Indetto dai sindacati di base il 2 dicembre
Primo sciopero generale contro il governo neofascista Meloni
Manifestazioni e presidi in decine di città. Il giorno successivo grande manifestazione nazionale a Roma. Silenzio e censura da parte dell'informazione di regime.
Il 2 dicembre si è svolto il primo sciopero generale contro il nuovo governo, in carica da poco più di un mese. Non c'è voluto molto tempo perché quanto promesso e illustrato dalla Meloni al momento del suo insediamento, iniziasse a prendere forma nella pratica. Una linea nazionalista, sovranista, europeista, atlantista, razzista, meritocratica e filopadronale, col motto “non disturbare le imprese” e il dichiarato impegno a completare in ogni aspetto la “riforma” presidenzialista della P2 e del vecchio MSI.
Dopo il decreto contro i rave party
facilmente utilizzabile contro manifestazioni e occupazioni, e la vergognosa guerra contro le Ong che traggono in salvo i migranti in mare, anche il varo della Legge di bilancio conferma questa linea. Tutte le misure contenute nella finanziaria, per quanto necessariamente ridimensionate rispetto agli annunci demagogici fatti in campagna elettorale, sono tutte rivolte a soddisfare la base elettorale del governo: il “ceto medio” costituito da imprese, professionisti, autonomi e partite iva, evasori fiscali. Penalizzando invece i lavoratori dipendenti e i pensionati, i disoccupati e gli strati più poveri, in particolare del Sud.
I primi a mobilitarsi contro il governo sono stati gli studenti, in particolare in difesa dei diritti civili e femminili acquisiti che la politica della Meloni, nonostante sia una donna, sta mettendo in discussione. Stavolta a manifestare sono stati in primo luogo i lavoratori, con lo sciopero generale indetto dal sindacalismo di base, tra cui Usb, Cub, SiCobas, Sgb, Unicobas, Usi-Cit e altre sigle. Una piattaforma unitaria che aveva al centro l'opposizione al governo e alla sua politica economica e sociale.
A essere contestati l'attacco a lavoratori e disoccupati, la legge finanziaria che prosegue e peggiora le politiche neoliberiste a favore dei ricchi dei precedenti governi, che smantella il reddito di cittadinanza senza adottare nuove misure contro la povertà, allarga fino a 85.000 € la soglia della flat tax per le partite iva in opposizione al criterio progressivo della tassazione previsto dalla Costituzione, non prevede imposte straordinarie alle compagnie energetiche e alle industrie farmaceutiche che speculano sulla guerra e sulla pandemia, ne tanto meno imposte sui grandi patrimoni.
Lo sciopero è stato indetto per il rinnovo dei contratti con significativi aumenti dei salari e adeguamento automatico al costo della vita; l'introduzione del salario minimo di 12 euro/ora; la cancellazione degli aumenti delle tariffe dei servizi ed energia, un calmiere dei prezzi dei beni primari e dei combustibili; la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; impedire l'Autonomia Differenziata che disgrega il paese, e in particolare scuola e sanità; dire NO al sistema di appalti/subappalti rafforzati dal DDL Concorrenza; respingere l'attacco reazionario del governo Meloni ai diritti civili e democratici, la criminalizzazione dei migranti e l'ulteriore inasprimento della repressione del conflitto sociale e sindacale, con l'introduzione del reato di occupazione abusiva e raduni illegali. Per chiedere investimenti economici rilevanti per la scuola e sanità pubbliche, per i trasporti, per il salario garantito a disoccupati e sottoccupati; cancellare l’alternanza scuola-lavoro e gli stage gestiti dai centri di formazione professionale;una nuova politica energetica che utilizzi pienamente le fonti rinnovabili.
Si tratta di una piattaforma condivisibile, che trova il pieno sostegno dei marxisti-leninisti. Accanto a queste rivendicazioni i sindacati di base hanno voluto dire chiaramente NO alla guerra e all'economia di guerra, all'aumento delle spese militari e all'invio di armi in Ucraina. Siamo pienamente d'accordo nel rifiutare la politica che vuole scaricare i costi e il peso della guerra sulle spalle dei lavoratori e delle masse popolari, ma non possiamo fare a meno di rilevare che una generica opposizione alla guerra, senza essere accompagnata dalla richiesta del ritiro immediato delle truppe d'invasione russe dal suolo ucraino, e quindi senza distinguere l'aggredito dall'aggressore, obiettivamente fa il gioco di Putin e di quanti vorrebbero imporre al governo ucraino di sedersi al tavolo della pace senza porre alcuna condizione. Finisce per confondere i lavoratori evitando che si schierino conseguentemente nel fronte antimperialista, e non giova certo alla causa della pace.
