Continuità e differenze tra il governo Draghi e il governo Meloni
Il camerata La Russa deve dimettersi per apologia di fascismo
Da quando il governo Meloni si è insediato, anzi già dalla campagna elettorale, i mass-media del regime neofascista capitalista non cessano di decantare le “nuove virtù democratiche” della premier e del suo partito, che oggi non solo non avrebbero più niente a che fare col fascismo, avendo ormai da tempo “storicizzato” quel passato, ma avrebbero assunto di fatto il ruolo di una moderna destra conservatrice europea, cosicché quanti si ostinano a giudicarli con i “vecchi occhiali” dell'antifascismo sono anacronistici, fuori dalla realtà e votati alla sconfitta.
In campo borghese sono rarissime le voci che si oppongono a questa narrazione dominante, alimentata anche da partiti dell'opposizione parlamentare, tra cui non solo il cosiddetto “Terzo polo” di Renzi e Calenda (più propriamente un partito di governo infiltrato all'opposizione), ma anche da ampi settori del PD e del M5S. Solo poche voci, come quella di Tomaso Montanari, hanno infatti come noi la lucidità e il coraggio di chiamare questo governo, la sua premier e FdI col loro vero nome, cioè neofascisti: fascisti del XXI secolo, in borghese invece che in stivali e camicia nera, se vogliamo, cioè senza gli orpelli, le insegne e i simboli mussoliniani esibiti alla luce del sole dalle loro costole di Forza nuova e CasaPound, ma pur sempre fascisti come formazione, ideologia e programma politico; come dimostra del resto l'aver conservato nel loro stemma la fiamma tricolore in memoria di Mussolini, da loro mai rinnegato.
Perfino nel campo della sinistra anticapitalista e antifascista emergono posizioni che cedono in qualche modo a questa narrazione, magari nella forma di considerare il governo Meloni solo un prolungamento del governo Draghi, che porta avanti una politica del tutto in continuità con esso e con i dettami della UE e della NATO, quasi fosse eterodiretto dai “poteri forti” interni e internazionali e senza aggiungere niente di suo. Una posizione che già il trasformista liberale e finto pacifista Conte aveva anticipato, accusando Meloni di perseguire sostanzialmente la stessa politica di Draghi avendone adottata l'agenda. Occorre perciò chiarire bene quali sono le continuità e le differenze tra i governi Draghi e Meloni, e perché noi affermiamo che il governo Meloni non è solamente un governo di destra, o anche di estrema destra, ma è un governo neofascista a tutto tondo.
La visione meloniana della società e della “nazione”
È vero che per diversi aspetti la politica di questo governo è in continuità con quella di Draghi, e ciò vale soprattutto per la politica economica e la politica estera. Soprattutto ma non del tutto, perché se è vero che per i due terzi la manovra di Bilancio era già stata dettata dal governo precedente e dalla UE, e vincolata a contenere le bollette energetiche per solo tre mesi, il restante terzo il governo Meloni lo ha usato e distribuito per imprimere una ben riconoscibile svolta classista e di destra al Paese (anzi alla “nazione”, come ama chiamarlo usando una tipica espressione fascista), secondo la sua visione delle priorità e degli interessi da perseguire. È questo che lei intende quando sottolinea con orgoglio le differenze tra il governo Draghi, che era un governo “tecnico” e di unità nazionale, e il suo governo, che è invece un “governo politico”. Cioè dotato appunto di una sua visione ideologica di classe della società.
Rientrano infatti in questa sua visione le misure che aumentano le disuguaglianze e la precarietà del lavoro, col taglio del Reddito di cittadinanza, la reintroduzione dei voucher, l'incremento della flat tax per autonomi e professionisti, la dozzina di condoni e agevolazioni fiscali per evasori, speculatori finanziari e società calcistiche, l'aumento del tetto all'uso del contante a 5.000 euro, il taglio dell'indicizzazione alle pensioni medio-basse per finanziare un misero aumento delle pensioni minime in chiave elettorale, il pensionamento anticipato per le donne legato al numero dei figli, i tagli di fatto anziché gli aiuti promessi alla sanità e alla scuola, il via libera al faraonico ponte di Messina, e così via. Come ci rientrano del resto il decreto incostituzionale e fascista sui rave party
(firmato senza fiatare da Mattarella), in realtà diretto a stroncare con pene esorbitanti qualsiasi manifestazione, sciopero, assemblea o occupazione, la bastonatura degli studenti colpevoli di voler impedire un convegno fascista dentro la Sapienza proprio in coincidenza con l'insediamento del nuovo governo, e l'accanita persecuzione contro le navi delle Ong che salvano i migranti nel Mediterraneo. A cui si è aggiunta ultimamente l'arroganza tipicamente fascista con cui il governo ha imposto a colpi di voto di fiducia la legge di Bilancio, e addirittura con la “tagliola” agli interventi lo stesso decreto rave
, trattando il parlamento alla stregua del bivacco di manipoli di mussoliniana memoria.
