Critica e controcritica tra PMLI e Carc sulla guerra in Ucraina:
Il PMLI è in errore sull’Ucraina;

L'Ufficio della Segreteria del Partito dei Carc in data 11 luglio 2022 ha comunicato a Commissioni del PMLI e a “Il Bolscevico” che l'Organo del Partito, “Resistenza”, ha pubblicato un articolo critico a proposito della posizione del PMLI sulla guerra in Ucraina, invitandoli a rispondere a tale critica.
Pubblichiamo qui di seguito la critica dei Carc e la controcritica del PMLI, lasciando il giudizio alle lettrici e ai lettori de “Il Bolscevico” su chi ha ragione e chi torto. Frattanto auspichiamo che la cooperazione tra il PMLI e il Partito dei Carc si sviluppi sempre più dentro e fuori Unità Popolare, anche se dovesse perdurare la grave divergenza sull'Ucraina. Dobbiamo andare avanti uniti contro il governo Draghi e il capitalismo per aprire la strada alla conquista del socialismo e del potere politico da parte del proletariato.
 
 
 
Unità d’azione e lotta ideologica tra partiti, organizzazioni e gruppi del movimento comunista
Il 1° luglio alla Camera si è tenuta la presentazione di Unità popolare, il coordinamento a cui oltre al nostro partito attualmente aderiscono il Partito Comunista Italiano, la Confederazione delle Sinistre Italiane, il Partito marxista- leninista Italiano, la rivista La Città Futura, l’organizzazione giovanile Inventare il Futuro, il partito Democrazia Atea.
Prima e dopo questa iniziativa alcuni compagni variamente collocati ci hanno chiesto: “Ma come fate a stare in un coordinamento assieme al PMLI che ha una posizione ‘irricevibile’ sulla guerra in Ucraina? Proprio voi che siete così rigorosi al punto che sembra siate gli unici ad avere ‘la verità in tasca’…”. La domanda (e la critica implicita) ci dà l’occasione di trattare due questioni importanti nel contesto attuale in cui occorre – da una parte praticare la più ampia unità nella mobilitazione delle masse popolari per cacciare il governo Draghi. Il governo Draghi è di gran lunga peggiore dei governi delle Larghe Intese che lo hanno preceduto: è il governo del “pilota automatico” USA-NATO e UE, dell’esautoramento non solo del Parlamento ma anche del Consiglio dei Ministri. È il governo della guerra e dell’asservimento programmatico e senza riserve alla NATO e alla UE, della violazione aperta e programmatica della Costituzione del 1948, della chiusura di aziende, dell’aumento dei morti sul lavoro, dell’impunità per gli stragisti del Ponte Morandi e più in generale per i ricchi, della privatizzazione dei servizi pubblici e della devastazione dell’ambiente;
dall’altra sviluppare la lotta ideologica, con al centro il bilancio del movimento comunista, tra partiti, organismi e gruppi che pongono l’instaurazione del socialismo come obiettivo della loro azione e che aspirano a dare vita a un partito comunista all’altezza dei suoi compiti storici (i promotori delle “costituenti comuniste”). Su questo bisogna essere rigorosi e “spaccare il capello in quattro”. È la strada perché i comunisti si uniscano in un partito comunista che abbia effettivamente quella “comprensione superiore delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe” necessaria a “spingere sempre avanti” la lotta delle classi sfruttate e dei popoli oppressi fino a porre definitivamente fine al modo di produzione capitalista e instaurare nel proprio paese il socialismo, che già K. Marx (fondatore del movimento comunista come movimento cosciente e organizzato per la trasformazione della società borghese in società comunista) indicava come caratteristica distintiva dei comunisti rispetto agli altri rivoluzionari. Ed è anche l’unico modo per evitare quella situazione ben sintetizzata dalla Federazione milanese del PC nel comunicato pubblicato il 1° luglio su Cumpanis: “Quanti appelli all’unità sono stati lanciati per rimanere, di lì a poco, lettera morta? Quante illusioni hanno dapprima animato e quante aspettative hanno suscitato in molti compagni per poi gettarli nello sconforto e nella delusione?”.
 
