Latitante per 30 anni
L'arresto del boss Messina Denaro: frutto avvelenato della trattativa Stato-mafia?
Cosa Nostra non è ancora stata sconfitta
Il 16 gennaio scorso è stato arrestato dai Carabinieri del Ros e del GIS a Palermo, il superboss mafioso Matteo Messina Denaro, dopo 30 anni di latitanza.
Considerato uno dei massimi esponenti di Cosa Nostra, originario di Castelvetrano (Trapani), classe 1962, soprannominato "U siccu" e "Diabolik", in gioventù divenne il capo del mandamento di Trapani, espandendo presto la sua influenza a tutta la Sicilia e oltre, diventando presto il preferito di Totò Riina. Il boss si trovava presso la clinica privata La Maddalena di Palermo nel quartiere San Lorenzo, sotto il falso nome di Andrea Bonafede, per effettuare una seduta di chemioterapia. Al momento dell'arresto non ha opposto resistenza e ha confessato la sua identità. In carcere è finito anche l'autista, Giovanni Luppino, con l'accusa di favoreggiamento.
Subito dopo l'arresto, il boss è stato trasferito con un volo militare all'aeroporto di Pescara, quindi nella casa circondariale dell'Aquila, sottoposto al regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis.
Dopo una lunga e spietata "carriera" che lo vide in prima persona partecipare ad efferati delitti, come la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo (figlio del pentito Santino Di Matteo dal quale i mafiosi volevano il ritiro delle accuse del loro coinvolgimento nella strage di Capaci) brutalmente strangolato e sciolto nell'acido dopo 778 giorni di prigionia, diventa latitante nell'estate del 1993, appurata la sua partecipazione anche nelle stragi del 1992-'93 di Firenze, Roma e Milano che causarono 106 morti e diversi feriti e che Denaro avrebbe voluto far proseguire dopo l'arresto di Riina, insieme ai boss Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.
Una latitanza lunga 30 anni
Da latitante viene progressivamente accusato e condannato per una serie infinita di reati: associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo e altri reati minori, che lo vedono condannato all'ergastolo in contumacia anche grazie una serie di dichiarazioni di vari “pentiti” che aiutarono gli inquirenti a fare luce sulla sua sanguinosa vita criminale.
Non meno inquietante, qualitativamente e quantitativamente è stata la sua stessa latitanza, durata tre decadi, che persino in Italia e in termini di contrasto alla mafia rappresenta un triste record, quasi un'intera era geologica.
Fin dal 1994 il boss viene avvistato a Barcellona (Spagna), nella clinica oculistica Barraquer, per curare una miopia prossima allo strabismo, quindi tra il '94 e il '96 fu ospitato dalla sua compagna Maria Mesi tra i comuni palermitani di Aspra e Bagheria, con la Mesi andò persino in vacanza in Grecia nel '96 con il nome falso di Matteo Cracolici. Paola e Francesco Mesi, sorella e fratello di Maria, lavoravano nella clinica di Bagheria dell'ingegnere Michele Aiello, prestanome del boss Bernardo Provenzano. Maria e Francesco Mesi vengono arrestati nel 2000 e condannati a tre anni per favoreggiamento appunto nella latitanza di Messina Denaro.
Nel 2004 inutilmente il Sisde cercò di catturarlo utilizzando il sindaco mafioso di Castelvetrano, Antonino Vaccarino, riuscendo a fare scambiare diversi "pizzini" tra i due, ma la trappola non scattò mai anche perché nel 2006 i pizzini vengono trovati nel casolare di Corleone dove venne arrestato lo stesso Provenzano; in uno di essi si legge l'ordine di Messina Denaro a Vaccarino (con gli opportuni pseudonimi) di "di condurre una vita trasparente in modo da non essere coinvolto nelle indagini".
Le rivelazioni della collaborazione di Vaccarino con il Sisde riportate da "Repubblica" poi fecero sfumare definitivamente la possibilità della cattura per il tramite appunto di Vaccarino. (Ma come faceva allora Messina Denaro a fiutare così bene le trappole anche quando erano insospettabili, perché suoi sodali, gli uomini assoldati dal Sisde per farlo catturare? È lecito supporre che in quella cloaca che sono i servizi segreti italiani, che per noi marxisti-leninisti sono da abolire, qualcuno deve avere avvisato il boss della vicenda).