Del resto la stessa presidente del Consiglio è stata estremamente chiara su questi due punti, assolutamente non in contraddizione tra loro: piena continuità con Draghi e rassicurazioni all'Europa e ai mercati, ma anche una ben riconoscibile politica di destra da parte del suo governo. Lo ha ribadito nella conferenza stampa di fine anno, quando alla domanda se non sentisse “il peso” di governare dopo un personaggio come Draghi, ha così risposto: “Mario Draghi è la persona di grande autorevolezza a livello nazionale e internazionale. E ovviamente mi rendo conto dell'eredità e quindi anche dei paragoni che si possono fare, lo trovo affascinante e penso che questo debba spingere me e tutto il governo a dimostrare che si può fare bene. Non voglio dire meglio figuriamoci (sic), non ve lo direi mai, però che si può fare bene [...] Mi pare che, rispetto a queste dieci piaghe d'Egitto che sarebbero arrivate nel cambio, tra il vecchio e nuovo governo, in fin dei conti, ancora stiamo difendendo questa Nazione nel migliore dei modi”. E questo la dice lunga sulla presunta “coerenza” che le viene attribuita nell'essere stata l'“unica opposizione” al governo Draghi, e grazie alla quale ha vinto le elezioni.
Apologia del MSI e rilancio del presidenzialismo
Ma dopo questa sviolinata a Draghi, alla domanda su “cosa c'è di destra in ciò che il suo governo ha fatto finora”, la premier ha anche rivendicato con orgoglio “tutto quello che abbiamo fatto finora”: “Tutto quello che abbiamo fatto era di destra – ha detto infatti - altrimenti non l’avremmo fatto. Io cerco di fare cose compatibili con la mia visione e se non avessi condiviso qualcosa che il Governo ha fatto mi sarei rifiutata”. Con pari orgoglio Meloni ha anche rivendicato come pienamente legittime e democratiche le radici fasciste sue e di FdI con una disinvolta apologia del MSI, dopo che pochi giorni prima il presidente del Senato La Russa aveva esaltato pubblicamente l'anniversario della fondazione di quel partito da parte del fucilatore di partigiani Almirante e dei reduci repubblichini nel 1946. Tra l'altro la seconda carica dello Stato aveva ricevuto le critiche della comunità ebraica, presso la quale la stessa Meloni era da poco andata ad esibire le sue finte lacrime per le leggi razziali del 1938. Per questa infame apologia di fascismo il camerata La Russa deve dimettersi.
Invece, non soltanto la premier lo ha assolto d'ufficio fingendo stupore per le critiche e le proteste, ma si è lanciata a sua volta in una sperticata apologia del MSI dicendosi convinta “che il Movimento Sociale Italiano sia un partito che abbia avuto un ruolo nella storia repubblicana, che abbia avuto il ruolo molto importante di traghettare verso la democrazia milioni di Italiani che erano usciti sconfitti dalla guerra”. E falsificando smaccatamente la storia ha continuato imperterrita a sostenere che il MSI “è stato un partito pienamente presente nelle dinamiche democratiche di questa nazione”, “un partito della Destra Democratica, dell'Italia Democratica e repubblicana”. Fino a proclamare senza ombra di imbarazzo che “è stato un partito che a mio avviso ha avuto anche un ruolo molto importante nel combattere la violenza politica, il terrorismo”. Cancellando così d'un colpo il ruolo del MSI, con le sue costole di Ordine Nuovo di Avanguardia Nazionale, di protagonista della “strategia della tensione” golpista, dalla strage di Milano a quelle di Peteano, di Brescia, dell'Italicus e della stazione di Bologna, nonché delle trame piduiste di Gelli per instaurare in Italia la repubblica presidenziale neofascista propugnata anche da Almirante.