Per un’analisi materialista dialettica del conflitto in Ucraina
“Sostegno alla resistenza ucraina contro l’imperialismo russo” è la posizione del PMLI, che si definisce non solo marxista-leninista ma anche maoista. È la stessa posizione sostenuta da partiti e organizzazioni che fanno ideologicamente riferimento al trotzkismo e alla “quarta Internazionale” (PCL, PdAC) o al bordighismo (Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria) e da alcuni settori anarchici. I sostenitori di questa posizione condividono con la sinistra borghese l’idea che attualmente esistono due imperialismi uguali e contrapposti (l’imperialismo USA e quello della Federazione Russa e della Repubblica Popolare Cinese), ma fanno un passo in più: di fatto, al di là delle intenzioni, si schierano al fianco dell’imperialismo USA-NATO. Scimmiottano Lenin (L’imperialismo, fase suprema del capitalismo), quando si dichiarano “contro la guerra imperialista” e “per il diritto dei popoli all’autodeterminazione” (anche se la NATO non sembra curarsene poi tanto dell’autodeterminazione dei popoli), ma dimenticano l’indicazione dello stesso Lenin che “la dimostrazione del vero carattere sociale o più esattamente classista della guerra non è contenuta, naturalmente, nella storia diplomatica della medesima, ma nell’analisi della situazione obiettiva delle classi dirigenti in tutti i paesi belligeranti. Per rappresentare la situazione obiettiva non vale citare esempi e addurre dati isolati (i fenomeni della vita sociale sono talmente complessi che si può sempre mettere insieme un bel fascio di esempi e di dati a sostegno di qualsivoglia tesi), ma prendere il complesso dei dati relativi alle basi della vita economica di tutti gli Stati belligeranti e di tutto il mondo (L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, giugno 1916, in Opere, Editori Riuniti - vol. 22) e che “la sostanza stessa, l’anima viva del marxismo è l’analisi concreta della situazione concreta” (Comunismo, giugno 1920, in Opere, Editori Riuniti - vol. 31). E finiscono col portare acqua al mulino della classe dominante.
Le argomentazioni che usano per sostenere la loro posizione cadono nel grottesco: in particolare il PMLI definisce la Federazione Russa un “impero zarista nazista” e dipinge i battaglioni dei mercenari nazisti e l’esercito ucraino come fosse un esercito popolare di liberazione, esattamente come fanno i promotori della partecipazione del nostro paese alla guerra degli imperialisti USA-NATO e della propaganda di guerra, che il PMLI afferma di voler combattere.
Bisogna essere chiari: le posizioni di questi partiti e organizzazioni sono un errore grave e grossolano oppure sono collaborazionismo, consapevole e subdolo, con la borghesia imperialista.
Siamo convinti che laddove si tratta di un errore, grazie al dibattito franco e aperto i compagni che lo hanno compiuto sapranno correggersi usando il metodo della critica, dell’autocritica e della trasformazione.
Anziché ripetere nella situazione di oggi l’analisi fatta da Lenin del concreto corso delle cose di un secolo fa e gridare alla “guerra imperialista” come se quella in corso in Ucraina fosse una guerra tra potenze imperialiste per spartirsi il mondo, bisogna usare gli insegnamenti di Lenin per comprendere il senso del conflitto in Ucraina, il corso delle cose di cui è espressione e tracciare una linea d’azione conseguente.
– La Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese non sono paesi imperialisti al pari degli USA, della Germania, della Francia, dell’Italia, ecc. L’imperialismo di cui tratta Lenin non è una politica estera aggressiva e guerrafondaia, ma è una fase nuova in cui è entrato il capitalismo all’incirca all’inizio del secolo scorso. Lenin ne indicò nel 1916 le cinque principali caratteristiche economiche (1. il prevalere del monopolio sulla concorrenza, 2. il prevalere dell’esportazione di capitale sull’esportazione di merci, 3. la fusione del capitale bancario con il capitale industriale con la formazione del capitale finanziario, 4. la spartizione del mondo tra associazioni monopoliste internazionali di capitalisti, 5. l’avvenuta ripartizione della terra tra grandi potenze capitaliste) e la definì l’epoca del “capitalismo morente” e della rivoluzione socialista. Nello stesso opuscolo Lenin spiegò chiaramente che “l’imperialismo sorse dall’evoluzione e in diretta continuazione delle caratteristiche fondamentali del capitalismo in generale. Ma il capitalismo divenne imperialismo capitalista soltanto a un determinato e assai alto grado del suo sviluppo, quando alcune caratteristiche fondamentali del capitalismo cominciarono a trasformarsi nel loro opposto, quando le caratteristiche dell’epoca di transizione dal capitalismo a un più elevato ordinamento economico e sociale si affermarono e si rivelarono in ogni ambito”. Successivamente, criticando le tesi di Bukharin secondo il quale l’imperialismo era un nuovo modo di produzione succeduto al capitalismo, specificò che “l’imperialismo puro senza il fondamento del capitalismo, non è mai esistito, non esiste in nessun luogo e non potrà mai esistere. Si è generalizzato in modo errato tutto ciò che è stato detto sui consorzi, i cartelli, i trust, il capitalismo finanziario, quando si è voluto presentare quest’ultimo come se non poggiasse affatto sulle basi del vecchio capitalismo. (…) L’imperialismo e il capitale finanziario sono una sovrastruttura del vecchio capitalismo. Se se ne demolisce la cima, apparirà i vecchio capitalismo. Sostenere che esiste un imperialismo integrale senza il vecchio capitalismo, significa prendere i propri desideri per realtà” (Rapporto sul programma del partito, marzo 1919, in Opere, Editori Riuniti - vol. 29).
Quanti oggi gridano alla “guerra imperialista” sono gli stessi che davano per avvenuta la restaurazione del capitalismo in Unione Sovietica già negli anni ‘60, dopo che (XX Congresso del PCUS) nel 1956 i revisionisti moderni avevano preso la direzione del partito comunista e della società, definivano l’Unione Sovietica un paese “socialimperialista” (socialista a parole, ma imperialista nei fatti) e oggi bollano allo stesso modo la Repubblica Popolare Cinese. Ma parlare di imperialismo, di monopolio, di capitale finanziario, ecc. riferendosi ad una società in cui i capitali individuali, i capitali privati e la produzione mercantile non costituiscono il tessuto di base dell’attività economica, non ha niente a che fare con l’analisi di Lenin. E neanche con l’analisi concreta della situazione concreta.
I paesi socialisti non sono il “paradiso in terra”, ma paesi in cui è in corso la “transizione dal capitalismo al comunismo” come già Marx aveva indicato. Sono paesi in cui la lotta di classe si svolge intorno alle soluzioni da dare ai problemi particolari legati alla storia di ognuno dei paesi e ai problemi universali che, una volta rovesciato il potere della borghesia e del clero e abolita per l’essenziale la proprietà privata delle principali forze produttive, ogni società socialista dovrà risolvere: le contraddizioni (derivanti dalle grandi differenze ereditate dalla società borghese) tra dirigenti e diretti, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, tra lavoro organizzativo e lavoro esecutivo, tra uomini e donne, tra adulti e giovani, tra città e campagna, tra settori, regioni e paesi avanzati e settori, regioni e paesi arretrati. Tanto più che i primi paesi socialisti sono stati tutti creati in paesi arretrati (dove il capitalismo non aveva ancora trasformato a fondo le attività produttive e la maggior parte dei beni e dei servizi non erano destinati allo scambio ma venivano prodotti nell’ambito di relazioni feudali o familiari o di altri rapporti di dipendenza personale: schiavistici, clericali o altri) e il movimento comunista dei paesi imperialisti non ha saputo raccogliere con efficacia il segnale lanciato dai primi paesi socialisti, dalla Russia sovietica alla Cina popolare all’eroico Vietnam alla generosa Cuba. Nel periodo storico succeduto all’esaurimento della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria, esistono paesi imperialisti, paesi succubi del sistema imperialista, paesi che resistono alle scorrerie e aggressioni della Comunità Internazionale degli imperialisti europei, USA e sionisti e ci sono i primi paesi socialisti, dove è ancora in corso la lotta tra restaurazione o instaurazione del capitalismo (graduale e pacifica in alcuni casi o su grande scala e a ogni costo in altri) e continuazione della trasformazione socialista. Questo è qualcosa di nuovo nella storia dell’umanità, quindi non basta affidarsi dogmaticamente ai classici del movimento comunista. Bisogna fare analisi concreta della situazione concreta: bisogna usare “l’anima viva del marxismo”.