Nel 2010 la DDA di Palermo con l'indagine "Golem 2" riesce ad arrivare quasi ad un passo dal boss, riuscendo ad arrestare 19 persone a Castelvetrano per reati di mafia, tra i quali il fratello di Matteo, Salvatore Messina Denaro, i suoi cugini Giovanni e Matteo Filardo e l'ottantenne Antonino Marotta, ovvero "il decano della mafia trapanese" perché ex appartenente alla banda del bandito Salvatore Giuliano, capo dell'Evis, braccio armato del Movimento indipendentista siciliano e corresponsabile tra l'altro della strage di Portella della Ginestra del 1° Maggio del 1947, nella quale morirono 11 persone e ne rimasero ferite altre 27. (Sulla morte di Giuliano, avvenuta il 5 luglio del 1950 e fino al 2016 è stato imposto il vergognoso "segreto di Stato", esistono almeno cinque differenti versioni sulla sua morte, pare definitivamente accertato che fu al soldo prima dei nazifascisti e poi, in funzione anticomunista, degli Usa.
Tornando a Messina Denaro non mancarono dopo il 2010 più e meno attendibili avvistamenti da parte di "pentiti", è acclarato che prese posto in tribuna allo stadio Barbera di Palermo il 9 giugno del 2010 per assistere alla partita di calcio Palermo-Sampdoria. Nel 2015 addirittura la radio locale siciliana Radio Onda Blu fornì le immagini satellitari della sua presunta abitazione in Germania, presso Baden, dove però non venne trovato e fra l'altro la vicenda non venne confermata dagli inquirenti.
Sempre nel 2015 il mafioso Salvatore Rinzivillo, poi arrestato in un'operazione delle procure antimafia di Roma e Caltanissetta, mentre era pedinato, lo si è visto recarsi a Castelvetrano, dove ha incontrato un uomo, che non è stato identificato, che rispondeva esattamente alla descrizione di Messina Denaro, il quale però, "misteriosamente" non viene né arrestato, né pedinato, mentre viene condotto all'arresto l'agente dell'Aisi, Marco Lazzari, che stava proteggendo la latitanza di Messina Denaro. L'Aisi, l'Agenzia italiana per la sicurezza interna della Repubblica, fa parte dei servizi segreti italiani e fu istituita nel 2007 dal governo Prodi II ed è oggi presieduta dalla stessa Meloni.
Chi l'ha protetto
Nel 2013 esplode, nella inquietante vicenda di questa infinita latitanza il "caso Masi": nel maggio di quell'anno il maresciallo capo dei carabinieri Saverio Masi presentò una denuncia alla procura di Palermo contro i suoi superiori, asserendo che, addirittura nel 2004, quando prestava servizio al Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Palermo, individuò per la strada proprio Messina Denaro, a bordo di un'utilitaria, di averlo quindi seguito fino all'ingresso di una villa. Denunciato il fatto ai superiori, questi però gli avrebbero intimato di non proseguire nelle indagini, "frapponendo continui ostacoli nel corso di indagini mirate alla cattura di super latitanti". Per tali accuse Masi fu denunciato per calunnia dai suoi superiori. Nel 2017, accogliendo solo in parte la richiesta della Procura di Palermo - che aveva avanzato istanza di archiviazione sia delle accuse di Masi (per mancanza di riscontri oggettivi), sia di Masi stesso per l'ipotesi di calunnia (per mancanza dell'elemento psicologico) il Giudice per le Indagini Preliminari di Palermo ha archiviato la posizione dei superiori accusati dal Masi e ha invece disposto la sua imputazione coatta per il reato di calunnia. Masi viene denunciato dai superiori anche per diffamazione in merito alla propagazione sui media delle stesse accuse, ma nel 2019 viene assolto in primo grado dal Tribunale di Roma e nel 2021 dalla quinta sezione penale del Tribunale di Palermo, mentre è ancora a giudizio presso il Tribunale di Bari.
