XIX Congresso nazionale della Cgil
Critica al documento della destra guidata da Landini
Il “nuovo modello sindacale” di Landini è quello della cogestione
Oramai la macchina organizzativa si è accesa. Si stanno già convocando i direttivi di tutte le categorie e delle Camere del Lavoro per muovere i primi passi verso il congresso nazionale che si terrà a dicembre 2022. Ad ogni appuntamento vengono sottolineate le particolari difficoltà del momento, ma stavolta non è solo un modo di dire, perché questo congresso cade effettivamente in una fase molto delicata che si dovrà misurare con eventi di grande portata.
Il documento “il lavoro crea il futuro”, parte proprio dalle considerazioni generali. Stiamo parlando della proposta congressuale di Landini e della sua segreteria, a cui sarà contrapposto un documento alternativo che raccoglie la sinistra sindacale, di cui ci occuperemo in un successivo articolo. Pandemia, riscaldamento globale, guerra, trasformazione del lavoro e della produzione sono individuati come i temi che avranno una forte ricaduta sulla vita dei lavoratori e della popolazione.
Contrarietà alla guerra e antifascismo sono le scelte che la Cgil pone come condizione preliminare alla sua azione sindacale. Una organizzazione che, si legge nel documento, tramite l'azione sindacale vuole migliorare le condizioni dei lavoratori, (che dovrebbe essere il minimo per un sindacato) e “partecipare all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese per affermare una pari dignità tra lavoro e impresa e una reale giustizia sociale” (cosa impossibile nel capitalismo).
Dopo questo preambolo si passa subito ad elencare le “conquiste” ottenute dalla Cgil durante la pandemia. Si va dai protocolli sanitari alla tutela dei redditi e al blocco dei licenziamenti (molto parziali a dire il vero), alla lotta contro le delocalizzazioni. Su quest'ultimo tema più che la Cgil è stato il Collettivo di fabbrica degli operai ex-Gkn a smuovere le acque con una lotta esemplare (ancora in corso) che ha catalizzato altre vertenze simili in tutto il Paese, dando vita a una battaglia di livello nazionale. Mentre sui protocolli ci sono volute le mobilitazioni e gli scioperi spontanei dei lavoratori, specie metalmeccanici, per imporre delle regole alla sfrenata sete di profitto dei capitalisti che non volevano rallentare la produzione a costo di mettere a repentaglio la salute dei propri dipendenti.
Sulla guerra la condanna dell'invasione russa all'Ucraina è abbastanza netta, più chiara di quella ambigua del documento alternativo, ma la soluzione irricevibile che propone la Cgil è quella di rafforzare il ruolo dell'Unione Europea, anche quello della “sicurezza” e quello militare, rimanendo alleati degli Usa ma allentando il legame con la superpotenza americana per far crescere l'imperialismo del nostro continente. È inutile poi proporre degli aggiustamenti per rendere più “democratica e “sociale” la UE se per sua natura è una organizzazione monopolistica nata per contendere i mercati alle altre superpotenze; perciò, secondo i marxisti-leninisti, non bisogna lavorare per fargli avere la legittimazione popolare, ma combatterla per affossarla.
Un atteggiamento simile è tenuto anche nei confronti della perdita di fiducia delle masse verso le istituzioni e della loro delegittimazione espressa anche attraverso un astensionismo sempre più ampio. La Cgil si straccia le vesti per la “crisi della rappresentanza” e ne indica la responsabilità nella mancanza di attenzione al “mondo del lavoro” da parte della sinistra borghese e la sua omologazione alla destra, ammettendo indirettamente che buona parte di astensionisti è costituita dall'elettorato di sinistra. Anche i marxisti-leninisti sono per la partecipazione attiva dei lavoratori alle faccende nazionali e alle tematiche che li riguardano, ma per difendere i propri interessi di classe e non per rimanere prigionieri di una delega a questa o quella fazione della borghesia.
La globalizzazione capitalistica, l'aumento delle diseguaglianze, la frammentazione del lavoro, si dice, impongono un nuovo modello sindacale. Prima ci si gira un po' intorno, ma alla fine l'approdo è questo: “partecipare alle decisioni che si producono
nei luoghi di lavoro”, “conquistare spazi di codeterminazione, fondati sul
diritto all’informazione preventiva ed al diritto di proposta”, e ancora: “proponiamo un’idea dell’impresa come un sistema nel quale tutti i soggetti possono essere protagonisti attivi”. Codeterminazione
è il termine su cui insiste la Cgil, più generico rispetto a neocorporativismo che richiama subito alla collaborazione con i padroni, ma la sostanza è la stessa.
Si afferma che non ha senso mettere in contrapposizione il “sindacato conflittuale” con il “sindacati partecipativo”, ma la linea, e la pratica che ne consegue, è quella di un sindacato cogestionario. La stessa affermazione: “non vediamo oggi le condizioni di un generico patto sociale e di un’indistinta concertazione” non corrisponde al vero perché proprio durante la pandemia i sindacati confederali hanno accettato tutte le misure del governo del banchiere massone Draghi, cercato di dialogare con il falco di Confindustria Bonomi, assecondare le richieste e le esigenze dei capitalisti.