La Federazione Russa dal 1989 è un paese entrato nella terza delle tre fasi attraversate dai primi paesi socialisti, quella della restaurazione su grande scala della proprietà privata dei mezzi di produzione e dell’integrazione a qualsiasi costo nel sistema imperialista mondiale. È la fase di un nuovo scontro violento tra le due classi e le due vie: restaurazione del capitalismo o ripresa della transizione verso il comunismo? Questa fase si è aperta per l’URSS e le democrazie popolari dell’Europa orientale e centrale grosso modo nel 1989 ed è ancora in corso. Grazie alle eredità sociali e politiche dell’Unione Sovietica e alle grandi risorse naturali del paese, la Federazione Russa è a livello mondiale il maggiore sostegno militare e politico per gli Stati (dall’Iran al Venezuela passando per la Siria) che resistono alle scorrerie e alle aggressioni dei gruppi e degli Stati imperialisti della CI. Da qui l’accerchiamento crescente ad opera dei gruppi imperialisti USA e della NATO. Ma il futuro della Federazione Russa non è solo negazione del passato sovietico e contrapposizione alla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, USA e sionisti: è la costruzione del nuovo sistema sociale di cui la vecchia società è gravida e in proposito la parola sta alle masse popolari della Federazione Russa. Saranno i proletari russi che rovesceranno il corso delle cose e con i comunisti russi alla loro testa riprenderanno il potere in Russia o saranno gli oligarchi a sottomettersi ai gruppi imperialisti USA e cancellare completamente quello che ancora resta dei rapporti sociali eredità della costruzione del socialismo fatta nell’Unione Sovietica di Lenin e di Stalin? - da “Partiti comunisti russi” - La Voce del (nuovo)PCI n. 70 – marzo 2022.
Nella Federazione Russa “gruppi e partiti comunisti abbondano (come nelle ex democrazie popolari dell’Europa orientale). Sono divisi tra loro e relativamente deboli principalmente perché privi ancora di una comprensione abbastanza avanzata degli errori e dei limiti che hanno portato l’URSS alla decadenza e alla dissoluzione e di una loro specifica elaborazione e assimilazione della concezione comunista del mondo: uno stallo del tutto superabile. La guerra li spinge a superarlo” – da “L’intervento militare della Federazione Russa in Ucraina, La guerra USA e NATO contro la Federazione Russa” - La Voce del (nuovo)PCI n. 70 – marzo 2022.
– Il corso delle cose di cui la guerra in Ucraina è parte.
È evidente anche a senso comune che uno spintone è sempre uno spintone, ma cambia se è dato per buttare una persona giù da un burrone oppure per scansarla da una macchina che la sta investendo.
Per un comunista a maggior ragione vale che “considerati nel loro complesso, nella loro connessione, i fatti non sono soltanto ‘testardi’, ma anche assolutamente probanti. Senonché, quando vengano isolati dal loro conteso complessivo e dalle loro correlazioni e resi dei fatti slegati dal contesto e scelti arbitrariamente, sono appunto un giochetto o qualcosa di peggio” (Lenin, Statistica e sociologia, in Opere, Editori Riuniti – vol. 33).
Quindi per comprendere la natura del conflitto in corso in Ucraina bisogna inquadrare la storia di cui è parte e le relazioni con altri aspetti della situazione: che i fenomeni sono collegati tra loro e si condizionano a vicenda è uno dei tratti basilari del metodo dialettico marxista. Se si prescinde dal colpo di Stato dell’Euromaidan promosso in Ucraina dal governo di Washington nel 2014 e dalla guerra contro le popolazioni del Donbass in corso da allora, dall’estensione della NATO ai paesi dell’Europa orientale ed ex sovietici condotta dagli imperialisti USA tra il 1991 e il 2022, dal crollo dall’URSS del 1991, dalle guerre che gli imperialisti USA hanno sistematicamente condotto dopo la dissoluzione dell’URSS, ecc., si può sicuramente concludere che la Federazione Russa ha aggredito l’Ucraina e che quest’ultima sta difendendo la sua sovranità… con la stessa serietà di chi conclude che, prescindendo dalle due guerre mondiali, il periodo tra il 1914 e il 1945 è stato tutto sommato un periodo pacifico!
L’intervento militare della Federazione Russa in Ucraina è la risposta all’attacco che gli USA, di gran lunga da 75 anni la maggiore potenza imperialista, direttamente e tramite la NATO e i 30 Stati che attualmente ne fanno parte conducono contro la Federazione Russa da quando il gruppo Putin ha messo fine alla loro libertà di intervento nel territorio della FR e in gran parte del resto degli ex paesi sovietici. L’attacco USA alla Federazione Russa rientra nello sforzo che lo Stato dei gruppi imperialisti USA sta dispiegando per avere libero accesso ai territori della Federazione Russa e degli altri Stati sorti dalla dissoluzione nel periodo 1989-1991 dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), il primo Stato socialista: celebriamo quest’anno il centenario della sua proclamazione il 30 dicembre 1922.
Lo Stato sovietico, sorto del 1917 sotto la guida del partito comunista prima di Lenin e poi di Stalin, aveva resistito con successo a tre successive aggressioni delle potenze imperialiste: militare la prima (1918-2021); condotta con sanzioni, boicottaggi, complotti ed eliminazioni di dirigenti sovietici la seconda; militare la terza (1941-1945) capeggiata dalla Germania di Hitler. La quarta, la “guerra fredda” lanciata da Churchill nel 1946 e capeggiata dagli USA, terminò con la dissoluzione dell’URSS del periodo 1989-1991. (…) La dissoluzione fu il risultato del lungo periodo prima di attenuazione dello slancio rivoluzionario e poi di decadenza economica, sociale e politica innescato nella società sovietica dalla svolta impressa dall’avvento nel 1956 dei revisionisti moderni alla direzione del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) prima con Kruscev e poi con Breznev. Il governo USA si era impegnato con il governo dell’URSS (Gorbaciov) a non estendere la NATO ad est oltre i confini del 1989, ma in realtà, grazie alla dissoluzione dell’URSS, fino al 1999 i gruppi imperialisti USA ed europei ebbero mano libera nei paesi retti dagli Stati sorti dalla dissoluzione. Fu un periodo terribile per le masse popolari russe e delle altre nazionalità sovietiche. L’economia venne privatizzata e presa in mano da un pugno di capitalisti composto 1. da grandi dirigenti dell’apparato economico e politico ufficiale che nei decenni precedenti con maggiore protervia avevano impersonato la via capitalista che un passo dopo l’altro si imponeva nell’URSS, 2. dai maggiori esponenti dell’economia criminale e occulta (il “mercato nero”) sviluppatasi nella stessa epoca ai margini e negli interstizi dell’economia ufficiale (la corruzione è stato un problema ossessivamente e inutilmente posto da molti esponenti sovietici nell’epoca Breznev) e 3. dagli eredi delle famiglie nobili e borghesi rifugiatesi all’estero alla caduta dell’impero zarista. Sono quelli che il sistema di manipolazione e intossicazione dell’opinione pubblica dei paesi imperialisti chiama “oligarchi” e che compongono la classe di cui il gruppo Putin è l’espressione politica. Le condizioni delle massa della popolazione peggiorarono brutalmente in misura drastica in tutti i campi: indici ne sono la netta diminuzione della durata media della vita e l’aumento della mortalità generale (le vittime dello scioglimento dell’URSS sono valutati ammontare ad alcune decine di milioni, alcuni dicono 50 milioni, più del doppio delle vittime sovietiche causate dalla seconda guerra mondiale) e della mortalità infantile. L’emarginazione di Eltsin e l’avvento al potere di Putin nel 1999 nella Federazione Russa segnano la fine di questo periodo di privatizzazione e di distruzione selvagge del sistema economico e sociale russo e l’instaurazione di un regime economico, sociale e politico meno instabile, con rapporti in qualche misura paritari con i gruppi e gli Stati del sistema imperialista mondiale. La Federazione Russa ha ereditato gran parte non solo del territorio, della popolazione e delle risorse naturali ma anche della forza militare e dell’apparato economico, tecnologico e scientifico dell’URSS di Breznev. Con il gruppo politico capeggiato da Putin la FR è diventata uno Stato che pratica una politica nazionale e internazionale relativamente indipendente dagli USA e dalla Comunità Internazionale (CI) dei gruppi imperialisti USA, sionisti ed europei e si è inserito con una relativa autonomia anche 1. nella resistenza degli Stati (Iran, Siria, Palestina e un numero crescente di Stati sudamericani e africani) renitenti al libero saccheggio da parte dei gruppi imperialisti della CI e 2. nello scontro tra gli USA e la Repubblica Popolare Cinese, un paese che a sua volta si trova nella seconda delle tre fasi dei primi paesi socialisti, in un momento in cui la lotta tra le due classi, le due vie e le due linee per forza di cose avrà una svolta che determinerà il futuro della RPC e il suo ruolo nella storia – da “L’intervento militare della Federazione Russa in Ucraina, La guerra USA e NATO contro la Federazione Russa” - La Voce del (nuovo)PCI n. 70 – marzo 2022.
Ne discende che la principale forma di solidarietà con i comunisti e gli oppositori ucraini perseguitati dal regime fantoccio di Kiev tramite le forze di polizia, l’esercito e le bande paramilitari di nazisti prevenienti da mezza Europa (e addestrati dalla NATO) e il migliore contributo che possiamo dare ai lavoratori e alle masse popolari ucraine è cacciare il governo delle Larghe Intese e sottrarre il nostro paese al controllo della NATO e alla guerra, NON sventolare bandiere ucraine e intonare slogan delle milizie reazionarie seguendo le istruzioni e il comando di Biden e Draghi!
 
