Il “giorno del ricordo” va abolito non trasformato in un “giorno di tutte le memorie”
Opportunistica e ambigua proposta di Pagliarulo, presidente nazionale dell'Anpi

 
Ha fatto molto discutere l'intervento del presidente nazionale dell'Anpi, Gianfranco Pagliarulo, durante il convegno sulle foibe svoltosi lo scorso 20 gennaio a Zagabria, presso la Casa dei giornalisti, che ha visto la presenza dei presidenti delle Associazioni Partigiane della Croazia e della Slovenia, oltre a vari storici tra cui l'italiano Federico Tenca Montini.
In Italia – ha affermato Pagliarulo - c'è un giorno del ricordo dei crimini delle foibe e del dramma dell'esodo. Ma non c'è un giorno del ricordo dell'invasione italiana alla Jugoslavia, non c'è un giorno del ricordo dei massacri italiani che ne seguirono, non c'è un giorno del ricordo delle centinaia e centinaia di donne, partigiane, staffette o semplici cittadine seviziate e uccise dai nazifascisti in Italia, non c'è un giorno del ricordo dei crimini della X Mas italiana, che collaborava con i nazisti, non c'è un giorno del ricorso dell'occupazione della Carnia da parte delle armate cosacche al servizio del Terzo Reich, non c'è un giorno del ricordo degli oltre 600mila internati militari italiani in Germania, molti dei quali non tornarono ”.
Il presidente dell'Anpi ha correttamente ricordato i crimini nazifascisti perpetrati sia in territorio italiano sia in territorio slavo, e fin qui il suo discorso regge bene.
Noi proponiamo – ha poi proseguito Pagliarulo nel suo intervento - proprio questo: non si faccia del Giorno del Ricordo in Italia un momento di ulteriore strappo, di divisione fra gli italiani e fra gli italiani, gli sloveni e i croati. Sia davvero una giornata di memoria osservante di tutte le memorie: delle foibe, dell'esodo, delle stragi operate in Slovenia e in Croazia, dei morti nei campi di internamento. Sia una giornata di rispetto e non di oltraggio, di analisi storica e non di propaganda, di fraternità e non di odio, di pace e non di guerra. Questo è il messaggio che ci permettiamo di inviare alle autorità italiane ”.
È questa parte del discorso che ha suscitato numerose e aspre polemiche, perché la questione delle foibe e dell'esodo italiano – il fatto che vennero infoibati italiani non compromessi con il regime fascista e con i suoi crimini è una vera e propria falsità storica, mentre le dimensioni dell'esodo sono state ingigantite ad arte dalla propaganda fascista, basti pensare che tuttora vivono sia in Slovenia sia in Croazia decine di migliaia di cittadini di nazionalità italiana - viene accostataa crimini documentati, perpetrati dalle autorità italiane civili e militari, quali le stragi in massa di civili operate dalle forze di polizia italiane in Slovenia e in Croazia e la gestione, in territorio slavo, di veri e propri campi di sterminio che nulla avevano da invidiare a quelli nazisti, come quello di Arbe.
La Repubblica Italiana nata nel 1946 e la sua Costituzione entrata in vigore nel 1948 non hanno saputo, anzi non hanno voluto, fare i conti sin dall'inizio con i crimini ordinati dal regime fascista e perpetrati sul territorio jugoslavo dalle sue istituzioni civili e militari dal 1941, data dell'invasione delle truppe dell'Asse, fino al 1945, al momento della sconfitta definitiva del nazifascismo: l'Italia annesse ampie porzioni di territorio jugoslavo creando le province di Lubiana, di Zara, di Spalato e di Cattaro che furono governate dal 1941 al 1943 dalle autorità civili con alti commissari di rango prefettizio e questori, con alle dipendenze, per ciò che riguarda le funzioni di polizia, di distaccamenti della reale arma dei carabinieri e del regio corpo degli agenti di pubblica sicurezza, mentre i territori del Kosovo e del Montenegro subirono l'occupazione militare italiana, e in quello della Croazia si formò uno Stato fantoccio di fatto occupato dal regio esercito italiano e dalle truppe tedesche.
I crimini compiuti dall'amministrazione italiana, sia civile sia militare, in quei territori sono inenarrabili, e sono assimilabili soltanto a quelli compiuti dalle truppe naziste in Unione Sovietica, come emerse dalle indagini della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Luigi Gasparotto, ministro della difesa nel terzo governo De Gasperi nel 1947.
