Lo certifica il Rapporto Svimez 2022
760 mila nuovi poveri di cui 500 mila al Sud
Un lavoratore su quattro è precario. Le retribuzioni lorde si sono ridotte di circa 9 punti al Sud e di 3 al Nord
Il combinato micidiale tra l'aumento delle bollette energetiche, l'impennata dell'inflazione e la recessione economica alle porte colpisce tutta l'Italia, ma con ancor più ferocia il Mezzogiorno, producendo un ulteriore allargamento della distanza che lo separa dal resto del Paese. Tanto che alla fine di quest'anno ci saranno 760 mila nuovi poveri, di cui ben 500 mila al Sud; e nel 2024, quando si prevede che ci sarà la ripresa, tutti gli indicatori economici che marcano questa distanza risulteranno peggiorati: dal Prodotto interno lordo ai consumi delle famiglie, sia in beni che in servizi; dagli investimenti alle esportazioni; dai prezzi al consumo all'occupazione. E come se non bastasse, per come è stato congegnato, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) non solo non basterà a invertire questa rovinosa tendenza, ma rischia di allargare ulteriormente i divari territoriali, specie se passerà il progetto di autonomia regionale differenziata in preparazione da parte del governo Meloni.
Questa l'impietosa fotografia dell'Italia e del Mezzogiorno nel 2022 scattata dal 49° Rapporto Svimez, presentato il 28 novembre alla Camera dei Deputati, anche con la proiezione di diverse slide
con grafici e tabelle, alcune delle quali riproduciamo in questo articolo. Il rapporto segnala che l'Italia è l'unico Paese della UE a non aver recuperato ancora i livelli precedenti la crisi mondiale del 2007-2008. E se da allora e fino a fine 2019 l'economia è rimasta praticamente stagnante (mentre quella del resto d'Europa cresceva), nondimeno il divario del Centro-Nord con il Sud del Paese è aumentato, fino a raggiungere un massimo allo scoppio della pandemia. Tra il 2020 e il 2021 questa forbice crescente aveva un po' rallentato, sia per effetto della caduta del Pil più repentina al Nord a causa della maggior incidenza del Covid, sia per le misure straordinarie di sostegno alle famiglie e di espansione delle costruzioni più forte al Sud, che avevano innescato un aumento del Pil del 5,9%, superiore alla stessa media europea del 5,4%. Senza impedire comunque che le persone in povertà assoluta crescessero nel frattempo da 4,7 a 5,6 milioni. Ma con quest'anno, per l'arrivo di inflazione, caro energia e recessione, la forbice ha ripreso ad allargarsi con un rallentamento più marcato della crescita rispetto al Centro-Nord. Tanto che nel 2023 si prevede addirittura una caduta di 0,4 punti di Pil rispetto ad un sia pur leggero aumento dello 0,8% del Centro-Nord, mentre nel 2024 la crescita del Sud sarà quasi la metà di quella del resto d'Italia, lo 0,9% contro l'1,7%.
Shock energetico e inflazione colpiscono di più il Sud
Parlando degli “effetti territorialmente asimmetrici dello Shock energetico intervenuto in corso d'anno”, il direttore generale dello Svimez, Luca Bianchi, ha sottolineato che l'aumento dei prezzi di energia elettrica e gas produce un aumento in bolletta annua di 42,9 miliardi di euro per le imprese industriali italiane. Di cui il 20%, pari a circa 8,2 miliardi a carico delle industrie del Mezzogiorno (più energivore e meno efficienti di quelle del Centro-Nord), nonostante che esse rappresentino meno del 10% di valore aggiunto totale. Lo stesso avviene per le famiglie del Sud, molte tra le quali per effetto dell'incidenza dei rincari energetici e alimentari scivoleranno nella povertà assoluta, che crescerà quest'anno del 2,8% contro lo 0,3% del Nord e lo 0,4% del Centro.
Per il 2022 lo Svimez ipotizza una crescita media dei prezzi al consumo dell'8,5%, con una significativa differenza territoriale tra il +8,3% del Centro-Nord e il +9,9% del Mezzogiorno. Ciò si deve ad una combinazione di diversi fattori: al Sud prevale l'acquisto di beni di consumo primari, più colpiti dal rincaro delle materie prime, mentre al Centro-Nord prevale l'acquisto di servizi, che sono rincarati di meno. Inoltre nel Mezzogiorno sono più numerose le famiglie a basso reddito e consumi di prima necessità, ed anche il rientro dalla bolla inflazionistica a partire dal prossimo anno (se poi ci sarà), è atteso più lento di un punto percentuale l'anno.
