Allarme dell'imperialismo americano
Accordo di cooperazione sulla sicurezza tra il socialimperialismo cinese e il governo delle Isole Salomone
La Cina potrà inviare nell'arcipelago forze militari e di polizia e far attraccare le sue navi militari
Fallito il progetto del socialimperialismo cinese di siglare un accordo sulla sicurezza con dieci Stati dell'Oceania
La missione del presidente americano Joe Biden in Corea del sud e Giappone, nei due principali alleati di Washington che presidiano la prima linea di contenimento dell'espansionismo socialimperialista cinese nel Pacifico, e la conferenza del Segretario di Stato Antony Blinken all'Università George Washington sulla strategia contro le iniziative di Pechino hanno chiarito che per la Casa Bianca, pur impegnata a tutto campo in Ucraina nella guerra alla Russia del nuovo zar Putin, la sfida più seria e strategica alla sua finora indiscussa leadeship imperialista mondiale è quella portata dalla Cina del nuovo imperatore Xi Jinping. Che proprio mentre l'imperialismo dell'Ovest era concentrato sullo scenario europeo sviluppava i suoi rapporti coi paesi insulari del Pacifico, quelli che si trovano oltre la cintura costruita dall'imperialismo americano sull'asse che va dalla Corea del Sud all'Indonesia, quelli che finora la rivale imperialista Usa considerava il cortile di casa, da condividere al massimo con i fidati alleati come l'Australia. Proprio mentre Biden era a Tokyo il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, dava il via a un giro diplomatico in dieci capitali oceaniche per proporre un accordo globale su rapporti commerciali e sicurezza; il progetto non andava in porto come sperato a Pechino, ma intanto dimostrava la volontà del socialimperialismo cinese di ribattere colpo su colpo e non solo nelle sempre più bellicose reciproche dichiarazioni alle iniziative della rivale imperialista.
L'accordo con le Isole Salomone
Il governo cinese comunque aveva già portato a casa l'accordo di cooperazione sulla sicurezza con il governo delle Isole Salomone, un accordo che permetterà alla Cina di inviare nell'arcipelago forze militari e di polizia e far attraccare le sue navi militari; e forse di costruire una base millitare, temeva l'imperialismo americano, la seconda base militare cinese all'estero dopo quella costruita nel 2017 nel Corno d'Africa, a Gibuti, per sorvegliare un passaggio strategico lungo la nuova Via della Seta.
L'accordo quadro sulla cooperazione in materia di sicurezza tra il Governo della RPC e il Governo delle Isole Salomone era annunciato dal comunicato stampa dell'Ambasciata cinese nella capitale insulare Honiara che dava conto della firma dell'ambasciatore cinese Li Ming e del Segretario Permanente del Ministero degli Affari Esteri e del Commercio Estero, Colin Beck, lo scorso 30 marzo del protocollo che "rafforzerà ulteriormente la cooperazione bilaterale tra la Cina e le Isole Salomone in settori quali la risposta alle catastrofi, gli aiuti umanitari, l'assistenza allo sviluppo e il mantenimento dell'ordine sociale, per affrontare congiuntamente le sfide alla sicurezza tradizionali e non tradizionali". La cooperazione in materia di sicurezza tra Cina e Isole Salomone "non si rivolge a terzi e può integrarsi con le strutture regionali e di altri paesi", sottolineava il comunicato come a mettere le mani avanti per dire che si tratterebbe di una intesa che non è diretta contro nessuno ma solo un fattore di stabilità nella regione.
Una precisazione che non è servita a tranquillizzare il governo australiano, lanciato dal precedente governo di destra nella stretta alleanza militare con Usa e Gran Bretagna diretta esplicitamente contro la Cina, e precedente tutore della sicurezza reciproca dello stato insulare di neanche 800 mila abitanti che però si trova in una posizione strategica nel Pacifico Meridionale, a poco meno di 2 mila chilometri a est dell'Australia.
In ogni caso l’accordo tenuto riservato e conosciuto per sommi capi non è circoscritto a addestramento, equipaggiamento e assistenza cinesi delle forze di polizia locali ma consente anche a Pechino di inviare nell'arcipelago forze militari e di polizia e usare l’arcipelago come scalo navale. Come confermava il primo ministro delle Salomone Monasseh Sogavare per rispondere alle proteste partite immediatamente da Usa e Australia. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price si limitava alla denuncia che la la firma dell'accordo poteva aumentare la destabilizzazione nelle Isole Salomone e costituire un precedente preoccupante per tutta la regione delle isole del Pacifico e lasciava all'incaricato governativo per gli affari dell'Asia orientale e del Pacifico Daniel Kritenbrin lanciare la minaccia che "rispettiamo la sovranità delle Salomone ma se venissero presi provvedimenti per stabilire una presenza militare cinese permanente de facto, allora avremmo significative preoccupazioni e risponderemo a queste preoccupazioni". Il rispetto della sovranità dei paesi non è più un punto cardine delle relazioni internazionali ma è oramai stato palesemente trasformato in una pura declamazione da scagliare contro i rivali da tutti i governi imperialisti, a partire dagli Usa che infatti sono pronti a calpestarlo.
