In 103 città d'Italia
In piazza per la pace in Ucraina ma la piattaforma non è quella giusta
A Genova, Milano, Firenze e Catania ampio volantinaggio sulla posizione del PMLI sull 'Ucraina
A un anno dall'invasione imperialista della Russia neozarista all'Ucraina, il movimento pacifista Europe for Peace ha coordinato una nuova mobilitazione che ha visto scendere in piazza centinaia di migliaia di persone per chiedere “pace immediata” e “disarmo”. In Italia si sono svolte iniziative in oltre 100 città, fra le quali Genova, Roma, Milano, Torino, Napoli, Bari, Cagliari, Palermo, Firenze, Catania e tante altre in Europa, a partire dalle 20 in Germania, Spagna e Portogallo, ed una quindicina in Francia, alle quali si sono aggiunte anche Londra, Bruxelles e Vienna.
Le iniziative aperte dalla marcia Perugia-Assisi
L'iniziativa che ha aperto le giornate di mobilitazione è stata l'edizione straordinaria della marcia Perugia-Assisi alla quale hanno partecipato tantissime associazioni cattoliche e laiche come la Comunità di Sant'Egidio, ANPI, ARCI, Movimento Nonviolento, Emergency assieme a tante altre, che si è svolta a cavallo fra il 23 e il 24 febbraio in notturna e partecipata da un migliaio di attivisti il cui striscione di apertura conteneva un perentorio “Fermiamo le guerre”. Nelle sue dichiarazioni Sergio Bassoli, coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo e portavoce di Europe for Peace, ha affermato che la prima richiesta della mobilitazione rimane l'immediato cessate il fuoco, al quale si aggiungono la de-escalation militare e rapidi negoziati, anche perché “il rischio di un conflitto nucleare è concreto”. Non manca il sostegno alla popolazione ucraina – affermato soprattutto da Silvia Stilli, portavoce delle ONG italiane -, anche se nel manifesto dell'iniziativa non figurava alcuna parola o frase che condannasse a fondo l'aggressione russa, e tanto meno le ragioni del Paese aggredito a difendersi. Una marcia sinceramente protesa per “la pace”, che però rimane astratta e inserita in un contesto che non fa differenza fra aggrediti e aggressori, vittime e carnefici e rilanciando al pari di tutte le altre iniziative il concetto di “tutte le guerre”, senza differenza alcuna, come se le responsabilità del conflitto fossero divise alla pari fra la Russia imperialista e l'Ucraina che resiste.
Le principali manifestazioni in Italia ed in Europa
A Genova
sono arrivati in 13 mila per la mobilitazione indetta dal Calp, il Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali, che già in passato aveva promosso manifestazioni e proteste contro l’invio di armi verso Paesi in guerra. “Le guerre si fermano con le rivoluzioni”, “Stop Bahri”, in riferimento alle navi della flotta saudita adibite al trasporto di pezzi di armamenti e “Fuori l’Italia dalla Nato”, sono stati alcuni slogan dell'iniziativa. La manifestazione era stata aperta e rilanciata dall'ulteriore slogan, “Abbassate le armi, alzate i salari”. Tra i partecipanti, tante bandiere dei Cobas, Usb, le rappresentanze dei portuali di Livorno e Civitavecchia, collettivi studenteschi ed “antagonisti” e una rappresentanza di lavoratori ex-Gkn di Campi Bisenzio. Lo spezzone di Unione Popolare sorreggeva uno striscione sul quale vi era scritto “Fermiamo la guerra ora! No all'invio delle armi, via dalla NATO”; anche qui nulla che criticasse in maniera chiara l'aggressione imperialista di Putin e lo inchiodasse alle sue responsabilità. Per la prima volta il PMLI è sceso in piazza a Genova con i compagni dell'Oganizzazione della provincia di Genova (vedi articolo a parte).
A Firenze
, si è svolta la manifestazione molto partecipata fra quelle promosse dalla rete Europe for Peace. Duemilacinquecento persone si sono concentrate nel capoluogo toscano per dire “sì” alla pace e “basta” alla guerra in Ucraina e in tutti i conflitti mondiali. Una parola d'ordine astratta, per una piazza sostanzialmente pacifista, che ha visto anche la partecipazione di alcune associazioni cattoliche e della CGIL. Presente anche una delegazione del PMLI (vedi articolo a parte).
