Operai ex Ilva in sciopero per la nazionalizzazione di Acciaierie d'Italia
L'ultimo stanziamento in favore di Acciaierie d'Italia (ex-Ilva) da parte del governo non ha certo chiuso la partita su Taranto, Genova-Cornigliano e sugli altri stabilimenti del gruppo. Non si può continuare con questa strategia che prevede finanziamenti pubblici per il più grande stabilimento italiano di produzione dell'acciaio e una proprietà e una direzione (governance
) in mano ai privati. È per questo motivo che lavoratori e sindacati stanno facendo pressione sul governo per arrivare alla nazionalizzazione, per il rilancio dell'occupazione e il risanamento ambientale che l'attuale proprietà di ArecelorMittal ha dimostrato di non potere ne volere realizzare.
La situazione è man mano peggiorata, fino a giungere alla decisione di Acciaierie d'Italia di sospendere le attività di 145 ditte dell'indotto che svolgono lavori ritenuti non essenziali, con le conseguenti ricadute occupazionali, calcolate in circa 2mila persone, rimaste temporaneamente senza il loro stipendio. A far salire la tensione il fatto che lo scorso 17 novembre, né l'amministratrice delegata Lucia Morselli, espressione del socio privato ArcelorMittal, né il presidente Franco Bernabè, espressione della pubblica Invitalia, avevano partecipato all'incontro con il Ministro delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) Adolfo Urso, i sindacati e gli enti locali per fare il punto sulla situazione in cui versa l'ex Ilva.
Dopo pochi giorni era arrivata la risposta dei lavoratori che il 21 novembre hanno scioperato in tutti gli stabilimenti del gruppo, che assieme ai sindacati hanno chiesto la cacciata di ArcelorMittal e l'acquisizione da parte dello Stato. Sciopero che veniva replicato l'11 gennaio, con una delegazione arrivata a manifestare fin sotto il Mimit, mentre i sindacati Cgil, Uil e Usb presentavano la consultazione tra i lavoratori del gruppo, chiamati ad esprimersi sulla ricapitalizzazione dell'ex-Ilva messa in campo dal governo nell'ultimo Consiglio dei Ministri dell'anno, che ha visto gli operai (7mila perché molti sono in cig) esprimersi al 98% per la nazionalizzazione.
Il governo neofascista Meloni ha agito come i precedenti, mettendo una pezza. Nella riunione del 28 dicembre sono stati previsti 680 milioni (già stanziati), che possono essere utilizzati fin da subito quale finanziamento soci convertibile in futuro aumento di capitale. Il decreto legge (dl) prevede inoltre modifiche alla normativa per l'attivazione delle procedure per l’amministrazione straordinaria in caso di insolvenza della società. Il dl contiene anche “norme processuali penali per assicurare la continuità produttiva delle imprese di interesse strategico nazionale intervenendo sulla disciplina dei sequestri e su quella in materia di responsabilità penale per tutti gli stabilimenti di interesse nazionale”, ovvero viene ripristinato lo scudo penale.
I lavoratori sono rimasti sempre in stato di massima allerta, e il 19 gennaio hanno di nuovo scioperato, in concomitanza con la convocazione da parte del Mimit del tavolo ex-Ilva con le “forze sociali, sindacati e associazione produttive, rappresentanti degli Enti locali, azionisti pubblici e privati in cui l’azienda illustrerà i piani di sviluppo e gli impegni industriali e occupazionali”. Solo da Taranto sono stati organizzati 14 pullman per portare a Roma 750 operai che sono arrivati sotto le finestre del Ministero dove si teneva l'incontro con bandiere, striscioni e fumogeni, lanciando slogan contro l'AD Morselli e ArcelorMitta e per la nazionalizzazione.
Ma questo “vertice”, a cui erano presenti anche i rappresentanti sindacali di Fiom, Uilm, Usb e Fim-Cisl, non ha portato a niente di positivo, almeno dal punto di vista dei lavoratori. A gestire le risorse messe dal governo sarà l'attuale governance
di Acciaierie d'Italia che non prevede nessun rilancio sull’occupazione, tranne generiche dichiarazioni di intenti. Tutto è sembrato già deciso tra governo, azienda e sindaci dei territori interessati dagli stabilimenti.
Gli stessi modesti obiettivi per l’anno in corso, 4 milioni di tonnellate annui di produzione, che diventerebbero 5 nel 2024 lasciano prevedere il non ritorno in fabbrica degli ex Ilva in As e la creazione di nuovi esuberi tra i sociali oltre che continuare con i tagli lineari sull’appalto. Chiare invece le opere funzionali alla fabbrica: rigassificatore, pale eoliche, il riavvio della lavorazione di materiali con grandi quantità di formazione di scorie come la loppa, un mega impianto nella baia di Taranto di desalinizazzione delle acque per l'acciaieria. Opere fortemente impattanti in un contesto ambientale già ampiamente compromesso.
La nazionalizzazione non può risolvere tutto in un batter d'occhio ma sicuramente è l'unica strada per invertire la rotta sul piano del risanamento ambientale. Di pari passo però deve proseguire la salvaguardia dell'occupazione e dei salari, indotto compreso, altrimenti sarà del tutto indifferente avere come padrone ArcelorMittal oppure lo Stato italiano.
25 gennaio 2023