Nel 2018 viene arrestato Leo Sutera, storico amico di Messina Denaro e capo della mafia di Agrigento, il quale era stato già arrestato nel 2012, provocando uno scontro tra i carabinieri che volevano continuare a pedinarlo perché certi che avrebbe condotto a Messina Denaro e la Polizia agli ordini del procuratore di Palermo Francesco Messineo, il quale facendolo arrestare, fece venire meno oggettivamente la possibilità di catturarlo.
Negli ultimi anni i misteri sulla latitanza del boss si infittiscono, si parla di operazioni di plastica facciale e ai polpastrelli, forse in Bulgaria, per non essere riconosciuto, di appoggi della 'ndrangheta calabrese nella sua latitanza, viene segnalato a Pisa, Lamezia Terme e Mendicino (Cosenza).
Nel 2019 vengono arrestati due carabinieri, accusati di avere protetto la sua latitanza.
A marzo del 2019 viene scoperta una loggia massonica a Castelvetrano, alla quale segue un'operazione che porterà nel novembre a un blitz antidroga a Palermo, nel quale viene arrestato Antonio Messina, ex avvocato radiato dall'albo e appunto massone trapanese di lungo corso, che aveva contatti con la criminalità siciliana radicata in Lombardia.
A dicembre del 2019 viene rivelato che nel 2015, quando a capo del pool che indagava su Messina Denaro vi era il magistrato Teresa Principato, dal suo ufficio scomparvero un computer portatile e due "pendrive", con informazioni riguardanti le indagini e coperte addirittura dal segreto istruttorio.
A febbraio 2020, dopo la cattura del boss Salvatore Nicitra, uno dei capi della Banda della Magliana, le indagini hanno portato anche a Roma, perché Nicitra aveva forti legami con Cosa nostra di Agrigento.
Nel giugno 2020 vengono arrestati numerosi alleati di Messina Denaro, come Francesco Domingo boss di Castellammare del Golfo, al vertice delle articolazioni mafiose trapanesi e legato a Cosa nostra americana.
Il 21 ottobre 2020 Messina Denaro viene condannato all'ergastolo dalla corte d'assise di Caltanissetta per essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D'Amelio nelle quali morirono Falcone e Borsellino e i membri delle loro scorte.
L'ascesa criminale, la scia di sangue che ha lasciato dietro di sé e la sua lunga (pure troppo) latitanza lasciano aperti tutta una serie di inquietanti e infiniti interrogativi, ai quali se ne aggiungono altrettanti relativi alla sua cattura il 16 gennaio presso la clinica La Maddalena di Palermo e non siamo certo i soli a porci questi interrogativi, tutt'altro.
Lo scrittore antimafioso Roberto Saviano su "La Stampa" afferma: "Come tutti i capi, Matteo Messina Denaro non ha mai lasciato il suo territorio. Da nessuna altra parte del mondo sarebbe stato protetto allo stesso modo. Intanto dai suoi. Se qualcuno arriva nei tuoi feudi vengono ad avvertirti in tempo reale. E chi tradisce sa che pagherà. Se ti trasferisci, anche solo temporaneamente, in Montenegro, in Romania, in Kosovo o in Germania (non sono nomi fatti a caso), non sai come si comporteranno i tuoi vicini di casa o chi ci sia davvero di fianco a te”... “Il sistema sanitario siciliano, ma più in generale il sistema sanitario italiano, è da sempre infiltrato dalle organizzazioni criminali. Basti pensare alla storia di Michele Aiello, manager al soldo di Provenzano che gestiva una delle cliniche migliori del Mediterraneo.
Dunque, sì: evidentemente si sentiva al sicuro. Trent'anni di latitanza ti consumano e oggi l'aspetto di Messina Denaro è quello di un manager qualunque. Gli uomini d'onore spesso sono così. Affaristi nascosti nel buio”
.
