Nell'Agro Pontino
Migrante bastonato dal padrone perché chiede il salario
L'immigrato indiano lavorava anche 16 ore al giorno
Lo scorso 1° settembre un giovane migrante di nazionalità indiana - addetto a una stalla in un caseificio di Mesa, frazione di Pontinia in provincia di Latina - si è recato presso la stazione dei carabinieri di Pontinia dove, ancora frastornato per le violenze subite, ha denunciato quanto accaduto poche ore prima, quando è stato violentemente aggredito con un bastone di ferro e un coltello da parte del titolare dell'azienda e di suo figlio, e tutto ciò per avere lamentato di aver ricevuto alcune centinaia di euro anziché 1200 euro mensili pattuiti in precedenza.
Il ventiquattrenne, prima di recarsi dai carabinieri, si era recato all’ospedale di Terracina, dove i medici hanno potuto riscontrare svariati ematomi e ferite da arma da taglio a entrambe le braccia.
L'imprenditore e il figlio sono stati iscritti nel registro degli indagati con l'ipotesi di reato di lesioni aggravate.
L’unica colpa di questo migrante è stata quella di aver lavorato per l’azienda dell’imprenditore e di avere rivendicato quanto pattuito e non l'elemosina elargita dal suo sfruttatore, un atto evidentemente considerato di insubordinazione da quest'ultimo, che non ha esitato a reagire con una criminale aggressione a mano armata, manifestazione di un intollerabile senso di arroganza e di impunità.
Dalla denuncia sporta ai carabinieri è emerso che il giovane era stato assunto, nonostante fosse privo di un regolare permesso di soggiorno e quindi in condizione di ricattabilità, per lavorare 16 ore al giorno per circa 32 giorni nell’allevamento delle bufale da cui il padrone traeva il latte e la carne da vendere nei mercati romani e pontini, o per produrre formaggi e mozzarelle di qualità.
Per dormire, l’imprenditore aveva concesso al lavoratore una struttura in legno precaria e pericolosa, priva di riscaldamento, bagno e cucina, posta ad appena tre o quattro metri dalla stalla dove il lavoratore trascorreva, spesso da solo, molte ore di lavoro nell’arco della giornata.
Il titolare dell'azienda, un italiano, era già stato oggetto di diverse denunce presentate da lavoratori indiani per episodi di aggressione fisica, violenza e mancate retribuzioni: lo scorso aprile il fratello di un lavoratore indiano - che si era rivolto all’imprenditore per ottenere le retribuzioni non corrisposte al parente, nel frattempo tornato in India – aveva sporto denuncia contro di lui lamentando un'aggressione che lo aveva mandato all'ospedale con il naso rotto.
Si tratta di fatti gravissimi che indicano la persistenza nel nostro Paese di un sistema economico e sociale fondato sul supersfruttamento del lavoro, sul ricatto e la violenza, finalizzati a produrre profitti, nel comparto agroalimentare, che l’Eurispes ha quantificato in circa 24,5 miliardi di euro l’anno: ciò che sconcerta è il fatto che episodi come quello accaduto al giovane indiano non sono eventi isolati, ma sono una consuetudine, una modalità di organizzazione del lavoro agevolata dalle vigenti norme in tema di immigrazione, come la legge Bossi-Fini, che, ponendo i migranti irregolari in uno stato di ricattabilità, consentono di fatto ogni tipo di supersfruttamento sui migranti.
28 settembre 2022