Un anno dopo l'assalto fascista alla sede nazionale
La CGIL in piazza per il lavoro
Inaccettabili le proposte di Landini sulla pace e sulla non pregiudiziale verso il governo neofascista Meloni, a cui lancia messaggi rassicuranti nonostante l'antifascismo mostrato dai manifestanti
Sabato 8 ottobre, ad un anno esatto dall'assalto fascista alla sede nazionale di Roma, la Cgil ha indetto una giornata di mobilitazione portando in Piazza del Popolo migliaia di persone. Una manifestazione contro il fascismo, contro la guerra, per i diritti, per il lavoro; tema centrale quest'ultimo, tanto che nel grande pannello dietro al palco campeggiava come slogan la frase: “Italia, Europa: ascoltate il lavoro”.
Sfruttando il malcontento popolare per le misure governative legate al contrasto della pandemia e la crisi economica che attanagliava, allora come oggi, le masse (vecchia tattica dei fascisti), vari gruppi neofascisti organizzarono un attacco squadrista che devastò la sede del più grande sindacato italiano. L'assalto causò una forte reazione, poi sfociata in una grande manifestazione nazionale antifascista a Roma (a cui partecipò anche il PMLI) dove la piazza chiedeva lo scioglimento di gruppi come Forza Nuova e CasaPound. Richiesta che il capo del governo Draghi ha poi totalmente ignorata.
La manifestazione non era però legata solo ai fatti dello scorso anno e al tema dell'antifascismo si mescolavano quelli del carovita, della guerra, della sicurezza sul lavoro. Il canto di “Bella ciao” e il coro “siamo tutti antifascisti” hanno caratterizzato tutto il lungo corteo che ha percorso le strade della capitale, in tanti indossavano magliette rosse. "La sicurezza non è un lusso, basta stragi sul lavoro" era uno degli striscioni che campeggiavano alla testa del corteo, su di un altro si leggeva: “le cose che devono scendere: le bollette, il carovita, gli over 60 dai ponteggi”. Tanti cartelli e slogan anche contro la guerra e l'aumento delle spese militari. Su questo punto però Landini non ha chiesto il ritiro immediato delle truppe d'invasione di Putin, sostituendolo con un inaccettabile e generico invito alla pace che lascia indistinto il ruolo di aggrediti e aggressori.
Quello dell'8 ottobre ha rappresentato il primo ritorno in piazza della Cgil dopo le elezioni politiche del 25 settembre che hanno segnato, tra le altre cose, il successo della destra nei confronti della “sinistra” borghese. Landini nel suo intervento ha dovuto ammettere la fortissima ascesa dell'astensionismo, che la destra ha vinto come coalizione ma ha meno voti degli altri partiti messi assieme e quindi la maggioranza del Paese è rappresentata da chi ha disertato le urne o ha votato scheda bianca o nulla. Un'analisi dei risultati molto simile a quella del PMLI, anche se poi le conclusioni sono totalmente divergenti.
Landini in ogni caso ha voluto tranquillizzare la ducessa Meloni, ricordando come abbia tutto il diritto di governare il Paese e che “la Cgil non è in piazza contro qualcuno, ma perché venga ascoltato il lavoro”. Già all’inizio del suo intervento Landini aveva voluto evidenziare come la decisione di tornare in piazza “l’abbiamo presa prima di sapere come sarebbero andate a finire le elezioni”, ricordando che al centro dell’iniziativa c’è il tema del lavoro perché “in questi anni Governo e opposizione non hanno ascoltato i lavoratori”. In questo modo intendeva rispondere alla Meloni che si era lamentata: “è paradossale che la sinistra scenda in piazza contro un governo che ancora non c'è”, ma una nota di Fratelli d'Italia puntualizzava che si riferiva alle proteste degli studenti, che non hanno perso tempo manifestando subito contro lo scontato futuro governo neofascista, tra l'altro bruciando le sue foto al grido di “fuori i fascisti dalla scuola”. Al contrario Landini ha voluto ribadire di non avere nessuna pregiudiziale verso il governo neofascista della Meloni, contrastando persino lo spirito antifascista della manifestazione stessa.
Sulle rivendicazioni concrete le 10 proposte lanciate dal sindacato al nuovo esecutivo sarebbero condivisibili se fossero chiare e portate fino in fondo, invece sono ambigue, limitate, chiedono sopratutto aggiustamenti. “Tassare gli extraprofitti e redistribuirli ai redditi da lavoro e alle pensioni più basse” ma non si chiede la loro confisca totale, “superare il Jobs Act e la legge Fornero” ma non si ha il coraggio di chiedere la loro abrogazione, “Condizionare i finanziamenti e le agevolazioni pubbliche collegandoli alla stabilità dell’occupazione e contrastare le delocalizzazioni” ma i soli a proporre una legge seria in tal senso sono stati gli operai della GKN e non i sindacati confederali.
Mentre i sindacati di base, collettivi studenteschi, comitati, partiti e organizzazioni anticapitaliste lottano senza soluzione di continuità contro il governo in scadenza del banchiere massone Draghi e quello futuro neofascista della Meloni, Landini sembra muoversi con i piedi di piombo. La stessa Cgil, facendo il resoconto della manifestazione sul suo giornale on-line “Collettiva”, rilanciava la parola d'ordine del “sindacato di proposta”, in chiara opposizione al “sindacato di protesta”, ribadendo: “Insomma: nessun arroccamento, ma la volontà di unire il paese a partire dal mondo del lavoro”.
In sostanza si ribadisce la linea della concertazione, e un passo dell'intervento finale di Landini lo indica in maniera chiara. “Non vogliamo essere chiamati quando le cose sono decise. Lo voglio dire in modo chiaro a chi sta formando o pensa di formare un nuovo Governo perché ha vinto le elezioni: non abbiamo nessuna pregiudiziale verso nessuno, giudichiamo tutti per quello che fanno. Voglio dire una cosa molto precisa – continua il segretario della Cgil – se continuano sulla linea di essere chiamati a Palazzo Chigi alle 11 per spiegarci che alle 15 c’è il consiglio dei ministri e informarci di quello hanno già deciso eviti di chiamarci perché di fare i servi sciocchi di qualcuno non abbiamo nessuna intenzione”.
Il compito del sindacato è quello di lottare in difesa delle rivendicazioni e dei diritti dei lavoratori e non quello di essere invitato ai tavoli dal governo con largo anticipo sperando che, in cambio della concertazione e della collaborazione, siano ascoltate le rivendicazione dei sindacati, che sia “ascoltato il lavoro” come recitava lo slogan della manifestazione. Una linea che non ha portato a nessun risultato, se non quello di perdere potere d'acquisto e diritti conquistati con durissime lotte. Qui si tratta di salvaguardare fin da subito salari e pensioni, di opporsi decisamente e risolutamente al caro vita, alle bollette esorbitanti, respingendo le politiche del governo Draghi, che saranno proseguite dalla Meloni, che fanno pagare la guerra ai lavoratori e alle masse popolari.
La piazza di Roma ha dimostrato che la Cgil ha ancora le forze per mobilitare le lavoratrici e i lavoratori, ma anziché prepararsi a rendere difficile la vita al nuovo governo, le lancia segnali rassicuranti. Staremo a vedere cosa succederà perché la rabbia sociale potrebbe esplodere, e allora non sarà facile per nessuno convincere i lavoratori e gli strati meno agiati della popolazione “alla moderazione” e a sopportare ulteriori sacrifici.
12 ottobre 2022