Unità d’azione e lotta ideologica
Noi non siamo per la pari dignità tra posizioni giuste e posizioni sbagliate. La lotta fra le idee (idee giuste contro idee sbagliate) è parte della lotta per dare un orientamento giusto (adeguato) alla mobilitazione pratica delle masse popolari organizzate, contrastare le idee sbagliate che alimentano disfattismo, rassegnazione e sfiducia, attendismo e fatalismo. La lotta contro le idee sbagliate in seno al movimento rivoluzionario è parte della guerra popolare rivoluzionaria. “La grande lotta dei comunisti”, insegnava Engels, fondatore insieme a Marx del movimento comunista cosciente e organizzato, “non ha solo due forme (la lotta economica e la lotta politica), ma tre, perché accanto a quelle due va posta anche la lotta teorica”.
Insegnamento confermato e sintetizzato poi da Lenin nella formula “senza teoria rivoluzionaria non ci può essere movimento rivoluzionario” e da Mao Tse-tung: “le idee giuste (…) provengono dalla pratica sociale, e solo da questa. Provengono da tre tipi di pratica sociale: la lotta per la produzione, la lotta di classe e la sperimentazione scientifica. Una volta che le masse se ne sono impadronite, le idee giuste, caratteristiche della classe avanzata, si trasformano in una forza materiale capace di trasformare la società e il mondo”.
Su questo bisogna essere rigorosi, che oggi significa fondamentalmente due cose.
1. Farla finita con il pantano in cui revisionisti e la sinistra borghese hanno trascinato le masse popolari, p antano di cui quella della “pari dignità di tutte le opinioni” è una delle manifestazioni. I comunisti sono scienziati della rivoluzione socialista, non parolieri da talk show televisivi. Non agiscono sulla base di “opinioni”, ma usano la scienza che Marx ed Engels hanno fondato (facendo evolvere il socialismo “dall’utopia alla scienza”) e che Lenin, Stalin e Mao Tse-tung hanno arricchito. Arricchito perché lo diciamo noi? No, perché ne hanno dato dimostrazione pratica con il risultato dell’azione svolta dai partiti comunisti di cui sono stati alla testa.
2. Trattare apertamente le divergenze: quelle tra partiti, organismi, gruppi attraverso il dibattito franco e aperto e quelle all’interno del partito comunista attraverso la lotta tra le due linee e applicando il centralismo democratico. Concezione, analisi, linea, metodi per avanzare fino alla vittoria della rivoluzione socialista non sono una questione tra noi del P.CARC e più in generale della Carovana del (nuovo)PCI e questo o quell’altro partito, organismo e gruppo che si dice comunista: non si tratta di un match tra partiti né di una schermaglia tra personaggi al modo dei talk show televisivi. Natura della crisi e vie d’uscita, ruolo dei comunisti e natura della loro organizzazione, piano per arrivare all’instaurazione del socialismo, analisi della situazione e linea d’azione o sono giuste perché conformi alla realtà e al bilancio dell’esperienza del movimento comunista o sono sbagliate: non per noi del P.CARC o per questo o quell’altro partito, ma per tutti i comunisti, per tutti quelli cioè che si propongono l’instaurazione del socialismo come fine della loro attività.
Ma allo stesso tempo prendiamo atto della realtà.  Oggi tra partiti, organismi, gruppi che compongono il movimento comunista cosciente e organizzato del nostro paese ci sono posizioni differenti quando non addirittura contrastanti e divergenze importanti, rafforzate dall’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e dal conseguente declino del movimento comunista. Sulla stessa questione, spesso giusto e sbagliato, vero e falso, avanzato e arretrato si intrecciano o la teoria fa a pugni con la pratica.
Sempre sulla guerra in Ucraina, infatti, ci sono partiti e organizzazioni come il PRC, Potere al Popolo e altri schierati sulla posizione “né con la NATO né con la Russia”, ma che sono tra i promotori delle mobilitazioni contro le basi USA e NATO nel nostro paese. Sostengono che esistono due imperialismi uguali e contrapposti che si contendono la spartizione del mondo e che “entrambi gli imperialismi sono nemici dei popoli”, ma poi devono fare i conti con il fatto che in Italia non ci sono basi militari della Federazione Russa contro cui manifestare, non ci sono poligoni, non ci sono depositi di missili nucleari russi, ecc.: l’Italia non è occupata dalla Federazione Russa, ma dalla NATO! “L’equidistanza”, sbagliata sul piano politico – poiché mette la Federazione Russa sullo stesso piano dell’imperialismo USA – è inattuabile sul piano pratico, perché praticamente le masse popolari hanno un nemico principale, sempre.
E ci sono partiti come il PC Rizzo e aree come quella raccolta nell’appello “Per l’unità dei comunisti” lanciato da Fosco Giannini, Manlio Dinucci e la rivista Cumpanis che hanno ben chiara la catena di cui la guerra in Ucraina è parte; svolgono un’importante e dettagliata azione di informazione contro la propaganda di guerra dei media di regime nostrani e internazionali; sono tra i promotori delle mobilitazioni contro le basi USA e NATO e la partecipazione del nostro paese alla guerra al carro degli USA e della NATO. Allo stesso tempo, però, in attesa che “la rivoluzione scoppi” (sono convinti che la rivoluzione socialista sia necessaria, ma non all’ordine del giorno: una prospettiva lontana e indefinita) si sono accomodati sull’idea di un “mondo multipolare” in cui USA, UE, Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese potrebbero in qualche modo convivere, mantenendo rapporti di concorrenza e ostilità ma che non sfociano in guerre di aggressione. Ma un mondo multipolare e pacificato non può esistere, i fatti spingono questi compagni alla tifoseria, basata sulla convinzione che saranno i risultati ottenuti dalla Federazione Russa sul campo militare (o dalla Repubblica Popolare Cinese, per il momento su quello diplomatico) a decidere le condizioni e il futuro degli operai e delle masse popolari del nostro paese e le sorti della rivoluzione socialista in Italia [leggi “A chi appaltare il lavoro dei comunisti italiani” su Resistenza n. 2/2022].
Noi dobbiamo partire da questa realtà e trasformarla. Siamo infatti certi che la pratica confermerà o farà emergere le posizioni giuste e smentirà le posizioni sbagliate. Solo chi non ha fiducia nelle proprie posizioni, non fa alleanze e operazioni comuni con organizzazioni e persone che hanno obiettivi comuni su singole questioni immediate. Quindi pratichiamo l’unità d’azione (contro il settarismo) e la lotta ideologica (contro l’unità senza principi).
Costruire il fronte comune per coalizzare su ogni terreno il più ampio numero di forze intorno all’obiettivo di cacciare il governo Draghi è necessario. A questo fine noi comunisti dobbiamo agire con una strategia e molte tattiche: dobbiamo essere flessibili nella scelta della tattica che utilizziamo posto per posto, ambiente per ambiente, circostanza per circostanza, persona per persona. Non si tratta di imbrogliare la gente: si tratta di portare ognuno a fare un passo avanti, perché solo facendo quel passo poi farà il successivo. Quale passo dobbiamo far fare a questo individuo concreto o a questo gruppo concreto? Individuarlo è il 90% della nostra tattica. Non è facile individuarlo, ma se ci poniamo sistematicamente il compito di trovarlo e facciamo sistematicamente il bilancio dell’esperienza e dei risultati, se questo lavoro non lo fa ognuno di noi isolato, ma lo facciamo insieme grazie ai legami di partito (cioè avendo una concezione del mondo comune, una linea generale comune, principi e strumenti per scambiare esperienze e fare insieme bilanci), dopo un po’ di sofferenze e tentativi ci si arriva. Questo implica avere a che fare con posizioni sbagliate e “irricevibili”. Ma il fronte non è un matrimonio, è uno strumento che permette:
– di raccogliere tutte le forze disponibili contro il nemico comune;
– di sviluppare il dibattito franco e aperto e la lotta ideologica, verificando le diverse posizioni sulla base di una pratica condivisa e comune;
– di fare esperienze pratiche comuni.
Il fronte è oggetto e soggetto del cambiamento: man mano che trasforma la realtà, si trasforma esso stesso come anche le forze che lo compongono.
Pertanto sì, condividiamo con il PMLI e altri partiti e organizzazioni il percorso di costruzione di Unità Popolare, un embrione di quell’ampio fronte necessario per cacciare Draghi e sostituirlo con un governo d’emergenza che attui le misure necessarie a soddisfare i bisogni più impellenti dei lavoratori e delle masse popolari. Proprio in ragione di questo percorso comune abbiamo fatto reciproci passi avanti nel costruire rapporti più franchi e ci sentiamo in dovere di criticare apertamente e chiaramente le posizioni del PMLI sul conflitto in Ucraina, critiche che confidiamo saranno un contributo alla sua trasformazione.
Quando un partito, organismo o gruppo che si dichiara comunista esprime posizioni arretrate o sbagliate, non è mai un problema del singolo partito, organismo o gruppo, ma di tutto il movimento comunista. Pertanto lo strumento giusto non è la denigrazione, ma la critica e il dibattito. L’atteggiamento giusto non è l’isolamento, ma l’unità d’azione nella pratica. Non la concorrenza (“affonda tu che emergo io”), quella la lasciamo ai partiti borghesi e ai capitalisti, ma la democrazia proletaria (“se sbagli ti aiuto a correggerti”).
 
