Lo rileva il rapporto “Agromafie” della FLAI Cgil
Il caporale e le agromafie dai campi alle industrie alimentari
False coop e subappalti per sfruttare le lavoratrici e i lavoratori nei macelli

 
È stato presentato il 29 novembre scorso al Centro Frentani di Roma dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil il VI Rapporto “Agromafie e caporalato”.
Il Rapporto raccoglie i dati sullo sfruttamento del lavoro nelle campagne e nei macelli ad opera dei caporali, un fenomeno che sembra inarrestabile quantitativamente, il numero degli sfruttati e il volume d'affari crescono costantemente, e qualitativamente, nel senso che ormai il fenomeno ha assunto forme sempre più complesse anche da un punto di vista organizzativo, con l'ingresso delle mafie dei ''colletti bianchi'' anche in questo tipo di business, diventando per questo ancora più insopportabile e pericoloso oltreché di fatto meglio tollerato dalle istituzioni borghesi in camicia nera del regime neofascista al servizio della borghesia e quindi delle mafie.
 
Il supersfruttamento dilaga
Per i curatori del Rapporto, infatti, Carlo De Gregorio e Annalisa Giordano: “Appare chiaro che lo sfruttamento lavorativo e il caporalato viene perpetrato attraverso nuovi e più complessi meccanismi che vedono il coinvolgimento di attori qualificati (i cosiddetti 'colletti bianchi') ed in generale figure in grado di mascherare l’illegalità attraverso un 'gioco di scatole cinesi', che rende ancor più complicata la prevenzione, l’individuazione e la conseguente repressione del fenomeno” .
Nel 2021, sono risultati circa 230 mila gli occupati impiegati irregolarmente nel settore primario, ossia più di un quarto del totale degli occupati del settore, in larga parte “concentrata nel lavoro dipendente, che include una fetta consistente degli stranieri non residenti impiegati in agricoltura” . Dalle rilevazioni sono risultate circa 55mila le donne che hanno lavorano in condizioni di irregolarità, anche in questo settore la paga delle donne è inferiore a quella degli uomini.
Il lavoro agricolo subordinato non regolare è radicato soprattutto nel Meridione con tassi di irregolarità che superano il 40%, ma è in crescita in molte regioni del Centro-Nord, dove i tassi di irregolarità degli occupati sono comunque compresi tra il 20 e il 30%.
Rispetto ad altri settori produttivi si nota che il peso dei lavoratori migranti quasi raddoppia rispetto alla manodopera italiana, sempre tra i migranti è più alto il numero di coloro che lavorano in regime di part-time.
Le rilevazioni sono state realizzate in particolare nelle aree provinciali di Pordenone, Treviso, Cosenza e Ragusa anche per esigenze di approfondimento conoscitivo provenienti dalle stesse sedi provinciali della Flai Cgil, dove il lavoro sindacale fa emergere rapporti di lavoro posti in essere da intermediari illegali, che producono forme sia manifeste che mascherate, di bestiale sfruttamento lavorativo.
Nel Rapporto si legge: “Lo studio empirico dei casi ci conferma, in tutte le realtà osservate, da Nord a Sud, lo squilibrio profondo tra il valore aggiunto prodotto dall’economia agricola territoriale e la compresenza di lavoro sfruttato e gravemente sfruttato. San Giorgio della Richivelda, per la produzione delle barbatelle, Valdobbiadene/Conegliano per la produzione del prosecco, Amantea per la produzione delle cipolle rosse di Tropea e Cassibile per la produzione di patate/fragole. Queste aree, oltre ad essere dei distretti agricoli di eccellenza, con un valore aggiunto rilevante, sono anche quelle dove si registrano condizioni di lavoro caratterizzate da sfruttamento, che spesso sfociano in rapporti servili e anche para-schiavistici”.
Le irregolarità spesso sono mascherate con un contratto di lavoro apparentemente conforme agli standard previsti, ma che nella sostanza non vengono per nulla rispettati, al di là di quanto prevede il contratto, infatti vengono imposti accordi verbali con condizioni ben differenti tanto rispetto al salario quanto alla durata del tempo di lavoro.
Purtroppo il lavoro nero è la regola e non l'eccezione: non vengono definiti gli orari di lavoro, i salari sono discrezionalmente determinati e da fame, mancano gli strumenti di sicurezza, le coperture assistenziali e previdenziali sono quasi inesistenti, con l’aggravante per i lavoratori stranieri che tutto questo va a incidere sullo status regolare di permanenza e dunque sui loro diritti correlati al lavoro e alla cittadinanza.
Questa condizione fa luce sui nuovi meccanismi di sfruttamento che si dipanano lungo tutta la filiera di produzione, coinvolgendo l’intera filiera agricola. Interi settori di produzione vengono “delegati” ai caporali, attraverso la creazione di cooperative spurie e l’apertura di finte partite Iva, strumenti attraverso i quali i caporali, a loro volta, “subappaltano” poi pezzi di produzione, a sua volta incentrata sullo sfruttamento e l’intermediazione illecita di manodopera.
 