Aumento dei salari e riforma del fisco, stop alla precarietà e riduzione degli orari di lavoro, legalità e sicurezza sul lavoro, nuovo stato sociale, politiche di sviluppo e nuovo intervento pubblico sarebbero le priorità indicate dal documento. Ma le proposte della Cgil per realizzarle non vanno in quella direzione. L'abbassamento del cuneo fiscale alle aziende più che permettere di alzare i salari porta meno tasse allo Stato, più flessibilità e salario legato alla produttività non portano a una maggiore sicurezza. E come possiamo avere una previdenza dignitosa e servizi pubblici efficienti se tutti i contratti nazionali firmati anche dalla Cgil vanno nella direzione di destinare quote di denaro sempre maggiori ai fondi previdenziali e al welfare aziendale togliendo risorse alla pensione e alla sanità pubbliche?
Il modello di sindacato cogestionario è sempre l'asse portante del documento congressuale. Il capitolo quattro, “il nuovo contratto sociale”, che già nel nome richiama al “patto sociale”, si apre con questa frase, sottolineata in neretto: “ Ruolo del sindacato nelle trasformazioni: la negoziazione delle politiche pubbliche.
Istituzionalizzare a tutti i livelli il ruolo del sindacato nella negoziazione e contrattazione”. Poi cerca di salvarsi in calcio d'angolo, con la clausola “non limitando l’autonomia del sindacato né l’esercizio del conflitto che rimane strumento fondamentale di mobilitazione dei lavoratori”.
Non a caso si invoca di nuovo fuori l'attuazione dell'articolo 46 della Costituzione antifascista ma borghese del 1948 indispensabile, si dice, per attuare “il Governo del cambiamento” (quale sarebbe? Quello di Draghi o di chi verrà dopo di lui?). Un articolo che recita: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”
. Un articolo mai attuato nella sostanza e da sempre caro ai fascisti, al loro corporativismo sindacale e alla dottrina della Chiesa, che evidentemente non può essere messo in pratica in un clima acceso di lotta di classe.
L'abbassamento dei salari, la perdita dei diritti, la flessibilità e la precarietà del lavoro, l'innalzamento dell'età pensionabile, lo smantellamento dei servizi pubblici, la privatizzazione e liberalizzazione del mercato del lavoro, insomma, tutte le controriforme, leggi e decreti che sono andati a peggiorare fortemente le condizioni dei lavoratori sono dovute proprio alla politica della cogestione, già sancita con l'abolizione totale della scala mobile, avvenuta 30 anni fa con l'assenso di Cgil, Cisl e Uil, nel nome della “moderazione salariale” e dei sacrifici dei lavoratori per aiutare le imprese.
Per questo tutte le rivendicazioni inserite nel documento congressuale della destra capeggiata da Landini perdono la loro efficacia e appaiono delle enunciazioni che non potranno mai trovare una loro effettiva realizzazione. Neanche la gestione della pandemia, del PNRR e le manovre di Bilancio, tutte indirizzate in maniera da favorire il capitale, le grandi imprese e le privatizzazioni, sono bastati a far scattare una forte e decisa mobilitazione da parte della Cgil, per rivendicare la riduzione delle disuguaglianze e l'indirizzo degli investimenti pubblici nei settori chiave della vita sociale. Nel documento non c'è la minima critica al governo Draghi, che non viene nemmeno nominato.
Come possiamo sperare che una linea concertativa, oramai sfacciatamente corporativa, possa incidere sulle scelte del governo su transizione ecologica, mezzogiorno, welfare pubblico, salario minimo che non sia una miseria, precariato, occupazione e costringere i padroni a non delocalizzare, a firmare contratti dignitosi, aumentare salari, ridurre l'orario di lavoro a parità di salario, eliminare le disparità di genere?
Tutto sa di un film già visto, altro che “nuovo modello sindacale” aggiornato ai cambiamenti. Se c'è un cambiamento questo è in peggio, nella direzione di un sindacato inteso come un soggetto istituzionale, che raggruppa e rappresenta le lavoratrici e i lavoratori e le pensionate e i pensionati, ma non per porsi in sua difesa, in conflitto contro i padroni e il governo, ma che abbia l'obiettivo di mediare, perché “il punto chiave delle relazioni sindacali è riconoscere che l’impresa è un sistema sociale complesso nel quale convivono diversi punti di vista, diverse soggettività e se dunque si possa aprire uno spazio di negoziazione che renda possibile la definizione di un punto di equilibrio”.
Il documento capeggiato da Landini è quindi da respingere risolutamente perché ripropone un sindacato dei sacrifici (per i lavoratori) e di collaborazione anziché conflitto con i nemici di classe e contro i governi borghesi che non ha mai portato niente di buono ai lavoratori. Landini non rappresenta più in alcun modo quelle istanze di cambiamento che sembrava impersonare quando era segretario della Fiom, ma il è il continuatore della linea della Camusso e della destra sindacale in Cgil, e i tre anni e mezzo passati della sua segreteria lo confermano appieno.
13 luglio 2022