Nel Mezzogiorno, cioè, sono più numerose le famiglie a basso reddito e per le quali più alta è l'incidenza dei costi “incomprimibili”, che arrivano a coprire circa il 70% dei consumi totali. Secondo l'Istat nel Meridione una famiglia su tre (circa il 36,3% al Sud e il 30,7% nelle Isole) si colloca nel primo quintile di spesa equivalente (spende mensilmente quanto o anche meno del 20%, cioè del quinto, più povero di tutte le famiglie italiane). Al Nord e al Centro queste famiglie sono invece rispettivamente il 13% e il 14% del totale. L'aumento del 9% dei beni alimentari e del 35% per la voce “abitazione, acqua, elettricità e combustibili”, produrrà per tutte le famiglie un aumento diretto delle spese incomprimibili sul totale dei consumi, ma per quelle del primo quintile saliranno dal 71% del 2021 a ben l'82,1% del 2022. E quelle del Sud ne saranno penalizzate più di tutte, specie quelle con più figli, essendo di gran lunga più numerose che nel resto d'Italia. Da tutto ciò lo Svimez stima un aumento per il 2022 di 287 mila nuove famiglie in povertà assoluta, pari a circa 764 mila persone, di cui 500 mila residenti nel Meridione.
Più precari, più a lungo e peggio pagati
Non meno sconfortanti sono le tendenze nel Mezzogiorno per quanto riguarda il lavoro e l'occupazione. In queste regioni il lavoro è più difficile da trovare, e quello che c'è è ancora più precario e peggio remunerato che altrove. Con la pandemia sono aumentati i lavoratori con contratti a termine, salendo dal 20,2% del 2020 al 23% del 2021, quasi un lavoratore su quattro a fronte di una media di un lavoratore su sette nel resto d'Italia. Per la maggior parte si tratta di donne (il 24,4% del totale) e di giovani tra i 15 e i 34 anni (ben il 41,9%). Per questi ultimi la differenza con il Centro-Nord è meno marcata, segno che la precarietà del lavoro per i giovani è una piaga comune in tutto il Paese. Tuttavia al Sud sono sono più lunghi i tempi di permanenza nella condizione di precarietà.
“Più precari e più a lungo”, ha chiosato Bianchi riassumendo in breve la condizione dei lavoratori nel Meridione, che sono anche quelli con i salari più bassi: oggi il 15,3% dei lavoratori dipendenti (il 18,3% nel caso delle donne) percepisce un salario basso, considerando tale una retribuzione oraria inferiore a due terzi di quella media, che si è già abbassata in termini reali per tutti i lavoratori italiani: “Le retribuzioni lorde unitarie in Italia – si legge infatti nel rapporto - sono cresciute in termini nominali tra il 2008 e il 2021 di poco meno di 9 punti percentuali rispetto agli oltre 27 della media dell’Ue. In termini reali, le retribuzioni si sono ridotte nel Mezzogiorno di 9,4 punti percentuali contro i 2,5 in media nel Centro-Nord. È quindi nel Mezzogiorno che la 'questione salariale' determina conseguenze più rilevanti sulle condizioni sociali e si riverbera con maggiore intensità sulle dinamiche macro-economiche”. In questa situazione, aggiungiamo noi, considerando l'impoverimento delle famiglie e la crescente precarizzazione e scarsa retribuzione del lavoro al Sud, la politica del governo neofascista Meloni, che arriva a tagliare il Reddito di cittadinanza per finanziare la flat tax e i condoni fiscali, rappresenta un insulto e una beffa.
PNRR e autonomia differenziata penalizzano il Sud
Non che i governi precedenti abbiano fatto qualcosa di meglio. Il rapporto mette infatti sotto la lente di ingrandimento il tanto osannato PNRR di Draghi, rilevando come ha sottolineato Bianchi, che “manca una strategia che guidi il nostro Paese verso l'individuazione di obiettivi e aree tecnologiche e produttive prioritarie” e tale da favorire la coesione economica, sociale e territoriale. In particolare, ha aggiunto il direttore dello Svimez, “il grado di utilizzo dei principali interventi di incentivazione del Mezzogiorno si attesta, infatti, su quote decisamente inferiori al 40%, vincolo obiettivo del PNRR”. Inoltre, “con l'imponente dote finanziaria riservata a 'Transizione 4.0' (18 miliardi, ndr), stride, in particolare, la dotazione di 750 milioni di euro dell’intervento 'Competitività e resilienza delle filiere produttive' destinato a finanziare almeno 40 contratti di sviluppo per il rafforzamento di diverse filiere
produttive”; cruciali queste per lo sviluppo del Sud, “i cui investimenti industriali hanno subito un crollo rispetto al 2007 di quasi il 30%”.
A fronte di tutto ciò il progetto di autonomia differenziata all'esame del governo rappresenterebbe un'ulteriore mazzata per le regioni del Sud. Il rapporto sottolinea infatti che con esso si formerebbero in realtà vere e proprie “Regioni speciali”, con il rischio di avviare un vero e proprio “processo separatista” e la formazione di nuove gabbie salariali: l'autonomia differenziata, ha concluso il direttore dello Svimez, “cristallizzerebbe i divari di cittadinanza tra territori, rinunciando all'obiettivo di un Paese più giusto”.
7 dicembre 2022