Lasciando quindi intendere che il boss fosse ben protetto innanzitutto dai politicanti borghesi in odor di mafia: "Difficile dimenticare che il referente di Matteo Messina Denaro è stato Tonino D'Alì, ex senatore di Forza Italia e sottosegretario all'Interno, a cui i giudici hanno contestato la vicinanza a Cosa Nostra. E in particolare a Riina e ai Messina Denaro padre e figlio. Questo è il livello di stratificazione delle relazioni. Quando si parla di Sicilia bisogna sempre fare attenzione. Ci sono stati dei cambiamenti profondi. Ma noto anche che Dell'Utri e Cuffaro continuano ad avere consenso e uomini sul territorio. E dunque fatico a convincermi che ci sia stata una rottura definitiva tra potere politico e mafia in Sicilia. I rapporti del passato tra Forza Italia e Cosa Nostra sono ampiamente documentati. Storicamente e giudiziariamente.Le voci su un possibile arresto giravano da molto tempo e quello di Piantedosi sembrava lo spot di uno che sapeva (il riferimento è alle dichiarazioni del ministro antecedenti alla cattura nelle quali ha affermato che gli sarebbe piaciuto passare alla storia come il mdell'Interno che ha arrestato Messina Denaro). Uno spot pericoloso, perché rischiava di far saltare l'operazione. Ma evidentemente il ministro era certo di fare cassa mediatica con un arresto di cui non ha alcun merito. I carabinieri hanno lavorato su Messina Denaro per anni”.
In gioco l'ergastolo ostativo
L'arresto del boss era dunque nell'aria e sembra il frutto della trattativa tra lo Stato borghese e la mafia riguardante soprattutto l'attenuazione del cosiddetto "ergastolo ostativo", ossia il fine pena mai, per i superboss detenuti al regime previsto dal 41bis, la testa di Messina Denaro dunque in cambio di una legislazione più morbida verso i mafiosi.
Lo aveva anticipato apertamente lo scorso novembre da Massimo Giletti su La7 Salvatore Baiardo, prestanome dei fratelli Graviano: “L’unica speranza dei Graviano è che venga abrogato l’ergastolo ostativo”
, profetizzando un regalo al governo in carica, ovvero uno storico arresto come quello di Messina Denaro.
A proposito dell'intervista Massimo Giletti ha affermato: “Io non ho mai fatto supposizioni, sto ai fatti. Qualcuno a suo tempo ironizzò: 'Giletti parla di fantascienza'. Però, poi, quanto ventilato da Baiardo si è davvero realizzato. E quindi dovrei dire che la storia si ripete, perché questi punti interrogativi sono i medesimi della cattura di Riina e poi della mancata cattura di Provenzano (poi avvenuta nel 2006). Com’è possibile che un superboss di questo calibro si stesse curando serenamente e da tempo in una clinica nel cuore di Palermo?”... “Avevo intuito che nell’aria c’era il problema dell’ergastolo ostativo e che, magari, far catturare uno come Messina Denaro poteva essere utile a qualche mafioso di livello che oggi si trova in carcere, e che i superboss in qualche modo lo avessero convinto di farsi catturare, quindi decisi di ascoltare Baiardo, un uomo vicino ai Graviano, i veri uomini importanti di Cosa nostra”.
Stesso punto di vista di Nino Di Matteo, il magistrato noto per le inchieste appunto sulla trattativa stato-mafia che su "La Stampa" afferma: “Viene posta la parola fine alla latitanza di un uomo che è stato condannato definitivamente per le stragi del '92 e '93 e di altri delitti gravissimi. Un boss crudele, lo Stato avrà davvero vinto quando avrà approfondito e fatto chiarezza sul come e sul perché sia stata possibile una latitanza così lunga nonostante l'impegno di migliaia di agenti delle forze dell'ordine e di decine di magistrati. Avevamo identikit molto fedeli, Messina Denaro ha vissuto a Palermo, è stato arrestato in una delle cliniche più frequentate della città. È assai probabile che la sua latitanza non sia dovuta solo all'abilità del fuggiasco ma anche alle protezioni di cui ha goduto. Proprio ieri in una sentenza della Corte di Assise di Palermo, a proposito della trattativa Stato-mafia che ha condannato i boss e assolto gli apparati dello Stato, è scritto che per un certo periodo gli alti funzionari del Vecchio Ros avevano coperto Provenzano per interesse nazionale in modo che potesse consolidare la leadership moderata rispetto all'ala stragista. Insomma ci sono sempre state coperture istituzionali. E fino a quando non si chiariranno le coperture e le complicità, allora come ora, non potremo dire di avere vinto. Non sono congetture, ma considerazioni fatte in un certo periodo dai boss e riferite dal pentito Nino Giuffrè, che è stato al vertice di Cosa Nostra. Giuffrè ha sostenuto che Messina Denaro avrebbe utilizzato l'agenda rossa e l'archivio di Riina come arma di pressione e ricatto all'interno e all'esterno di Cosa Nostra”
.
