Presa di posizione della Cellula “F. Engels” della Valdisieve (Firenze) del PMLI
Il “giorno del ricordo” non va riformato ma abolito

Dal 1941, data dell'invasione delle truppe dell'Asse, fino al 1945, al momento della sconfitta definitiva del nazifascismo, l'Italia annesse ampie porzioni di territorio jugoslavo. I crimini compiuti dall'amministrazione italiana, sia civile sia militare, in quei territori sono inenarrabili, e sono assimilabili soltanto a quelli compiuti dalle truppe naziste in Unione Sovietica, come emerse dalle indagini della Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Luigi Gasparotto, ministro della Difesa nel terzo governo De Gasperi nel 1947.
I generali Mario Roatta, Mario Robotti e Alessandro Pirzio Biroli, insieme al prefetto Temistocle Testa, furono considerati dalla Commissione i maggiori responsabili di eccidi spaventosi ai danni delle popolazioni slave soggiogate: in 29 mesi di occupazione italiana, con amministrazione civile, della provincia di Lubiana vennero brutalmente assassinate 13.100 persone di etnia slava su un totale di 339.751 abitanti della provincia, mentre la seconda armata del regio esercito istituì, nel territorio croato, non meno di sette campi di concentramento per civili, e le truppe italiane - insieme a quelle tedesche e con il supporto dei collaborazionisti - si resero responsabili in territorio croato della morte di oltre 800.000 civili, senza parlare della collaborazione fornita ai nazisti dal regio esercito e dai corpi di polizia italiani per la cattura di ebrei, di rom e di sinti, che finirono nelle camere a gas.
La Jugoslavia ebbe nella seconda guerra mondiale, su una popolazione di 15.400.000 unità, 1.200.000 morti, dei quali 900.000 civili e solo 300.000 militari. Il conseguente clima di terrore che spinse una parte della comunità italiana - e non si dimentichi che tuttora esistono in Slovenia e Croazia numerose comunità di nazionalità e lingua italiana - a scappare da quei territori deve ascriversi agli slavi che colpirono selettivamente elementi italiani compromessi, o alle autorità italiane che si resero responsabili di un vero e proprio genocidio?
Il “giorno del ricordo”, che in Italia si celebra il 10 febbraio dal 2006, rappresenta il principale cavallo di Troia del revisionismo storico che di fatto tenta di riabilitare il fascismo coloniale, va abolito e non trasformato in un giorno del ricordo di “tutte le memorie”, come qualcuno oggi propone, perché ciò significherebbe mescolare i valori dell'antifascismo con la barbarie del nazifascismo. È questa riscrittura della storia che ha portato, ad esempio, alla risoluzione dell'europarlamento del 2019 che accomuna il comunismo al nazismo e vieta l'uso dei simboli comunisti, vale a dire che mette sullo stesso piano i fascisti con coloro che hanno dato un contributo determinante alla Liberazione del continente dal mostro nazifascista.
Oggi più che mai, con i neofascisti al potere nel nostro Paese dei quali il governo Meloni è l’espressione, gli antifascisti di ogni appartenenza politica hanno il compito di mantenere viva e vigile la memoria, a partire dal distinguere nettamente i carnefici dalle vittime, come tra coloro che combatterono per opprimere e coloro che lo fecero per resistere a quella stessa oppressione.
 
Partito marxista-leninista italiano
Cellula “F. Engels” della Valdisieve
Rufina, 9 febbraio 2023