Carcere di Ivrea
45 indagati per “torture” sui detenuti
Il 25 giugno 2015 Matteo Salvini a piazza Colonna, a Roma, al termine di una manifestazione indetta dal Sap (sindacato autonomo di polizia) per opporsi all'introduzione nel codice penale italiano del reato di tortura (che poi sarebbe stato comunque introdotto nel 2017 con la creazione dell'articolo 617 bis del codice penale) aveva affermato, con la brutalità che lo ha sempre contraddistinto: “le forze di polizia devono avere libertà assoluta di azione, se devono prendere per il collo un delinquente e questo si sbuccia il ginocchio o si rompe una gamba sono cazzi suoi, ci pensava prima di fare il delinquente
”.
Peccato, però, che quasi sempre tali sbucciature o rotture non siano dovute al caso fortuito, ma si tratti di eventi deliberatamente provocati dall'attività criminale posta in essere da appartenenti a quei corpi di polizia che, ora si comprende meglio il perché, combatterono a spada tratta fino all'ultimo contro l'introduzione del reato di tortura nell'ordinamento giuridico italiano.
Come era già accaduto in passato in altri penitenziari italiani (Ferrara, San Gimignano, Torino, Palermo, Milano, Melfi, Santa Maria Capua Vetere, Pavia e Monza), la Procura della Repubblica di Ivrea ha aperto un'indagine che ipotizza il reati di tortura e falso a carico di 45 appartenenti al corpo della polizia penitenziaria ai danni di una quindicina di detenuti, alcuni dei quali, l'uno indipendentemente dall'altro, sono riusciti a far pervenire le loro denunce all'autorità giudiziaria. Scrive il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ivrea nell'atto di irrogazione della misura cautelare di interdizione di un anno dal servizio per otto appartenenti al corpo di polizia penitenziaria: “non vi è motivo per dubitare della credibilità dei denuncianti. Siamo di fronte a plurimi atti gravi di violenza, minaccia e crudeltà
”. Un piano “attuato
– continua il magistrato - mediante un costante modus operandi (schiaffi, pugni, manganellate, scherno, omissione di assistenza, non potendosi definire diversamente la ferocia con cui sono stati praticati, la gratuità della violenza non solo fisica ma anche psicologica, la totale abnormità di un simile trattamento certamente idoneo a creare un livello di sofferenza superiore
”. Il giudice per le indagini preliminari precisa che tale modo di agire degli appartenenti a tale corpo di polizia nel carcere di Ivrea “è stato peraltro denunciato da altri detenuti per fatti più risalenti nel tempo e appare delineare un vero e proprio sistema
”.
Riguardo a otto dei quarantacinque operatori di polizia, la loro posizione processuale è estremamente grave, e il Giudice per le indagini preliminari ritiene che “non si ravvisano elementi che consentano di prevedere con un minimo di ragionevolezza che si astengano spontaneamente dal perseverare dalle condotte in questione
” e che vi è “l'impossibilità di fare affidamento alla capacità di autocontrollo degli indagati
”, per cui il magistrato ha disposto nei loro confronti la misura cautelare di interdizione di un anno dal servizio. Essi sono Alessandro Bortone, Paride Petruccetti, Vincenzo D'Agostino, Giovanni Atzori, Rocco De Maio, Lorenzo La Malfa, Felice Cambria e Riccardo Benedetto. Per essi il Giudice per le indagini preliminari ha chiarito che “misure meno afflittive che non interrompano l'attività lavorativa appaiono inadeguate a fronteggiare il pericolo di reiterazione attesa l'estrema gravità dei fatti, l'indifferenza ai richiami del comandante e alle denunce dei detenuti più coraggiosi
”.
Dai verbali delle dichiarazioni dei detenuti che hanno denunciato si apprendono particolari raccapriccianti: “entrarono 12 agenti
– afferma il detenuto Vincenzo Calcagnile - dieci di loro indossavano i guanti neri, uno per uno. Sono rimasto completamente nudo. Mi colpivano anche con calci e pugni e con un manganello ai testicoli dove ero stato operato in passato. Quando ho chiesto di essere portato in infermeria un assistente con accento romano mi ha detto: 'Se parli col comandante o con il medico ti ammazzo'
".
In un altro verbale un altro carcerato spiega che un detenuto marocchino “riceveva un colpo fortissimo alla spalla, lo colpivano al ginocchio e ancora calci pugni e manganellate a cui lui non opponeva resistenza. Si metteva n posizione fetale per proteggersi e in quel momento l'assistente capo lo strangolava alla gola
”. Altrove un'altra persona informata sui fatti spiega cosa accadde a un altro detenuto: “lo hanno aggredito in quattro poi lo hanno fatto sedere su una sedia. Lui piangeva e sveniva. Quando sono entrato in cella ho visto che faceva braccio di ferro con un agente che vantava di avere rapporti con il clan dei Casalesi e per questo era temuto. Ho sentito crac
”.
I magistrati inquirenti hanno riscontrato un pesante clima di omertà da parte del personale sanitario ed educativo operante all'interno del carcere, e sospettano che queste persone, al pari dei carcerati, siano state terrorizzate da ciò che hanno visto fare ai detenuti, e che non collabori adeguatamente con gli inquirenti per paura di rappresaglie da parte degli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria.
È chiaro che, dietro alla abominevole retorica di Salvini e dei suoi accoliti in divisa che ne puntellano il potere si nasconde una semplice verità, ossia che chi si è opposto in passato, e ancora si oppone, all'esistenza del reato di tortura non lo fa per scongiurare il rischio di pretestuose accuse da parte di detenuti che, in modo malaccorto, inciampano su una saponetta o scivolano su una buccia di banana, ma lo fa solo ed esclusivamente perché è un torturatore egli stesso o quantomeno un colluso con torturatori e intende seviziare impunemente in prima persona altri esseri umani o quantomeno rendersi complice di tale abominevole pratica.
18 gennaio 2023