Pensioni da fame: il 32,8% di pensionati sotto mille euro
Le donne percepiscono il 27% in meno degli uomini
FUTURO ANCORA PIÙ NERO A CAUSA DELLA FORNERO E DEI BASSI SALARI
In Italia non ci sono solo i salari tra i più bassi d'Europa, a questi si devono affiancare le pensioni da fame. Quasi 5,3 milioni di pensionati, un terzo dei 16,1 milioni complessivi, fanno i conti con redditi da pensione inferiori a mille euro al mese e la maggior parte sono donne. È quanto emerge dai dati aggiornati al 31 dicembre 2021 dell’Osservatorio sulle prestazioni pensionistiche e sui beneficiari del sistema pensionistico italiano forniti dall'Inps.
Le pensioni erogate nell’anno sono quasi 22,76 milioni, con un importo medio a testa all’anno di 19.443 euro. Queste sono di più degli aventi diritto perché in media ogni pensionato riceve 1,4 pensioni; in certi casi all'assegno standard si aggiunge quello per invalidità e/o quello dei superstiti, ossia quello del coniuge deceduto. A dispetto degli allarmismi lanciati dai governi per mantenere assegni previdenziali da fame, l’Inps certifica che: “Rispetto al 2020 -anno peggiore della pandemia- il numero di prestazioni è aumentato dello 0,2% e il corrispondente importo complessivo annuo è aumentato dell’1,7%”. Di questi 22,7 milioni di trattamenti, la fetta più grande è nettamente di pensioni di vecchiaia -12,1 milioni, in costante aumento negli ultimi anni - mentre continuano a calare quelle di invalidità, ormai stabilmente sotto il milione: 996 mila l’anno scorso.
Dobbiamo sempre considerare che si tratta di import lordi. Perciò chi riceve cifre mensili al di sotto dei mille euro è considerato a tutti gli effetti una persona povera. Stiamo parlando del 32,8% dei pensionati italiani, e di questi addirittura l'11,3% non arriva a 500 euro. Come si può facilmente intuire, al di là di una media annua vicino ai 20mila euro, ci sono differenze consistenti di distribuzione di reddito, oltre che a livello territoriale e tra uomini e donne. Questo 32,8% di pensionati sotto ai 1.000 euro riceve solo l’11,6% dell’importo complessivo mentre, sempre dalle tabelle dell'Inps, risulta che i pensionati che percepiscono meno di 2mila euro mensili, quindi non certo dei nababbi, sono ben il 72%, a cui va poco più del 47% delle risorse totali. Al contrario il 9,1% di pensionati che guadagnano più di 3mila euro incidono sulla spesa pensionistica collettiva per il 24,7%, mentre quelli sopra i 5mila, che sono solo il 2,1%, addirittura costano l'8,8% del totale (27,6 miliardi su 313).
Forti differenze esistono anche tra Nord e Sud del Paese. Nel Mezzogiorno il numero dei pensionati con redditi pensionistici sotto i 500 euro mensili rappresenta il 13,7%, nel Centro il 9,4% e nelle regioni settentrionali il 7%; in termini assoluti, il distacco si accentua ancor più se si osservano i pensionati con redditi pensionistici compresi tra 500 e 1.000 euro mensili che nel Mezzogiorno sono pari al 27,2%, quota che scende al 20,6% nelle regioni del Centro e ancora al 18,6% in quelle settentrionali. Di conseguenza, i pensionati residenti al Nord che percepiscono redditi più elevati, in particolare compresi tra 1.500 e 2.000 euro mensili, superano di circa 7 punti percentuali quelli del Mezzogiorno e di circa 3 punti quelli del Centro. Infine, i pensionati delle classi di reddito pensionistico più alte, oltre i 2.000 euro mensili, residenti nel Mezzogiorno sono il 22,5%, contro oltre il 30% in ognuna delle due altre aree geografiche.
Non sono da meno le differenze di genere, dove le donne percepiscono mediamente il 27% in meno degli uomini: 16.501 contro 22.598 euro. Nonostante le pensionate siano la maggioranza (51,75%) la quota a loro destinata non arriva neppure al 44%. Nelle 11 categorie totali in cui sono divise per reddito le pensioni, le donne sono la netta maggioranza nelle tre più basse, addirittura il doppio in quella compresa tra i 500 e i mille euro mensili (28,2% contro 14,4%). Dai 1500 euro in su i numeri s'invertono e gli uomini superano sempre le donne. Il dato, oltre a salari più bassi, è legato alla scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con il nostro Meridione che ha la percentuale di donne inoccupate più alta di tutta Europa. Tutto ciò porta a percepire assegni per lo più assistenziali come la pensione sociale o basati su pochi anni di contributi.
Una povertà destinata ad aggravarsi man mano che vanno in pensione le persone che hanno l’assegno calcolato prevalentemente o totalmente con il sistema contributivo. La normativa vigente sino all’inizio degli anni novanta garantiva un livello di prestazioni massimo prossimo all’80% dell’ultima retribuzione. I numerosi interventi degli ultimi decenni apportati al sistema previdenziale, finalizzate al contenimento della spesa, hanno stravolto tutto. Le controriforme Amato, Dini, Prodi e Fornero (per ricordare le principali) hanno alzato mediamente l'età pensionabile di 10 anni e tagliato drasticamente le già magre entrate ai pensionati.
21 dicembre 2022