Di Matteo si dichiara poi contrario all'abolizione dell'ergastolo ostativo: "Il decreto di questo governo ha evitato che, dopo le sentenze europee e della nostra Consulta, l'abrogazione possa accadere facilmente ma non lo ha escluso in via definitiva”
.
Il ruolo dell'ex sottosegretario agli interni, il berlusconiano Tonino D'Alì
Intervenendo ad Atlantide su La7 il 18 gennaio Di Matteo ha poi aggiunto: “Sono rimasto colpito dalle dichiarazioni di Baiardo. Questa situazione deve essere approfondita, non è da prendere sotto gamba, soprattutto se si considera che Baiardo è vicino ai fratelli Graviano. È difficile credere che affermazioni così nette, precise, insinuanti siano state fatte senza il loro consenso o addirittura senza esser stato mandato da loro”.
“Le indagini sulle ricerche di Matteo Messina Denaro furono totalmente ostacolate. Ogni volta che si alzava il livello, ad esempio sulla massoneria, in molti, e fu per me una grossa delusione, non dico che avessero paura ma cominciavano a non crederci più (per esempio sui collaboratori che stavamo sentendo) nonostante in otto anni di lavoro alla Dda di prove sulla mia professionalità ne avessi seminate. E gli ostacoli furono frapposti nonostante gli scenari della cattura fossero molto promettenti. Sia io sia altri colleghi cercammo di convincere il procuratore a fermare i colleghi del gruppo agrigentino che volevano procedere all'arresto di un boss che secondo noi ci avrebbe portato dal ricercato. Avrebbero vanificato tutto. Anche i carabinieri del Ros ci parlarono. Invano”
afferma Teresa Principato, magistrato in pensione dal gennaio 2022 che ha dato la caccia a Messina Denaro per anni che parla dei tanti ostracismi subiti da parte di alcuni suoi colleghi nell'ambito della cattura del superboss anni fa. Inoltre rimarca il ruolo avuto nella copertura di Messina Denaro dal berlusconiano Tonino D'Alì: (ex sottosegretario agli interni forzista, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa anche per aver favorito la famiglia del latitante): “Il padre di Messina Denaro era il campiere della famiglia del politico. D'Alì ha fatto assumere in una delle sue banche il fratello dell'ex latitante e un Prefetto che voleva togliere dalle grinfie della mafia un'azienda fu fatto trasferire sempre da lui, cosi come il capo della squadra Mobile Giuseppe Linares”
, afferma l'ex magistrato su "La Stampa".
Esattamente il giorno prima della cattura il proprietario 94enne della clinica La Maddalena, Guido Filosto ha festeggiato il suo compleanno in una lussuosa villa a soli 5 km dalla clinica, in compagnia della "crema" di alcuni tra i più potenti politicanti borghesi, neofascisti e filomafiosi: c’è il governatore della Sicilia Renato Schifani, il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, Totò Cuffaro, il professore Elio Cardinale. In un’altra sala della villa, non invitati e lì per conto proprio, ci sono Maria Falcone, sorella del magistrato assassinato a Capaci, con alcuni amici; e in un altro tavolo c’è Gianfranco Miccichè, anche lui con amici.