CONCLUSIONI
I sommovimenti suscitati dal conflitto in Ucraina e dal coinvolgimento dell’Italia nella guerra che i gruppi imperialisti USA conducono contro la Federazione Russa per interposta persona in Ucraina, fanno emergere errori, limiti e oscillazioni di concezione, analisi e linea dei partiti, organismi, gruppi che si richiamano al movimento comunista, nel nostro paese ma non solo (vedi la posizione del KKE). Il fatto che emergano chiaramente le divergenze e affrontarle apertamente favorisce il dibattito e la lotta ideologica, strumenti essenziali per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato, strumenti che consentono di contrastare le idee sbagliate (cioè nocive alla mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari) a beneficio delle idee giuste (cioè che fanno avanzare la rivoluzione socialista). Insieme al dibattito e alle iniziative in corso per dare vita a un partito comunista all’altezza dei suoi compiti storici, faranno avanzare il confronto sul bilancio della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria e sulle lezioni che ne derivano a proposito del “partito comunista che occorre” e del percorso che il movimento comunista deve compiere per rovesciare il potere esistente e instaurare il potere della classe operaia.
 
 
Care compagne e compagni dell’Ufficio Segreteria del Partito dei Carc,
grazie per averci portato a conoscenza della vostra critica alla posizione del PMLI sulla guerra in Ucraina e per averci invitato a rispondervi. Lo facciamo ben volentieri perché, come giustamente voi dite, “non hanno pari dignità le posizioni giuste e le posizioni sbagliate”, e che bisogna “trattare apertamente le divergenze”.
Vi diciamo subito che a nostro parere siete voi in errore e non noi sull’importante questione in discussione, e cercheremo di dimostrarlo sulla base della comune teoria del marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
 
Punto primo. La natura della Russia di Putin.
I fatti dimostrano che la Russia è capitalista a tutto tondo, al suo interno vige la legge dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, accompagnata dal dilagare di miseria e povertà della stragrande maggioranza della popolazione, disoccupazione, corruzione. Oggi il 3% dei russi più ricchi possiede l’87% dell’intera ricchezza. Sono gli oligarchi, alti burocrati, avventurieri, contrabbandieri, che, nel caos emergente dei primi tempi dalla dissoluzione dell’URSS non più socialista, si sono impadroniti, con varie forme fraudolente e con la necessaria complicità del potere, dei gangli vitali dell’economia, tra l’altro attraverso la privatizzazione dei grandi gruppi praticamente a costo zero. Il numero di miliardari in un anno (dal 2018 al 2019) è salito da 78 a 110, e quello dei milionari da 172.000 a 246.000. Per contro, il 21% dei russi, stiamo parlando di oltre 31 milioni di persone, vive nella povertà. Accreditare il regime di Putin come “un regime economico, sociale e politico meno instabile”, tralasciando tutto il discorso sulle libertà di dissenso, parola e manifestazione democratiche-borghesi, in cui attualmente sia aperta la partita tra “capitalismo e socialismo” non ci pare proprio attinente alla realtà dei fatti.
La Russia ha posto le basi di paese imperialista fin dai tempi del revisionista Krusciov e lo è diventato a tutto tondo con la guida di Breznev e l’invasione della Cecoslovacchia nel’68, tanto che Mao la definiva socialimperialista. Come sapete bene, nel 1956 col colpo di Stato di Krusciov al XX Congresso del PCUS, gradualmente è stato abbattuto il socialismo e restaurato il capitalismo.
La Russia di Putin è altresì imperialista, non solo a livello economico e finanziario con l’esportazione di capitali all’estero e l’acquisizione di grandi aziende in tutto il mondo, ma soprattutto militare. In Africa la Brigata “Wagner” e altre milizie dell’esercito di dichiarata natura neonazista e composte da mercenari scelti direttamente dal Cremlino, sono determinanti per la stabilità del generale Khalifa Haftar a Bengasi; in Mali hanno preso il posto dei contingenti di occupazione francesi ritirati da Parigi; in Sudan la Russia di Putin lavora alla creazione di una base militare sul Mar Rosso e nella Repubblica Centroafricana si è posta a guardia delle locali miniere d’oro e diamanti da cui dipendono le casse nazionali e da cui si originano ogni sorta di traffici.
Ma è soprattutto forte del suo ruolo svolto in Siria e nell’intero Medioriente che l’imperialismo russo è tornato prepotentemente a far sentire la sua voce nel mondo e insediarsi con successo lungo il fianco sud della NATO. Garantendo Assad il Cremlino ha garantito se stesso e il rinnovato ruolo internazionale della superpotenza russa, da tempo ormai presente nella regione con basi militari stabili. In Siria gli è stata concessa quella aerea di Latakia e una marina a Tartus, sul Mar Mediterraneo, obiettivo primario di imposizione della propria presenza nella regione fin dall’ingresso nella guerra siriana del settembre 2015. Ha cementato un rapporto sempre più stretto con l’Egitto del golpista al-Sisi che ha accettato di ospitare navi e jet da guerra russi in basi lungo la costa egiziana e che ha partecipato a sorpresa di recente al forum economico di San Pietroburgo, nonché gli accordi col dittatore fascista turco Erdogan, a cui Putin ha venduto il micidiale sistema missilistico S-400, in teoria difensivo ma che poi viene utlizzato dalla Turchia nel massacro del popolo curdo.
Il sogno dell’impero zarista infine, simboleggiato nell’aquila bicipite che campeggia nel tricolore russo putiniano, è passato dagli interventi militari in Georgia, Ossezia del Sud e Abkhazia, fino all’annessione della Crimea. Per approdare ora all’invasione dell’Ucraina.
Siamo altresì convinti che sulla Russia attuale occorra ristabilire la verità storica circa l’antitesi tra l’URSS socialista, internazionalista e proletaria di Lenin e di Stalin, e la Russia imperialista, capitalista, nazionalista, guerrafondaia e corrotta del nuovo zarismo di Putin. Questo pericoloso e infame parallelismo “nazionalista” e “socialista” è foraggiato in Russia dal PCFR, il partito revisionista di Zyuganov, che ha appoggiato attivamente Putin nell’invasione dell’Ucraina chiedendo il riconoscimento delle cosiddette Repubbliche del Donbass. Come disse a proposito Stalin nel discorso per il XXIV Anniversario della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre del 6 novembre 1941: “Se questi imperialisti sfrenati e reazionari acerrimi continuano tuttora a coprirsi della veste di ‘nazionalisti’ e di ‘socialisti’, lo fanno per ingannare il popolo, per abbindolare la gente semplice, per coprire con la bandiera del ‘nazionalismo’ e del ‘socialismo’ la loro brigantesca essenza imperialista. Corvi che si rivestono di penne di pavone… Ma per quanto i corvi si rivestano di penne di pavone non cessano di essere corvi”.
 
