Putin sono raddoppiati nell'ultimo anno secondo quanto registrato il 27 maggio dai dati Istat sul commercio extra europeo dell'Italia che ad aprile mostrano un'esplosione delle importazioni di prodotti energetici del 193,8% su base annua; quelli dalla Russia che passano sostanzialmente dai gasdotti attraverso l'Ucraina crescono del 118,8%.
Fino a quando il fornitore, la compagnia statale russa Gazprom, non decide di chiudere i rubinetti e dal 31 maggio interrompe le forniture di gas all'Olanda, non indispensabili per l'Aia, dopo che la società distributrice olandese ha rifiutato il pagamento in rubli come chiesto da Mosca. Con una iniziativa palesemente ricattatoria verso gli altri utenti della Ue impegnati lo stesso giorno a discutere di sanzioni alla Russia nel vertice straordinario di Bruxelles.
"La nostra priorità assoluta è la liberazione delle regioni di Donetsk e Lugansk, che ora sono riconosciute dalla Federazione Russa come Stati indipendenti. Il nostro obiettivo è ovviamente spingere l'esercito e i battaglioni ucraini fuori da queste regioni", dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov in un'intervista del 29 maggio all'emittente francese Tfi, e alla domanda se la Russia intende annettere i territori del Donbass rispondeva che "non si tratta di annessione. Si tratta di un'operazione militare richiesta dalle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk". Che l'annessione del Donbass sia l’obiettivo prioritario o forse l'unico almeno al momento a portata di mano del Cremlino per segnare un punto a suo favore nella guerra di aggressione, che il Cremlino definisce ancora una “operazione militare speciale”, iniziata tre mesi fa è tutto da vedere e lo diranno gli sviluppi dei rapporti di forza sul campo dove Mosca deve ancora fare i conti con l'eroica resistenza del popolo e dell'esercito ucraini. Almeno negli appetiti degli aggressori russi sottolineare l'aggettivo prioritario significa che è il primo in ordine assoluto ma non certo il solo.
Il 29 maggio il presidente Zelensky si è recato in visita nella regione di Kharkiv, la seconda città ucraina che pur essendo una delle più danneggiate da bombe e missili russi ha fermato l'avanzata dell'esercito aggressore. Un viaggio significativo a due passi dal fronte e il primo dall’inizio della guerra del presidente ucraino fuori della regione di Kiev per visitare le nuove difese militari e conferire onorificanze di guerra ai soldati che difendono l‘oblast. E ai quali dedicava un post su Facebook: "Provo un orgoglio sconfinato per i nostri difensori. Ogni giorno, rischiando la vita, combattono per la libertà per l’Ucraina. Grazie a ciascuno di voi per il vostro servizio!". Nella regione di Kharkiv è stato distrutto quasi un terzo delle abitazioni civili e dopo aver constatato di persona le devastazioni causate dgli aggressori russi ha detto che "sistemeremo tutto, lo ricostruiremo e lo riempiremo di vita. Sia a Kharkiv che negli altri villaggi colpiti dalla malvagità". Come nel resto dell'Ucraina occupata.
1 giugno 2022