Capovolte le alleanze
Le Salomone erano tradizionalmente alleate di Washington fino al 2019, alla vittoria elettorale della formazione di Sogavare che ha allacciato per la prima volta relazioni diplomatiche con Pechino e pagato il pegno della rottura di quelle che duravano da 36 anni con Taiwan. Il vantaggio dell'alleanza con Pechino per le Salomone si è visto nel 2021 con una nuova intesa che ha permesso l'arrivo nell'arcipelago dei vaccini contro il Covid19; maggior vantaggio ne ha ricavato Sogavare che grazie all’invio di equipaggiamenti antisommossa e consiglieri di polizia cinesi ha represso le proteste antigovernative scoppiate alla fine dello scorso anno.
La fornitura di assistenza medica e di protezione civile è diventata negli ultimi anni uno strumento determinante di Pechino per stringere rapporti con diversi paesi del Pacifico Meridionale colpiti da disastri naturali o in difficoltà di fronte alle conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia. Aiuti che sono andati in sostituzione di quelli finora concessi soprattutto dall'Australia per tenere i paesi isolani del Pacifico legati al carro dell'imperialismo occidentale. Verso le Isole Salomone, la Papua Nuova Guinea, Vanuatu, Figi e Tonga Pechino ha lanciato la diramazione a Est della nuova Via della Seta già dal 2013 e ha consolidato i rapporti economici con tutti questi paesi con un obiettivo strategico. Al quale risponde anche l'intesa con le Salomone che ha per il socialimperialismo cinese una forte valenza perché gli permette di avere se non ancora una base, almeno un appoggio dietro la prima linea della trincea costruita dagli stati insulari alleati degli Usa e di poter scalzare la concorrente locale Australia ma soprattutto iniziare a intaccare il sistema di controllo dell'imperialismo americano sul Pacifico, quel controllo militare realizzato dalle numerose basi disseminate nell'oceano e dirette dalla sede del Comando per l’Indo-Pacifico alle Hawaii.
La missione del ministro degli Esteri Wang Yi nelle dieci capitali oceaniche per proporre un accordo globale su rapporti commerciali e sicurezza falliva; tornava a casa con accordi di minore importanza ma sottolineava che i tempi non erano maturi, quindi Pechino non demordeva in attesa di cogliere altre vittorie. Il fallimento della missione era annunciato dalla dichiarazione non a caso a Radio Australia del presidente dell'arcipelago di Palau, Surangel Whipps, che invitava gli i paesi vicini a leggere attentamente i documenti proposti dalla Cina e segnalava
il disagio del suo paese per la continua presenza di navi cinesi nel Pacifico, una preoccupazione per la sicurezza della regione da non aggravare con nuovi atti. Da notare che Palau, assieme a Isole Marshall, Nauru e Tuvalu è fra i pochi stati insulari che hanno respinto le offerte di Pechino e riconoscono ancora a Taiwan lo status di nazione indipendente.
Una nuova base militare in Cambogia
Se l'operazione in pieno oceano Pacifico non è andata in porto come volevano, i socialimperilisti di Pechino incassano intanto la firma alla fine del marzo scorzo di un memorandum di intesa sulla cooperazione militare con la Cambogia; una intesa dai contenuti ancora riservati. Non è un segreto invece che la Cina sta costruendo una base navale in Cambogia, uno dei suoi tanti progetti a protezione della nuova Via della Seta. I lavori di ampliamento della base navale cambogiana di Ream sono stati rilevati dai satelliti spia americani e sono partiti dopo un altro accordo rimasto segreto tra Pechino e Phnom Penh del 2019. Un funzionario di Pechino ha confermato al Washington Post
che le forze navali cinesi useranno solo una porzione della base di Ream che resterà sotto gestione cambogiana. Come se questa formalità facesse la differenza.
Per registrare lo stato attuale del clima dei rapporti tra Pechino e Washington basta lo scambio di pesanti dichiarazioni tra il ministro della Difesa cinese Wei Fenghe e il capo del Pentagono Lloyd Austin subito dopo il loro primo incontro dell'11 giugno a Singapore, a margine del Shangri-La Dialogue, il vertice sulla sicurezza dell'Asia. Biden a Tokyo aveva sostenuto che gli Usa sarebbero intervenuti militarmente nel caso di attacco a Taiwan da parte di Pechino, Austin ha fatto finta di minimizzare la minaccia ma ha rincarato la dose invitando la Cina ad "astenersi da ulteriori azioni destabilizzanti", quali le continue attività militari cinesi attorno all'isola. L'esercito cinese "non avrà altra scelta se non quella di combattere ad ogni costo per schiacciare qualsiasi tentativo di indipendenza di Taiwan" era la risposta bellicista a tono del ministro Wei Fenghe che rilanciava la competizione imperialista coi rivali Usa nell'Indo-Pacifico e per la leadership mondiale.
15 giugno 2022