La paga delle lavoratrici è dell'11,2% minore di quella dei lavoratori
Secondo l'ultimo rapporto dell'Osservatorio Jobpricing “Gender Gap Report 2022”,
cioè lo studio annuale sulle differenze di genere a livello retributivo nel mercato del lavoro (privato) italiano, la paga delle lavoratrici in Italia è inferiore dell'11,2% rispetto a quella dei lavoratori, cioè in media le donne guadagnano 3.500 euro annue in meno.
Il dato degli stipendi, sottolinea il Rapporto, è il più evidente ma è solo uno degli ambiti in cui si manifesta il cosiddetto gender ga
p, cioè la differenza di genere, le discriminazioni alle quali sono soggette le masse femminili in tutti i settori, da quello sociale, dei diritti, familiare e appunto lavorativo. In pratica dall'analisi dell'Osservatorio emerge che in Italia è come se le lavoratrici lavorassero per il primo mese e mezzo dell'anno in corso gratis, cioè è come se iniziassero a esser pagate l'11 febbraio, lavorando regolarmente dal 1° gennaio.
Andando nel particolare il Rapporto evidenza che nei settori come servizi finanziari le lavoratrici percepiscono una paga inferiore rispetto ai loro colleghi del 17,20%, nell'agricoltura e nei servizi in genere del 13,60%, nell'industria manifatturiera dell'8,40%, nell'industria di processo del 3,50% e nel commercio del 3,20%. Questi sono solo gli esempi più eclatanti.
Nella classifica del 2022 del gender gap
l’Italia si colloca al 63° posto su 146 Paesi monitorati, registrando un miglioramento di solo 0,001 punti (il punteggio complessivo raggiunge il valore 0,720 da 0,721 dell’anno precedente). L’Italia continua a occupare la stessa posizione del 2021, dopo Uganda (61esima) e Zambia (62esima). A livello di Europa l’Italia è 25ª su 35 Paesi.
Il confronto con alcuni benchmark
- in economia è una metodologia basata sul confronto sistematico che permette alle aziende che lo applicano di compararsi con le migliori e soprattutto di apprendere da queste per migliorare - europei mette in evidenza il ritardo dell’Italia nella riduzione del gap di genere
: infatti, Spagna e Francia risultano rispettivamente 17ª e 1ª, mentre la Germania occupa addirittura la decima posizione a livello mondiale.
Anche per il governo neofascista Meloni questi dati suonano come un campanello d'allarme, non certo perché ha a cuore le discriminazioni retributive delle lavoratrici, ma per il ruolo di fanalino di coda della “nazione” rispetto ai partner europei. Lo dimostra il suo piano per “correre a riparo”. Nel Pnrr ha istituito il “bollino di parità”, le imprese guadagneranno uno sconto contributivo se certificheranno l'equo trattamento delle dipendenti. L'incentivo vale l'1% di esonero contributivo nel limite di 50mila euro a datore di lavoro (privato, azienda o professionista). Lo stanziamento complessivo, stabilizzato anche per gli anni a venire, è di 50 milioni. Cifre risibili che non sposteranno minimamente il problema della discriminazione degli stipendi fra lavoratrici e lavoratori.
In più un Dpcm ha fissato in primavera le sei aree di analisi in chiave familista per aggiornare la “pagella”: cultura e strategia; governance
; processi hr (“risorse umane”); opportunità di crescita e inclusione; equità remunerativa; tutela della genitorialità e conciliazione vita lavoro.
Il Gender gap,
ovvero la discriminazione delle donne lavorativa e sociale, non potrà essere definitivamente “sanata” se non sarà fatta tabula rasa del sistema capitalista, oggi si traduce nell'urgenza di far fronte unito per opporsi al governo neofascista Meloni e al suo programma nazionalista, presidenzialista, classista, filopadronale, antisindacale, familista, meritocratico, razzista, xenofobo e poliziesco.
11 gennaio 2023