Punto secondo. La natura della Cina di Xi.
La Cina di oggi non è più la Cina di Mao. È un paese capitalista in tutto e per tutto, dalla salita al potere del rinnegato e traditore Deng Xiaoping nel 1979, in cui l'imprenditoria privata rappresenta già il 60% del Pil e l'80% dei posti di lavoro. Il PMLI ne ha parlato più volte e l'ha documentato attraverso "Il Bolscevico", organo del PMLI. Eppure per voi come per altri Partiti che si definiscono comunisti essa è ancora un paese socialista. Ma quale classe vi detiene il potere politico? La borghesia o il proletariato? Il potere risiede nella struttura economica, ed essendo questa struttura di tipo capitalista, perché sappiamo che è basata sulla proprietà privata e il libero mercato, mentre il proletariato è sfruttato come e più che in un qualsiasi altro paese capitalista, il potere reale non può che essere in mano alla classe borghese; sia pure (ma non soltanto, vedi i grandi finanzieri miliardari di statura internazionale che anche in Cina non mancano) sotto le sembianze di un'oligarchia burocratica che controlla lo Stato e il partito. Il fatto che sia il Partito Comunista Cinese a controllare l'economia non garantisce affatto che tale economia possa chiamarsi socialista, se questo partito di comunista ha conservato solo il nome come un paravento per ingannare le masse ed è in realtà in mano alla borghesia.
La cricca borghese socialimperialista di Pechino si tiene ancora stretto il modello centralista che utilizza il partito come strumento di potere e di controllo delle masse e dell'economia, che, diversamente dall'ex Unione Sovietica, dove la transizione al capitalismo è avvenuta al di fuori e contro il partito revisionista, le ha consentito di restaurare il capitalismo senza rischiare la disgregazione del Paese e un pesante arretramento economico. E soprattutto non dice a che prezzo, per il proletariato e le masse popolari cinesi, sia stato ottenuto il tanto sbandierato "miracolo" economico: licenziamenti di massa e uno sfruttamento a livelli ottocenteschi dei lavoratori, che non per nulla provocano suicidi, ma anche sempre più frequenti scoppi di ribellione operaia, e uno spopolamento delle campagne e mostruose migrazioni di massa nelle città, ribaltando le indicazioni di Mao e la tendenza a ripopolare la campagna impressa dalla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, con una crescita della popolazione residente nelle città che è balzata dal 40,6% al 58,52% sul totale, e si prevede debba salire ancora.
A ciò si aggiunga la crescita esponenziale delle disuguaglianze, a tutti i livelli: tra ricchi e poveri, tra le coste e l'entroterra, con la trasformazione del glorioso PCC in un comitato d'affari di un'oligarchia burocratica e imprenditoriale, dove regnano affarismo, corruzione e nepotismo, e con la nascita di una casta di veri e propri supermiliardari. Come il fondatore di Alibaba, Jack Ma, premiato da Xi tra i "100 pionieri della Grande apertura e delle Riforme", che con 39 miliardi di dollari di patrimonio è tra i primi 26 nababbi al mondo, secondo il recente rapporto Oxfam. Per non parlare dello sfruttamento intensivo e dissennato delle risorse naturali e dell'inquinamento dell'ambiente, che ha ormai raggiunto livelli catastrofici, nonché dello sfruttamento intensivo del genere animale. Non è un caso che l’attuale pandemia di Covid-19 sia partita dal contagio dei lavoratori del mercato umido di Wuhan, in cui si vendevano pesce e altri animali, anche vivi.
Oggi la Cina è guidata dal nuovo imperatore a vita Xi Jinping, così nominato dall’Assemblea nazionale del popolo sostenitrice del capitalismo nel marzo 2018, acclamato in precedenza dal 19° Congresso del PCC dell’ottobre del 2017 insieme alla sua nuova teoria denominata nel nuovo Statuto del Partito “pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”. Un plenum che ha ribadito come la Cina si trovi "nello stadio primario del socialismo e vi rimarrà a lungo". Durante questa prima fase al "socialismo" è consentito accumulare risorse anche attraverso il mercato, ma non è dato sapere né come né quando potrà passare alla fase successiva. Ciò non ha niente a che vedere con il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e con l'autentico sviluppo della società socialista ben illustrato da Marx:"Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato". La realtà quindi è che il cosiddetto "socialismo con caratteristiche cinesi" non è che l'inganno ideologico dietro cui i revisionisti cinesi mascherano il capitalismo sfrenato agli occhi delle masse popolari. Nella pratica di oggi l’1% della popolazione cinese possiede già oltre il 33% della ricchezza, mentre il 25% più povero meno del 2%.
Se questi dati ci dicono come in Cina il ritorno al capitalismo sia pienamente completato, altri ci dimostrano come il paese sia ormai giunto anche alla fase imperialista, secondo i principi esposti da Lenin e da voi richiamati. L’esportazione cinese di capitali ha superato l'ammontare del capitale straniero nel paese, negli ultimi anni la Cina è risultata essere il più grande esportatore di capitale in Africa. Da stime recenti si apprende altresì che la Cina ha fatto più prestiti in America Latina della Banca mondiale, della Banca interamericana di sviluppo e della Banca degli Stati Uniti per l’import-export messe assieme. La sua moneta, lo yuan, fa ormai parte del paniere delle divise che compongono il sistema dei diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale.
Ma è con la cosiddetta “Nuova via della seta” che l’imperialismo cinese intende affermarsi nel mondo, partendo dallo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e logistica; la strategia di Pechino mira a favorire i flussi di investimenti internazionali e gli sbocchi commerciali per le produzioni cinesi. La “Via della seta” terrestre attraverserà tutta l’Asia Centrale arrivando dalla Cina fino alla Spagna. Quella marittima costeggerà tutta l’Asia Orientale e Meridionale, arrivando fino al Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. La mastodontica operazione imbastita dal socialimperialismo cinese coinvolgerà fino a 65 nazioni, più di metà della popolazione mondiale, tre quarti delle risorse energetiche e un terzo del prodotto interno lordo globale; rappresenterà il più grande progetto di investimento mai compiuto prima, superando di almeno 12 volte il Piano Marshall dell’imperialismo americano all’indomani della seconda guerra mondiale.
Gli artigli di Pechino si stanno conficcando anche nel continente africano. Per sostenere la rapida crescita economica la Cina ha sempre più bisogno di risorse naturali di cui l’Africa dispone in abbondanza e la cui estrazione e trasformazione è resa possibile dalle nuove infrastrutture costruite da società cinesi. Gli accordi con l’Unione Africana per la realizzazione di infrastrutture e partnership industriali di oltre 40 miliardi di dollari, segnatamente in Algeria, Sudan, Mauritania, Ciad, Congo e Angola, funzionali all’esportazione di capitale cinese e a privare questi paesi di ingenti ricchezze, mentre quel che resta ai paesi depredati non va certo a finire nelle tasche delle popolazioni locali ma in quelle dei corrottissimi notabili africani, visto che anche ove i cinesi reclutano forza-lavoro autoctona lo fanno in cambio di salari di fame e di condizioni considerate disumane. Sempre in Africa, a Gibuti, troviamo anche una grande e strategica base militare cinese con circa 10.000 soldati e navi da guerra veloci, mentre un’altra è in costruzione sulla costa atlantica dell’Africa, nella Guinea Equatoriale, in un territorio limitato ma ricco di petrolio ed in una posizione altrettanto strategica. Accordi per la costruzione di basi militari cinesi all’estero sono stati siglati recentemente tra Pechino e le Isole Salomone e con la Cambogia.
Dati esplicativi, quelli fino a qui esposti, che tolgono ogni dubbio sul fatto se la Cina di oggi sia o no imperialista. Lo diciamo ai sinceri comunisti e fautori del socialismo ancora impantanati in falsi partiti definiti comunisti che cercano di accreditare la Cina come un paese socialista.
 