I generali Mario Roatta, Mario Robotti e Alessandro Pirzio Biroli, insieme al prefetto Temistocle Testa, furono considerati dalla commissione i maggiori responsabili di eccidi spaventosi ai danni delle popolazioni slave soggiogate: in 29 mesi di occupazione italiana, con amministrazione civile, della provincia di Lubiana vennero brutalmente assassinate 13.100 persone di etnia slava su un totale di 339.751 abitanti della provincia, mentre la seconda armata del regio esercito istituì, nel territorio croato, non meno di sette campi di concentramento per civili, e le truppe italiane - insieme a quelle tedesche e con il supporto dei collaborazionisti - si resero responsabili in territorio croato della morte di oltre 800.000 civili, senza parlare della collaborazione fornita ai nazisti dal regio esercito e dai corpi di polizia italiani per la cattura di ebrei, di rom e di sinti, che finirono nelle camere a gas.
La Jugoslavia ebbe nella seconda guerra mondiale, su una popolazione di 15.400.000 persone, 1.200.000 morti, dei quali 900.000 civili e solo 300.000 militari, e tale sproporzione di morti tra civili e militari – a favore dei primi – supera in percentuale quella dell'Unione Sovietica dove, non si dimentichi, un'intera armata del regio esercito affiancava lle truppe naziste, e dove i morti civili furono oltre 17.000.000 e quelli militari furono 8.000.000: in parole povere, le autorità civili e militari italiane si resero responsabili nel territorio jugoslavo occupato di un vero e proprio genocidio ai danni della popolazione civile che mai si era verificato nella storia di quel territorio.
Non c'è quindi da stupirsi se alla fine della guerra, la Resistenza jugoslava organizzò Tribunali del Popolo che non esitarono a condannare a morte tutti quanti, tra la popolazione italiana, avevano avuto un qualsiasi ruolo in un simile genocidio: non si dimentichi, infatti, che prefetti, questori, appartenenti a corpi di polizia, magistrati, militari e altri membri dell'amministrazione italiana, civile e militare, puntellarono per anni in quel territorio un regime criminale ai danni della popolazione slava e si resero complici scellerati dei nazisti nella deportazione di ebrei, sinti, rom e altre minoranze.
Si possono quindi censurare le decisioni di quei Tribunali del Popolo che, lungi dal perseguitare tutta la popolazione italiana in quanto tale, decretarono la condanna a morte di simili aguzzini?
Il conseguente clima di terrore che spinse una parte della comunità italiana – e non si dimentichi che tuttora esistono in Slovenia e Croazia numerose comunità di nazionalità e lingua italiana - a scappare da quei territori deve ascriversi agli slavi che colpirono selettivamente, e giustamente, elementi italiani compromessi o alle autorità italiane che si resero responsabili di un vero e proprio genocidio?
Fu, semmai, la Repubblica Italiana che non seppe colpire le migliaia di responsabili, indicati dalla menzionata commissione parlamentare, e non volle epurare singole persone o addirittura istituzioni responsabili di tali misfatti dalla propria amministrazione, e allora quella stessa Repubblica non ha nessuna autorità morale di istituire un inaccettabile giorno del ricordo, che va abolito in modo puro e semplice, e non trasformato in un giorno del ricordo di tutte le memorie, perché significherebbe mescolare i valori dell'antifascismo con la barbarie del nazifascismo.
Occorre dunque distinguere nettamente tra carnefici e vittime, tra coloro che fecero quella giustizia che lo Stato italiano non ebbe il coraggio di fare e le vittime innocenti del nazifascismo.
Non ci può essere e non ci deve essere altro, se vogliamo realmente definirci antifascisti, che il ricordo delle vittime del nazifascismo – siano essi italiani o slavi, etiopi o ebrei, tedeschi o francesi, polacchi o sovietici – e mai potrà esserci una memoria condivisa perché i valori che ispirarono la Resistenza – italiana o slava, etiope o ebraica, tedesca o francese, polacca o sovietica – sono assolutamente antitetici a quelli del nazifascismo e non potranno mai mescolarsi con essi! Ecco perché dissentiamo nettamente dalla proposta opportunistica e ambigua di Pagliarulo, presidente nazionale dell'Anpi, di trasformare il cosiddetto “giorno del ricordo” in un “giorno di tutte le memorie”.


1 febbraio 2023