Il socialimperialismo cinese mette un piede nel porto di Amburgo
Il 26 ottobre il ministero dell’Economia tedesco ha comunicato di aver ceduto alla compagnia di navigazione Cosco (China Ocean Shipping Company) una quota pari al 24,9% di uno dei quattro terminal del porto di Amburgo che movimenta 9 milioni di container l’anno. Il colosso statale cinese è già presente in Grecia, Italia, Spagna, Olanda e Belgio.
Un’acquisizione strategica che serve al socialimperialismo cinese a estendere la proprio influenza politica, commerciale ed economica non solo in Europa ma in tutto il mondo nel progetto della cosiddetta “Nuova via della seta” (Bri), il piano annunciato da Pechino nel 2013 che prevede la costruzione di strade, porti, ferrovie, aeroporti, oleodotti, centrali energetiche e linee a fibra ottica in oltre sessanta paesi per collegare più rapidamente Pechino e le sue merci, all’Asia, all’Africa e all’Europa. Un’operazione mastodontica e senza precedenti perché gli aderenti all’iniziativa rappresentano il 65% della popolazione mondiale e il 40% del Pil globale.
In verità, il cancelliere tedesco Olaf Scholz avrebbe voluto cedere il 35% del terminal nonostante una legge in vigore in Germania non consenta a società straniere di acquistare quote superiori al 25% senza ricevere l’approvazione dei ministeri competenti, che opponendosi, hanno di fatto costretto il premier socialdemocratico ad abbassare la quota di partecipazione.
Quantunque nell’accordo sia presente una clausola che vieterebbe a Cosco di aumentare la quota nel tempo, gli esperti internazionali evidenziano le abitudini della società cinese di acquistare inizialmente quote più piccole per poi allargarle. Come d’altronde è accaduto in Grecia, dove la compagnia possiede un terminal del Pireo al 100%.
Nel frattempo Cosco ha ceduto a Duisport il 30% di un terminal in costruzione del porto fluviale di Duisburg, il più importante snodo intermodale della via della Seta in Europa, anche se la guerra in Ucraina ne ha rallentato i traffici.
A novembre, Scholz sarà a Pechino per incontrare il nuovo imperatore della Cina Xi Jinping, e per cercare di rafforzare il legame commerciale tra i due paesi.
Per la prima volta in più di trent’anni la spesa per le merci importate in Germania ha superato il guadagno per quelle vendute all’estero. Basti pensare che il valore del surplus generato dall’export tedesco ad agosto 2022 è crollato del 94,83% rispetto all’anno precedente.
Certo è che la decisione del governo federale tedesco di potenziare il commercio marittimo legandosi a Pechino è in netto contrasto con il piano Usa di un progressivo decoupling,
ovvero del disaccoppiamento economico con la Cina.
Qualora la Repubblica Popolare Cinese decidesse di dare il proprio sostegno alle operazioni russe in Ucraina o peggio ancora invadere Taiwan, la Germania si troverebbe in una situazione difficile da sostenere a causa delle probabili sanzioni economiche.
Ecco perché l’accordo commerciale ha sollevato subito molte polemiche e preoccupazioni per il futuro della Germania, non contenta di avere consegnato in passato la propria sicurezza energetica alla Russia di Putin. Katharina Droge capogruppo dei Verdi al Bundestag ha infatti dichiarato: “Quelli che definiscono l’operazione un progetto meramente economico non hanno imparato nulla dagli errori commessi con la Russia negli ultimi decenni”.
Insomma, il socialimperialismo cinese continua a espandersi pericolosamente in Europa anche approfittando della crisi economica causata dal conflitto in Ucraina, e si prepara lentamente al confronto militare con l’imperialismo Usa per la conquista dell’egemonia mondiale.
2 novembre 2022