L'intreccio tra mafia e massoneria
Dopo la cattura emerge sempre più il ruolo della massoneria nella protezione del boss: Alfonso Tumbarello, medico di base in pensione che aveva in cura Messina Denaro, era iscritto alla loggia “Valle di Cusa – Giovanni di Gangi” all’Oriente di Campobello di Mazara, la cittadina in provincia di Trapani che è poi diventata il teatro della caccia a rifugi e favoreggiatori del superboss.
Gli investigatori stanno indagando anche sul medico massone Filippo Zerilli, per procurata inosservanza di pena aggravata, stesso reato contestato pure a Tumbarello, medico di base di Denaro. Ex consigliere provinciale dell’Udc, Tumbarello è stato sospeso dal Grande Oriente d’Italia. “È una prassi, lo facciamo sempre quando ci sono degli indagati”, ha spiegato alle agenzie di stampa Stefano Bisi, gran maestro del Goi.
Indagato anche Vaccarino, massone, ex politico, condannato per traffico di stupefacenti, fu assolto dall’accusa di mafia. Amico di don Ciccio Messina Denaro, tra il 2004 e il 2006 comincia una corrispondenza col figlio Matteo.
Quindi il massone Giovanni Lo Sciuto, in passato boss locale dell'Ncd, originario di Castelvetrano. Arrestato nel 2019, processato per violazione della legge Anselmi, la procura di Trapani lo accusa, di aver creato una loggia segreta, sempre nella città di Messina Denaro. Dalle intercettazioni risulta che nel 2016 Lo Sciuto era riuscito a essere avvisato dell’esistenza di un’indagine top secret sui legami tra mafia e logge. “Ci sono 23 avvisi di garanzia per la massoneria, c’è pure tuo fratello”
, gli disse un dentista massone, spiegando che il blitz degli inquirenti poteva essere imminente e aggiunse: “I giudici lo sai perché non lo fanno? Perché sono tutti massoni”
.
Secondo l'ex magistrato Gian Carlo Caselli, in un'intervista rilasciata a "Micromega", la mafia, fin dai tempi dell'arresto di Provenzano e quindi oggi con l'arresto di Messina Denaro, avrebbe cambiato strategia facendosi apparentemente meno violenta e più subdola rispetto al passato: "In questo modo Cosa Nostra ha cercato (riuscendovi) di dissimulare il suo volto più feroce, per recuperare e sviluppare spazi di intervento e per rafforzare i meccanismi di accumulazione di capitale illecito. Con una peculiarità che complica le cose perché, secondo tradizione, essa tende anche a proporsi come soggetto politico-sociale capace di controllare l’economia e di esercitare una funzione di (apparente) sviluppo, anche sostituendo o integrando le competenze pubbliche.
La strategia con la quale la mafia ha affrontato il dopo stragi 1992/93 è stata quindi meno sanguinaria, ma più insidiosa, perché favorisce l’affievolirsi dell’attenzione sulla questione mafia in conseguenza del calo 'statistico' dei fatti di sangue conosciuti. Ma è proprio nei periodi di pax mafiosa che Cosa Nostra dimostra maggiore forza, capacità di infiltrarsi nel tessuto economico-sociale e di intrecciare nuove relazioni anche sul versante dell’intermediazione con luoghi decisionali della cosa pubblica.
E la storia, ripeto, è probabile che continui tal quale anche dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, l’ultimo protagonista attivo della stagione delle stragi."
Il ministro Nordio attacca i Pm antimafia e la Meloni e Berlusconi lo blindano
Fondamentali secondo gli inquirenti per la cattura del boss le intercettazioni telefoniche, bestia nera del governo e in particolare del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che sta facendo di tutto per abolirle, anche perché "costose", a tutto vantaggio delle massomafie e dei colletti bianchi. Il 19 gennaio il ministro si è recato alla Camera dove ha affermato: “Noi abbiamo ieri reso omaggio alla magistratura e alle forze dell’ordine che hanno catturato Messina Denaro, ho sentito e ho letto sui giornali alcune critiche, anche molte adesioni. Non mi stupisco che alcuni colleghi, ex colleghi, pm, abbiano posizioni ferocemente negative. È normale che avendo sempre fatto i pm antimafia abbiano una visione estremamente severa di questi problemi. Ma l’Italia non è fatta di pm e questo parlamento non deve essere supino e acquiescente a quelle che sono le posizioni dei pm che vedono la mafia dappertutto”
.