Punto terzo. La guerra in Ucraina.
Arriviamo alla guerra all’Ucraina, per voi - come sostiene Putin - “un’operazione speciale”, “indispensabile e antimperialista”, che noi definiamo invece un’aggressione imperialista, neozarista e neonazista. Per noi non è accettabile l'obiettivo dichiarato di Putin nel famigerato discorso del 21 febbraio scorso, in cui si attaccano falsamente Lenin e Stalin per aver creato lo Stato dell'Ucraina, di voler “demilitarizzare” e “denazificare” l'Ucraina allo scopo di ingannare il popolo russo e usarlo come carne da cannone in una guerra fratricida contro il popolo ucraino. Ancor più non è accettabile l'obiettivo non dichiarato di Putin che è quello di annettere l'Ucraina alla Russia in base alla infondata tesi che l'Ucraina fa parte integrante della Russia. È evidente che Putin vuole restaurare l'impero zarista. Ma di chi è la responsabilità di questa tragedia se non di Putin, che l’ha preparata per mesi e scatenata violando tutte le regole internazionali e la sta conducendo con una brutalità e una spietatezza contro la popolazione civile degne dei nazisti hitleriani?
Non bisogna quindi dare alcun appiglio a Putin per giustificare la sua aggressione all'Ucraina, Stato sovrano e indipendente; bisogna invece isolare l'aggressore russo sui piani politico, diplomatico, economico e commerciale e appoggiare l'eroica Resistenza del popolo, dell'esercito e del governo dell'Ucraina.
Non tutti gli antimperialisti lo capiscono perché, oltre a essere confusi dalla propaganda menzognera di Putin, dei suoi sostenitori, come il PC di Rizzo e dei suoi agenti, come Manlio Dinucci o Fosco Giannini, sono condizionati dal fatto che l'Ucraina è appoggiata anche dagli USA, dalla NATO e dall'UE imperialisti. Ma ciò non dovrebbe essere un problema se si pensa che Mao si alleò con i nazionalisti reazionari del Kuomintang contro l’imperialismo giapponese che aveva proditoriamente aggredito la Cina, o nella seconda guerra mondiale, dove l'URSS di Stalin si alleò con l'imperialismo americano e con quello di altri Paesi per respingere l'aggressore imperialista tedesco.
Come ha indicato il nostro Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, nell’editoriale per il 45° Anniversario della fondazione del PMLI: “Certamente gli alleati imperialisti dell'Ucraina hanno i loro obiettivi politici, economici e militari strategici contro l'imperialismo russo, ma questo non è un buon motivo da parte degli antimperialisti per non stare dalla parte dell'Ucraina aggredita. Le superpotenze imperialiste dell'Ovest e quelle dell'Est, Cina e Russia, si contendono la nuova spartizione e il dominio del mondo, non si può quindi stare con le une o con le altre; quando un qualsiasi paese, anche se capitalista, viene aggredito da una di esse bisogna stare dalla sua parte”. In base ai principi marxisti-leninisti e internazionalisti che ci hanno insegnato i grandi Maestri del proletariato internazionale Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, espressi anche dalla Conferenza di Bandung del 1955 ispirati dalla Cina di Mao, che – continua Scuderi - “la sovranità, l'indipendenza e la libertà di ogni paese sono inviolabili; che ogni popolo è padrone del proprio destino; che ogni nazione ha il diritto all'autodeterminazione; che l'antifascismo, l'antinazismo, così come la rivoluzione e il socialismo non si esportano con le armi”, e che anche voi, compagne e compagni dei Carc dovreste ricordarli. L’URSS di Lenin e Stalin e la Cina di Mao non hanno mai aggredito nessun paese, quant’anche fossero potenze reazionarie, capitaliste, imperialiste, fasciste e naziste o alleate dei fascisti e dei nazisti.
 
Punto quarto. Il governo Draghi e la guerra in Ucraina.
Con la resistenza ucraina ma contro il governo Draghi , questa è sempre stata la nostra parola d’ordine. Anche quando si è cercato di strumentalizzare la Resistenza e i partigiani per appoggiare l'imperialismo dell'Ovest contro l'imperialismo dell'Est. Su questo punto occorre essere chiari. Gli antifascisti non possono che essere contro tutti gli imperialismi, e stare perciò dalla parte del popolo ucraino aggredito e della sua eroica resistenza armata contro l'esercito imperialista aggressore di Putin, che vuol restaurare l'impero zarista con metodi nazisti simili a quelli dell'attacco di Hitler all'URSS di Stalin e di Bush all'Iraq. È giusto perciò che l'Italia rompa ogni relazione politica, diplomatica, economica e commerciale con la Russia; ma non l'invio delle armi all'Ucraina, che trascina di fatto il nostro paese in guerra con la Russia e lo espone a pericolose ritorsioni. Così come bisogna rifiutare l'aumento delle spese militari.
Le superpotenze imperialiste dell'Ovest e quelle dell'Est si stanno affrontando per decidere una nuova spartizione del mondo, alla stregua delle nazioni dell'Intesa e degli Imperi centrali alla vigilia della carneficina della 1ª Guerra mondiale, che Lenin analizzò magistralmente nella sua ancora attualissima opera “L'imperialismo, fase suprema del capitalismo”. Occorre combattere fino in fondo l'imperialismo invasore e aggressore del nuovo zar Putin senza con questo dimenticare l'imperialismo dell'Ovest, perché l'imperialismo, qualsiasi sia la sua faccia, è il nemico mortale di tutti i popoli del mondo. Fuori l'armata neonazista russa dall'Ucraina per un'Ucraina libera, indipendente, sovrana e integrale, ma nel contempo continuiamo a chiedere che l'Italia esca dalla NATO e dall'UE. E se l'imperialismo italiano intendesse partecipare ad una guerra mondiale tra le superpotenze il popolo italiano dovrebbe insorgere per impedirglielo: questo è l'unico vero modo di rispettare lo spirito della Resistenza e l'insegnamento che ci hanno lasciato le partigiane e i partigiani.
Ispirarsi allo spirito e all'insegnamento della Resistenza oggi vuol dire anche lottare contro il governo Draghi del capitalismo, della grande finanza, della NATO e dell'UE imperialiste. Liberarsi dal governo del banchiere massone Draghi, nato da un golpe bianco di Mattarella e sostenuto da una disgustosa ammucchiata dei partiti della destra e della “sinistra” borghesi per trarre fuori il capitalismo italiano dalla crisi economica e dalla pandemia scaricandole sulle spalle del proletariato e delle masse popolari, è l'unica via per difendere gli interessi del popolo. Lo dimostra il suo immobilismo verso i problemi della disoccupazione, della sanità, della scuola, dell'evasione fiscale, del caro vita e delle bollette, mentre aumenta la spesa militare al 2% del Pil senza scostamento di bilancio, vale a dire che la toglierà dalla spesa sociale. È necessario abbatterlo quanto prima e intensificare la lotta di classe, costruendo un vasto fronte unito di tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose antidraghiane, se si vuol risolvere i problemi più urgenti delle masse: dal lavoro ai salari, dalla salute alla sicurezza sul lavoro, dall'orario di lavoro alle pensioni, dall'emergenza climatica alla trasformazione energetica rinnovabile, senza tralasciare l'uscita dell'Italia dalla NATO e dalla UE e il ritiro di tutte le missioni militari all'estero.
Come i CARC anche il PMLI lo vuole sconfiggere e cacciare. Per noi però non esiste una minima possibilità che possa realizzarsi la fantasiosa e riformistica proposta di un “Governo di blocco popolare tappa del cammino che sfocerà nell'instaurazione del socialismo”. Auspichiamo invece che i Carc alle prossime elezioni politiche si uniscano al PMLI per propagandare l'astensionismo elettorale tattico, abbandonando ogni tentazione di votare una qualsiasi coalizione elettorale della “sinistra” borghese, o singoli candidati, come avete fatto nel passato nei confronti di De Magistris e del M5S.
 