E non a caso Meloni è tornata a ribadire, come già aveva annunciato nel discorso di insediamento, che la repubblica presidenziale “è una delle mie priorità, che mi do come obiettivo quello di riformare le istituzioni di questa nazione in questa legislatura. È un obiettivo al quale io tengo particolarmente”. Anzi, ha annunciato che la ministra delle Riforme Casellati ha già avviato a questo scopo le consultazioni con i partiti della maggioranza e a gennaio lo farà anche con quelli dell'opposizione, per arrivare al presidenzialismo possibilmente in maniera “condivisa”, per esempio con una nuova Bicamerale. Ma se ciò dovesse portare a tattiche dilatorie la maggioranza avrà i numeri per arrivarci da sola, ha minacciato pensando evidentemente ai voti già offerti da Renzi e Calenda.
Soppiantare l'egemonia della “cultura della sinistra”
Dunque non solo Meloni non rinnega il fascismo mussoliniano, né il Movimento sociale italiano che ne è il prolungamento nella repubblica parlamentare, ma il suo partito Fratelli d'Italia ha compiuto quella seconda marcia su Roma elettorale iniziata nel 1946 da Almirante portando al potere gli eredi di Mussolini, per cui si può ben dire che il suo è un governo neofascista.
Da Mussolini e dal ventennio fascista ha ereditato infatti la sua ideologia fondata sul nazionalismo, l'“identità” e l'“italianità”, tanto da aver rinominato i ministeri in chiave autarchica; sulla triade mussoliniana “Dio, patria e famiglia”, sul maschilismo e la concezione antifemminile della donna, incoraggiata a chiudersi nella “sacra” famiglia e a sfornare figli per far crescere la natalità e “la nazione”; sul razzismo, la xenofobia e il motto “prima gli italiani”, e sulla concezione corporativa dello “Stato leggero”, che non deve disturbare e tassare “chi vuole fare”, né si deve impicciare di assistere e difendere i poveri e i lavoratori. Per questi ultimi basta il “capitalismo compassionevole”, come teorizza il suo fedele ministro della Cultura Sangiuliano, che ha ricevuto dalla premier il preciso mandato a sostituire l'egemonia della “cultura di sinistra” con quella della destra: “È una rivoluzione politica che nasce da una rivoluzione culturale”, ha dichiarato infatti costui al quotidiano neofascita Libero
del 7 novembre. “Gli italiani si sono ribellati democraticamente, con il voto, a decenni di cappa politica della sinistra”. Intendendo in realtà con “cultura di sinistra” la Costituzione antifascista, da affossare definitivamente e sostituire con una Costituzione presidenzialista e neofascista.
Urge un fronte unito contro il governo Meloni
È questa la visione della “nazione” di cui Meloni si vanta: una visione neofascista a tutto tondo già dettagliatamente teorizzata e argomentata nelle “Tesi di Trieste” per il secondo congresso di FdI del 2017, e trasfusa integralmente nel programma di governo che ha proclamato in parlamento. Ciò dimostra fra l'altro quanto siano sciocchi o in malafede quanti accreditano il cosiddetto “cambiamento” in senso democratico e istituzionale della premier neofascista, compreso il rimbambito ex presidente della Corte costituzionale Sabino Cassese, che su La Stampa
del 31 dicembre si dice entusiasta della proposta di presidenzialismo della Meloni per “assicurare stabilità ai governi”, definendola “scientificamente assennata, diplomaticamente giudiziosa e politicamente avveduta”.
È per questo che il PMLI, con il Documento del suo Comitato centrale dal titolo “Uniamoci contro il governo neofascista Meloni per il socialismo e il potere politico del proletariato, emesso nel giorno stesso della sua presentazione alle Camere, ha lanciato un appello a costruire contro questo governo “un fronte unito più ampio possibile composto dalle forze anticapitaliste, a cominciare da quelle con la bandiera rossa, dalle forze riformiste e dai partiti parlamentari di opposizione. Senza settarismi, pregiudizi ed esclusioni. Deve contare solo l'opposizione a questo governo”. Il fronte unito di tutte le forze antifasciste, democratiche e progressiste è più che mai urgente vista la velocità e la ferocia con cui questo governo neofascista ha cominciato ad attuare il suo programma nazionalista, presidenzialista, classista, filopadronale, antisindacale, familista, meritocratico, razzista, xenofobo e poliziesco.
4 gennaio 2023