Dichiarazioni eversive e deliranti, prima di tutto perché, benché ormai solo formalmente, siamo in una repubblica parlamentare, sono le Camere a fiduciare e sfiduciare i ministri e i governi e non mussolinianamente questi ultimi ad aizzare i parlamentari stessi alla lotta contro i pm antimafia, considerando il principio della separazione dei poteri dello stato borghese. Ma soprattutto di fatto mostra di avercela molto di più con i pm antimafia che non con i mafiosi, questo è il punto. Del resto questo gerarca del regime neofascista è "sempre stato uno sul quale si può contare nella lotta"
disse l'avvocato Salvatore Lo Giudice nel 1995 intercettato al telefono mentre parlava con Bettino Craxi latitante ad Hammamet. Salvatore è il figlio del defunto Enzo Lo Giudice, originario di Paola (Cosenza), dove gli è stata vergognosamente intitolata una via in prossimità del Tribunale, falso marxista-leninista diventato poi appunto avvocato di Bettino Craxi.
Bersagliato dalle critiche di magistrati, personalità ed esponenti politici antimafiosi, il ministro Nordio è stato difeso a spada tratta e blindato dalla neofascista Meloni che in una nota ha espresso "piena fiducia nel Guardasigilli, che la premier ha fortemente voluto a Via Arenula e con il quale mantiene contatti quotidiani
". E riaffermando la granitica unità del governo neofascista, ha avvertito i critici: “Spiace deludere, ma il clima nel Consiglio dei ministri è ottimo e tutti i ministri lavorano in piena sinergia".
Una granitica unità confermata dal leader di Forza Italia il pregiudicato Berlusconi con queste inequivocabili parole: "Noi di Forza Italia sosterremo l'azione del ministro Nordio con assoluta convinzione. La giustizia italiana ha bisogno urgente di essere riformata e il nostro ministro ha dimostrato di voler lavorare seriamente per questo obiettivo".
Costui e i suoi sodali mafiosi come Dell'Utri hanno sempre osannato questo pericoloso ex pm, favorevole all'abolizione dell'ergastolo ostativo, il quale non potendo nell'immediato cancellare del tutto dall'ordinamento la possibilità di utilizzare le intercettazioni, anche per reati gravissimi, ipotizza pene pesantissime per i giornalisti che dovessero pubblicarle, rendendo così impossibile far conoscere all'opinione pubblica tutta una serie di fatti che finirebbero con il rimanere nascosti a tutto vantaggio della borghesia, della massoneria e delle mafie.
Il suo stesso atteggiamento da gerarca del regime, sprezzante dei pm antimafia ed esaltatore di fatto della sottomissione della magistratura all'esecutivo, avvenuta da tempo, conformemente ai piani della P2, è la prova provata che siamo in un regime neofascista e che della Costituzione borghese e anticomunista del 1948 non rimane praticamente più nulla. (Si pensi allo stesso La Russa e alla sua apologia del fascismo e del MSI).
Da questo punto di vista la posizione del Presidente Mattarella, che avalla gli atti del governo senza colpo ferire, diventa ogni giorno più grave nell'ambito appunto nel definitivo consolidamento del regime capitalista, neofascista e filomafioso imperante.
La battaglia contro la mafia
Per noi marxisti-leninisti l'esistenza stessa delle mafia, la lunga e protetta latitanza e l'arresto solo dopo 30 anni di questa belva sanguinaria sono la prova provata che "La criminalità organizzata - 'ndrangheta, mafia, camorra, sacra corona unita -, che è la parte più reazionaria e sanguinaria della borghesia italiana, condiziona pesantemente lo sviluppo del Mezzogiorno. La sua esistenza nello Stato borghese e nell'economia capitalistica è legata a funzioni specifiche che vi svolge e che, dall'Unità d'Italia ai nostri giorni, si sono sempre più evolute e raffinate, allargandosi a comprendere settori dell'industria e dell'agricoltura, dell'alta finanza, della politica borghese. Oggi la criminalità organizzata è fortemente compenetrata con l'economia e le istituzioni borghesi.