Punto quinto. L’unità d’azione delle forze antidraghiane in Unità Popolare.
La nascita del Coordinamento di Unità Popolare (UP), con tanto di conferenza stampa alla Camera dei deputati lo scorso 1° luglio è stato un evento molto importante, per certi versi storico, nel panorama politico del nostro Paese. Ed i nostri due Partiti possono vantarsi di essere stati soggetti trainanti. A partire dai primi striscione, volantino e partecipazione unitari alla manifestazione nazionale della GKN a Firenze del 26 marzo, contro tutti i dubbi e perplessità degli altri alleati, alcuni dei quali si sono defilati all’ultimo momento. CARC e PMLI hanno avuto l’acume politico e tattico che non si poteva né si doveva tornare indietro, che era improcrastinabile un’unità d’azione di tutte le forze antidraghiane disposte ad accantonare le diversità per sposare la condivisione di un obiettivo prioritario per le condizioni materiali delle masse lavoratrici e popolari italiane e per lo sviluppo della lotta di classe.
Ognuno con le proprie bandiere ma uniti abbiamo poi sfilato nelle manifestazioni per lo sciopero generale del 20 maggio del sindacalismo di base e il 2 giugno a Coltano contro la base USA e NATO e le misure guerrafondaie del governo Draghi. Dimostrando che l’unione politica e organizzativa fa la forza e riscuotendo apprezzamenti e commenti positivi da tanti esponenti sinceramente anticapitalisti, antimperialisti e antidraghiani. Il non presentarsi come un solito cartello elettorale fine a sé stesso è stato finora la carta vincente di UP.
Frattanto auspichiamo che la cooperazione tra il PMLI e il Partito dei Carc si sviluppi sempre più dentro e fuori Unità Popolare, anche se dovesse perdurare la grave divergenza sull’Ucraina e l’attuale situazione internazionale. Dobbiamo andare avanti uniti contro il governo Draghi, Draghi 2 o qualunque altro governo dovesse succedere per garantire gli interessi del capitalismo e dell’imperialismo italiani e il capitalismo, per aprire una grande discussione rivoluzionaria sull’alternativa di società, da pari a pari, senza pregiudizi, e con essa aprire altrettanto la strada alla conquista del socialismo e del potere politico da parte del proletariato.
 
Punto sesto. Il fronte unito delle forze fautrici del socialismo per abbattere il capitalismo e instaurare il socialismo e il potere politico del proletariato.
Altro discorso dobbiamo fare per il fronte unito delle forze fautrici del socialismo per abbattere il capitalismo e instaurare il socialismo e il potere politico del proletariato. All’interno di UP e all’esterno tra i partiti comunisti con la bandiera rossa e la falce e martello che vi si rifanno.
All’interno di UP il primo scoglio che vediamo sul tema è il vostro appiattimento sulla posizione revisionista del PCI sulla Costituzione italiana, che anche voi citate sempre tra i vostri punti cardinali. Nel Coordinamento ci risulta che avete lasciato solo il nostro compagno incaricato a controbattere le argomentazioni di Ingroia prima e del PCI dopo, accettando quella definizione che compare nell’attuale Regolamento, “in difesa dei valori e dei principi progressisti” dell’attuale Costituzione, dopo aver tolto il compromesso raggiunto a fatica su “parti di essa”. Eppure dovreste sapere bene che questa Costituzione, non a caso difesa persino dal partito fascista della Meloni, è una gabbia per il proletariato e per la conquista del socialismo nel nostro Paese. Essa è fondata sullo sfruttamento, è borghese e, come si legge nel documento dell'Ufficio politico del PMLI del 15 dicembre 1997, è contro la rivoluzione e il socialismo, quindi è un testo che non può assolutamente rappresentare un autentico partito comunista. Vi ricordiamo solo un passaggio dei marxisti-leninisti cinesi ispirati da Mao sul tema: “Naturalmente noi non neghiamo che l’attuale Costituzione italiana contenga certe frasi altisonanti; ma come può un marxista-leninista prendere per realtà queste frasi altisonanti scritte in una costituzione borghese?
Vi sono 139 articoli nell’attuale Costituzione italiana. Ma, in ultima analisi, la sua natura di classe è più chiaramente rappresentata dall’articolo 42, il quale prevede che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge”; tenendo presente la realtà dell’Italia questo articolo garantisce la proprietà privata della borghesia monopolista. In virtù di questa clausola, la Costituzione soddisfa le esigenze dei capitalisti monopolisti, poiché la loro proprietà privata è resa sacra e inviolabile. Cercare di nascondere la vera natura della Costituzione italiana e parlarne in termini superlativi è solo ingannare se stessi e gli altri.»
(Estratto dall'articolo "Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi" pubblicato sul giornale teorico del Partito Comunista Cinese "Bandiera rossa" n. 3-4, 1963).
All’esterno di UP il vostro Partito, tramite il Segretario nazionale, compagno Pietro Vangeli, è stato il primo e uno dei pochi che ha risposto positivamente al nostro appello dell’ottobre dello scorso anno, in cui chiedevamo, alla luce dell’attuale situazione politica e sociale nel nostro Paese, chi fosse interessato e disponibile a un incontro in presenza o da remoto per concordare una linea unitaria contro il governo Draghi e per elaborare assieme un progetto per il futuro dell’Italia.
In sostanza il PMLI chiedeva di aprire una grande discussione pubblica e privata sui due suddetti temi all’interno del proletariato e delle sue organizzazioni politiche, sindacali e culturali e fra di esse. Siamo tuttora convinti che occorre farla il prima possibile, con apertura mentale, a cuore aperto, senza pregiudizi, preclusioni e personalismi, da pari a pari e con la piena disponibilità ad apprendere l’uno dall’altro. Il nostro auspicio è che siano i nostri Partiti e Organizzazioni i primi e i principali promotori di questa urgente, salutare e senza precedenti grande discussione rivoluzionaria sul futuro dell’Italia. Noi siamo disponibili fin da subito a sederci attorno a un tavolo per discutere di tale disegno con voi, per poi poter allargare il tavolo con le altre forze interessate e disponibili. E’ questo il momento se vogliamo lasciare un segno nella storia della lotta di classe nel nostro Paese; dobbiamo unirci ed elaborare un progetto comune per cambiare l’Italia in senso socialista. Se voi siete d’accordo con questa fondamentale indicazione impegnatevi personalmente affinché questo evento si realizzi al più presto. Allora si aprirà una nuova stagione rivoluzionaria che porterà nel tempo il proletariato al potere e tingerà l'Italia di rosso.
 
Saluti comunisti.
Commissioni del PMLI
 

20 luglio 2022