Raccapriccianti testimonianze
Eloquenti alcune testimonianze e interviste raccolte nel Rapporto, come quella di A.C., pakistano di 31 anni, che vive da 6 anni a Pordenone: “Non ero solo, ma con altri amici. Arrivati a Pordenone, sapevamo già chi ci prendesse in carico alla Stazione dei Pullman. Ci portarono in una casa dove c’erano altre 5 persone. Il gruppo con cui sono arrivato era di 4. La casa ospitava anche un collaboratore del caporale. Da due anni lavoro in agricoltura, prima ero fabbro. Anche nel mio paese, e l’ho fatto anche a Pordenone, per pochi mesi. Ma la ditta poi è fallita e ho ripiegato in agricoltura. Non è un lavoro difficile, è solo pesante. […] Il lavoro in agricoltura non mi è mai mancato, grazie a un amico che aveva la partita Iva e acquisiva lavori da alcune aziende agricole. Era colui che ho incontrato all’arrivo a Pordenone, con cui ho lavorato almeno un anno. Poi sono andato con un altro sponsor, perché mi aveva promesso di pagarmi di più. Prima prendevo al massimo 600 euro, poi con questo ultimo sono arrivato a 700. Avendo famiglia in Pakistan 100 euro in più sono molte”.
Il nuovo caporale gli indica quindi una casa da affittare, che solo dopo i braccianti comprendono essere un subaffitto dello stesso uomo, il quale quando trova una squadra disposta a lavorare a meno di loro, 3 euro l’ora, li scarica e li obbliga ad uscire dalla casa con minacce e spintoni.
“Non abbiamo fatto denuncia, anche se degli amici italiani ce lo hanno consigliato. Ma abbiamo paura, non solo del caporale ma anche del suo datore di lavoro perché è conosciuto come una persona che non paga regolarmente gli operai e che minaccia di denunciare coloro che non hanno il permesso di soggiorno” aggiunge A.C.
Secondo M.A. che è originario del Mali, ha una moglie e un figlio, oggi vive ad Amantea, in provincia di Cosenza, in base al lavoro da svolgere spesso nelle serre o nel comparto della cipolla: “I caporali che ho conosciuto sono molti. C’è un cambio di caporali molto elevato. E non tutti della stessa nazionalità, anche perché quando il caporale chiama un lavoratore, gli chiede anche se ha amici da portare e può capitare che un amico marocchino ti chiama perché lui è stato chiamato dal caporale marocchino”... “Il caporale ti chiama in genere la sera prima e chiede se sei libero per il giorno dopo o per una settimana o un mese.Tu decidi se accettare la proposta, perché magari ne hai già un’altra, ma che non ti soddisfa. O meglio perché le giornate sono di meno di quelle che ti sta proponendo il nuovo caporale, e quindi di conseguenza l’ammontare del salario mensile”... “se accetti sai che la paga oscilla tra 25 e 35 euro, a seconda del caporale e secondo il tipo di lavoro da svolgere e dove viene svolto e che 5 euro sono per il trasporto. E quante ore bisogna lavorare. Per le cipolle, senza specificare l’orario giornaliero, sono 35 euro (meno i 5 euro), per caricare i prodotti per poche ore sono 25 euro (tolti i 5 euro)”.
Per lavorare bisogna consegnare i documenti, poiché il reclutatore deve darli al datore di lavoro quando questo registra all’Inps, oppure li tiene il caporale quando si lavora in nero a garanzia che il lavoratore non faccia danni, non rubi nulla e che al momento della paga non crei problemi. “Se il lavoro è di un giorno il documento viene restituito la sera, se continua per più giorni i documenti restano fino all’ultimo lavorativo. Il coordinamento del lavoro è affidato ad un caposquadra italiano a cui il caporale straniero deve sottostare: è il primo che controlla tutta l’attività nei campi o nei magazzini”. M.A. ha poi denunciato il caporale “Adesso (fine settembre 2021) da circa tre/quattro mesi non lavoro però sto pensando di riprendere gli studi (…) farmi riconoscere il diploma se possibile, oppure ricominciare dalla terza media” ha concluso nell'intervista.
 