Al rafforzamento della criminalità organizzata hanno contribuito la controriforma dell'ordinamento giudiziario, le leggi sulla depenalizzazione del falso in bilancio, lo scudo fiscale, i condoni, la precarizzazione del lavoro, le leggi sull'immigrazione e quelle neofasciste sulle tossicodipendenze, le privatizzazioni dei servizi, le leggi sulla forma federale dello Stato e sul federalismo fiscale e sul piano sociale il consistente immiserimento e avvilimento delle condizioni di vita che diventa un terreno ideale per l'assoldamento della manovalanza delle mafie.
Per sconfiggerla bisogna capire dov'è la testa su cui indirizzare i nostri colpi principali. La testa si trova nell'alta finanza, nei circoli dell'industria, dell'agricoltura, del terziario e nelle istituzioni. Cioè dentro la classe dominante borghese, lo Stato borghese e l'economia capitalistica.
Per il PMLI la lotta contro la criminalità organizzata è parte integrante della battaglia per il lavoro, lo sviluppo e l'industrializzazione del Mezzogiorno.
Occorre sostenere i magistrati impegnati in prima fila nella lotta alle cosche e le richieste delle Procure distrettuali antimafia per disporre di fondi e mezzi adeguati per svolgere la loro attività.
Non serve la militarizzazione del territorio e vanno combattuti i provvedimenti neofascisti miranti ad imporla nelle regioni del Sud.
La lotta alla borghesia criminale rientra nella lotta di classe tra il proletariato e la borghesia, tra il socialismo e il capitalismo, tra il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il riformismo, il revisionismo e il neorevisionismo.
Tuttavia è necessario che tutti gli anticamorristi e gli antimafiosi si uniscano in un vasto Fronte unito, che può essere articolato nelle regioni e nelle città, deve avere un carattere di massa e nazionale e deve comprendere tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali, religiose democratiche che realmente intendono liberare il Mezzogiorno dalla criminalità organizzata.
Il PMLI è disponibile a formare questo vasto Fronte unito, sulla base di una piattaforma politica comune e su un piano di uguaglianza nei diritti e nei doveri, il quale consentirà di riportare delle importanti vittorie sulla criminalità organizzata. Occorre tuttavia essere coscienti che la criminalità organizzata non è un corpo estraneo allo Stato e all'economia borghesi, e perciò essa potrà essere estirpata completamente e definitivamente solo abbattendo lo Stato borghese e instaurando il socialismo." (dalle Tesi del V Congresso Nazionale del PMLI, Dicembre 2008)
Come si vede la compenetrazione totale tra lo Stato borghese e le mafie, tanto più in pieno regime neofascista rendono prioritario, come il PMLI sostiene fin dal suo insediamento, buttare giù da sinistra e dalla piazza il governo neofascista Meloni, costituendo un ampio fronte unito antifascista e antimafioso, come indicato nel magistrale Documento del CC del PMLI contro il governo Meloni: “In questo fronte unito il proletariato - la classe delle operaie e degli operai che producono tutta la ricchezza del Paese ma ne ricevono solo le briciole - deve assumere un ruolo dirigente appropriandosi della sua cultura storica, che è il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e non quella dell'operaismo, dell'anarco-sindacalismo e del riformismo.
Finché non si riuscirà ad abbattere il governo neofascista Meloni bisogna rimanere uniti, poi ognuno andrà per la propria strada. Il PMLI andrà fino in fondo sulla via dell'Ottobre verso l'Italia unita, rossa e socialista.
Che gli autentici fautori del socialismo - donne, uomini, Lgbtqia+ - capiscano che il loro dovere rivoluzionario è di dare tutta la propria forza intellettuale, morale, politica, organizzativa e fisica al PMLI per il trionfo del socialismo in Italia."
25 gennaio 2023