Le manifestazioni si sono svolte in una cinquantina di città grandi e piccole, spesso ci sono stati dei veri e propri cortei, in alcuni casi sono stati dei presidi e dei blocchi stradali, come ad esempio nella zona di Piacenza o a Passo Corese (Rieti), dove si trovano importanti centri di distribuzione delle merci (Amazon, Sda, FedEx ecc.), organizzati dai sindacati più rappresentativi della logistica, come SiCobas e USB. In questo settore l'adesione allo sciopero è stata molto alta, come lo è stata nella scuola e nei trasporti, dove le condizioni dei lavoratori e il servizio agli utenti sono in netto peggioramento da decenni a causa dei tagli attuati dai governi, di qualsiasi colore, che si sono avvicendati alla guida del Paese.
Tra i cortei più numerosi e riusciti quello di Milano, dove ha partecipato anche il PMLI (si veda l'articolo a parte), partito dalla sede di Assolombarda e terminato in piazza della Scala. Le linee M1, M2 e M5 della metro chiuse, oltre alle decine di treni regionali di Trenord cancellati fin dalla mattina. Tensione a Torino dove la polizia è intervenuta con cariche per allontanare alcuni manifestanti. A Roma numerosa la partecipazione allo sciopero. Anche nelle scuole la protesta ha ottenuto un’alta partecipazione e diversi istituti sono rimasti chiusi.
Nella Capitale non è stato consentito, come preannunciato, il presidio davanti a Montecitorio, a causa di un diniego da parte della Questura di Roma con un parere che da ora in poi impedirà qualsiasi manifestazione davanti al Parlamento (le motivazioni, ribadite dal Tar del Lazio, rimandano alla “tensione politica derivante dalla guerra russo-ucraina e dai connessi problemi economico-sociali”). Con motivazioni pretestuose simili è stato vietato il corteo a Sassari. Un giro di vite antidemocratico e antioperaio del governo Meloni che fa il paio con l'atteggiamento dei media di regime, ai limiti della censura, che hanno praticamente ignorato sia lo sciopero del 2 dicembre, che la manifestazione di Roma del giorno successivo, salvo ricordare i disagi causati dalla soppressione delle corse nei trasporti e delle lezioni nella scuola.
Manifestazioni combattive a Bologna e Genova mentre a Firenze tanti lavoratori, oltre tremila, hanno sfilato in corteo partendo da Palazzo Vecchio, con soste e interventi sotto l’Agenzia delle Entrate e Regione Toscana per concludersi con una serie di interventi sotto la sede del Comune. A Napoli il corteo e la manifestazione si sono conclusi con l'occupazione degli uffici del Lavoro. Manifestazioni anche a Trieste, Pisa, Pescara, Catania, dov'era presente anche il PMLI (si veda l'articolo a parte) e Palermo, ma anche in centri più piccoli come Viterbo, Frosinone e Grosseto.
Il 3 dicembre si è replicato con un'altra manifestazione, stavolta nazionale, a Roma. Nonostante una pioggia battente sono giunti nella capitale in più di 10mila. Anche questa organizzata dai sindacati di base che hanno portato in piazza lavoratrici e lavoratori, ma anche precari, cassintegrati, disoccupati. Un corteo arricchito da un grandissimo spezzone di studenti e da un largo schieramento di collettivi, comitati e organizzazioni politiche e sociali, tra i quali spiccavano i comitati contro il rigassificatore di Piombino. Casa, lavoro, stop al carovita e “giù le armi, su i salari”, sono state le principali richieste dei manifestanti. Una piattaforma rivendicativa che non è solo sindacale ma è anche sociale, fatta propria anche dagli studenti, dai migranti, dagli ambientalisti.
I lavoratori organizzati nei sindacati di base, a cui si sono uniti importanti settori popolari, hanno dimostrato che la lotta di classe è viva e vegeta. Vedremo se altre forze, in primis i sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil, si smuoveranno dal torpore e avvieranno al più presto la mobilitazione contro il governo neofascista della Meloni, oppure si limiteranno alle sole parole com'è accaduto finora.
7 dicembre 2022