Il caporalato è diventato un modello
Il Rapporto, con accuratezza e con terribili testimonianze, si sofferma poi sull’evoluzione dell’intermediazione illecita di manodopera, che può essere definita “nuovo caporalato” o “caporalato industriale”, che è diventata un modello d’organizzazione del lavoro dell’agroalimentare, specie nei macelli, che consente di avvalersi di manodopera a costi bassissimi, con contratti truffaldini, orari e ritmi di lavoro pesantissimi, che generano anche imponenti evasioni di Iva, Irap, contributi Inps a danno dello Stato.
Addirittura quasi due quinti delle ore effettivamente lavorate annualmente dai dipendenti agricoli sono irregolari, oltre 300 milioni di ore sul totale di 820 milioni, secondo il rapporto Flai Cgil.
Un fenomeno quello del lavoro irregolare nell'agroalimentare, “che si mostra in ulteriore crescita rispetto alle 180 mila unità indicate nel rapporto precedente in base a una stima prudenziale” ha affermato durante la conferenza stampa Jean Renè Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzoto.
Intere filiere e cosiddette ''eccellenze agricole'' sono dominate da questo sistema irregolare, come accertato da alcune inchieste della magistratura, solo tra il 2017 e il 2021 su un totale di 438 casi di procedimenti e di inchieste avviate per motivi di sfruttamento lavorativo, ben 212 (oltre il 48%) hanno riguardato il solo settore primario.
 
La legge di Bilancio e la reintroduzione dei voucher
A peggiorare le cose, ha detto nel suo intervento Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil, vi è la nuova legge di Bilancio con l’estensione dei “buoni lavoro” che potrebbero alimentare il sistema. “La liberalizzazione dei voucher è la peggiore risposta che il governo potesse dare. Dobbiamo impedire questa controriforma che destruttura il mondo del lavoro in agricoltura” .
“I cosiddetti voucher sono già previsti per i lavoratori agricoli e sono anche ben normati da anni, con opportunità e giusti vincoli concordati con altri governi per garantire sia le imprese che i lavoratori mentre oggi si vogliono estendere anche a chi è iscritto agli elenchi anagrafici. E questo significa una destrutturazione del mondo del lavoro in agricoltura. E siccome i redditi agricoli sono molto bassi vuol dire anche che dal primo gennaio sarà permesso che il contratto non sia più applicato” , una scelta dunque “di una gravità enorme considerato anche che la liberalizzazione dei voucher avviene in una delle fasi più problematiche e incerte dal secondo dopoguerra” ha concluso Mininni.
Urge riconoscere ai migranti libero accesso e pari diritti, lottare per stroncare ogni forma di caporalato, di precariato e di lavoro nero, nell'ambito della lotta più generale per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutte le lavoratrici e i lavoratori, affossando la finanziaria lacrime e sangue del governo neofascista Meloni, che va buttato giù da sinistra e dalla piazza, da un ampio e combattivo fronte unito antifascista, prima che possa fare nuovi e terrificanti danni.
Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, le terribili condizioni di vita, lavoro, studio e salute dei braccianti, in particolare delle donne, come tutte le infinite “delizie” prodotte dal capitalismo, potranno essere liquidate e distrutte solo con il socialismo e la conquista del potere politico da parte del proletariato che è poi la madre di tutte le questioni.

7 dicembre 2022