Aiuti bis: solo briciole, un'elemosina
Ai lavoratori 100 euro lordi per sei mesi. Ai pensionati 10 euro ogni 500 euro di pensione per tre mesi. Niente sugli extra profitti
"Sul piano quantitativo del tutto insufficiente. Su 14,3 miliardi di manovra c'è un miliardo per i lavoratori e un miliardo e mezzo per le pensioni". Questa dichiarazione del segretario generale della Cgil Maurizio Landini fotografa la sostanza delle misure prese dal governo Draghi con il cosiddetto decreto “Aiuti bis”, approvato a inizio agosto. Ricordiamo che l'esecutivo guidato dal banchiere massone è caduto, ma da qui al nuovo governo che si formerà dopo le elezioni politiche del 25 settembre rimane in carica per espletare gli “affari correnti”.
Una formulazione che lascia comunque ampi margini di manovra anche su questioni molto delicate. Questo decreto veniva presentato da Draghi e dai partiti che lo sostengono, come un importante strumento per aiutare lavoratori, pensionati e famiglie (oltre che le imprese), per fronteggiare il forte aumento dell'inflazione e quindi dei prezzi, a partire da quello dei beni di consumo alimentari e del carburante a cui è seguito quello delle bollette di gas e luce che alla fine hanno trascinato al rialzo tutto il resto. Alla fine però le masse popolari e i lavoratori hanno ricevuto solo briciole, poco più di un elemosina.
Anzitutto il bonus di 200 euro mensili per i redditi sotto i 35mila euro lordi annui non viene rinnovato, con la motivazione che la proroga avrebbe comportato un eccessivo dispendio di risorse che lo Stato ad oggi non può impiegare o che devono essere finalizzate ad altre misure. Tutti quei lavoratori e pensionati che speravano di ricevere questo sostegno per altri due mesi o per tutto il 2022 (come sembrava in un primo momento) sono rimasti a bocca asciutta: il bonus 200 euro rimane un’indennità una tantum ossia riconosciuta una sola volta e basta. L'unica novità riguarda il fatto che sarà esteso (sempre per una mensilità) a chi era stato escluso nel precedente decreto.
Al suo posto una misura assai meno dispendiosa e a carico delle entrate: da luglio a dicembre l’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore sarà incrementato di un punto percentuale. In sintesi, il taglio del cuneo fiscale passa dallo 0,8% all’1,8%. Tradotto in concreto una riduzione del cuneo contributivo in questa misura equivale ad avere in busta paga 10 euro lordi in più ogni mille per sei mesi, che per un misero stipendio medio italiano equivalgano, per tutto il periodo in questione, a ritrovarsi elargita un elemosina di circa100 euro lordi.
Stesso metro è stato usato per le pensioni. La tanto decantata “rivalutazione” che partirà a ottobre si risolve in un aumento del 2% lordo e un anticipo di adeguamento dello 0,2% che doveva essere erogato a gennaio 2023 che viene anticipato a ottobre 2022. Secondo i sindacati, gli aumenti mensili oscilleranno tra 10,49 euro per le pensioni minime (524 euro) e 51,39 per quelle pari a 5 volte la minima. Ci pare quasi superfluo sottolineare come aumenti stimati dall'Istat nell'ordine dell'1,9% quando l'inflazione galoppa intorno al 9%, sono una vera e propria offesa per pensionati che debbono campare con 6/700 euro al mese o lavoratrici e lavoratori con 1.200.
Cifre irrisorie che potevano essere incrementate con l'utilizzo degli extraprofitti accumulati dalle società con la speculazione sui prezzi delle fonti energetiche e di altri prodotti, come avevano chiesto anche i sindacati. Invece non c'è stato niente da fare, il governo Draghi ha rifiutato categoricamente la proposta di utilizzarli nella loro totalità o in misura maggiore. Lo stesso governo stima gli extraprofitti nel solo comparto energetico in oltre 42 miliardi, ossia tre volte la cifra stanziata dal decreto “Aiuti bis”, ma si è preferito lasciare gonfiare i portafogli ai pescecani capitalisti e ai manager mentre la popolazione non arriva alla fine del mese.
A questo proposito c'è da registrare l'opposizione delle aziende, alcune perfino sotto controllo pubblico, che si appellano all'incostituzionalità di un tale provvedimento, mentre ci sono ditte che non hanno versato neppure l'acconto di giugno. Su questo tema Landini ha dichiarato: “le entrate di Eni che balzano in alto arrivano dai rincari delle bollette pagati dalle persone. Su questo bisogna intervenire subito. Perché, ripeto, è uno schiaffo a lavoratori e pensionati e a chi ha sempre pagato le tasse”. Ma se così stanno le cose perché la Cgil, da sola o assieme a Uil e Cisl, non lancia subito una mobilitazione contro il carovita e l'aumento delle disuguaglianze?
Anziché unirsi ai sindacati di base che su questi temi hanno già indetto uno sciopero generale per l'autunno si preferisce tergiversare, chiedere nuovi inconcludenti incontri a Draghi (ma non si poteva metterlo in un angolo subito, viste anche le sue difficoltà politiche?). Evidentemente si aspetta il nuovo esecutivo mentre c'è già chi, come la Cisl, si accontenta di questa elemosina e il suo segretario Sbarra ha avuto la faccia tosta di affermare: “misure condivisibili da rafforzare durante iter parlamentare. Il governo ha tenuto conto del confronto con il sindacato”.
31 agosto 2022