A Milano
un corteo di bandiere gialle e blu ha invaso il centro, per commemorare il “primo, triste anniversario della guerra d’invasione su larga scala avviata dalla Federazione russa in Ucraina”. Alla manifestazione, convocata dall’associazione Uami, che da un anno ogni sera si ritrova in piazza del Duomo, hanno partecipato oltre mille persone che hanno potuto ascoltare numerose testimonianze di donne e uomini ucraini e di ciò che è veramente la guerra di Putin. Nel pomeriggio di venerdì 24 febbraio si è svolto il presidio organizzato da "Europe for Peace" in Piazza Santo Stefano a cui hanno partecipato con cartello e volantinaggio le compagne e i compagni della cellula milanese del PMLI (articolo a parte).
A Roma
, duecento ragazzi della Comunità di Sant'Egidio hanno inscenato a Termini un flash-mob, mentre in serata, è partita dai Fori Imperiali la fiaccolata che ha concluso la tre giorni di iniziative della rete Europe for Peace. Numerose bandiere arcobaleno, della Cgil, della comunità di Sant’Egidio, di Emergency e le parole “pace” e “no alla guerra” hanno animato il corteo aperto dallo striscione del movimento sorretto dal sindaco Roberto Gualtieri, dal segretario della Cgil, Maurizio Landini, e dal fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi. In piazza del Campidoglio nel comizio finale, Landini ha detto: “Noi non siamo solo pacifisti, noi siamo radicalmente contro qualsiasi guerra e l’obiettivo che vogliamo realizzare è superare la guerra come strumento di regolazione dei conflitti tra gli Stati”. Anche Landini affonda dunque sul concetto di pace in astratto, senza una parola sull'indispensabile ritiro da parte dell'occupante russo che da solo farebbe cessare definitivamente il conflitto.
Oltre mille hanno sfilato a Catania
, e a cui hanno partecipato militanti e simpatizzanti della Cellula “Stalin” della provincia di Catania (vedi articolo a parte).
In Europa la più alta partecipazione si è registrata a Berlino con diecimila partecipanti all’insegna dello slogan “Sì alla diplomazia, no all’invio di armi”. La manifestazione, alla porta di Brandeburgo, è stato organizzata da un’esponente politica del partito di sinistra Die Linke, e dall’attivista femminista Alice Schwarzer, che due settimane fa avevano pubblicato un “Manifesto per la pace” nel quale chiedevano al cancelliere Olaf Scholz di “fermare l’escalaton di forniture di armi”, il cessate il fuoco e l’avvio di negoziati con la Russia.
Per una pace giusta e duratura serve un'altra piattaforma
Tante persone con bandiere colorate d'arcobaleno hanno dato dunque vita ad una grande tre giorni di mobilitazione che, al pari della manifestazione nazionale del 5 novembre scorso a Roma, è stata il punto di convergenza di tantissime e tantissimi giovani, donne e uomini in buona fede che auspicano un mondo senza guerre, di pace, di giustizia sociale. Anche stavolta però la piattaforma e le parole d'ordine dei promotori sono state insufficienti e a nostro avviso sostanzialmente sbagliate e fuorvianti, andando a fare, in fin dei conti, il gioco dell'aggressore.
La domanda da porsi oggi è la stessa che il movimento “per la pace” avrebbe dovuto porsi anche a novembre, e cioè: quale pace serve affinché essa sia giusta, definitiva e soprattutto duratura?
Il comune denominatore di ogni iniziativa è stato la richiesta dell'immediato “cessate il fuoco” per poi iniziare a negoziare. Ma a chi gioverebbe questo tipo di “pace” in questo momento? All'Ucraina aggredita, devastata ed occupata, oppure a Putin che ad oggi si è impossessato di una larga parte di territorio dell'Ucraina dell'Est cruciale per avviare il suo disegno neozarista? La popolazione coinvolta – che in ogni caso è quella ucraina – otterrebbe così una pace sicura, libera e soprattutto duratura?
Mario Giro, della Comunità di Sant'Egidio, ha detto che tutte le guerre degli ultimi decenni si sarebbero concluse “con la fuga delle grandi potenze uscite di scena dopo anni se non decenni di combattimenti ed occupazioni lasciando alle spalle solo distruzione e morte”. L'ex vice-ministro dei governi Renzi e Gentiloni si riferiva al Vietnam, all'Iraq e all'Afghanistan è ciò che ha detto è assolutamente vero; ma allora perché non chiedere anche oggi come allora il ritiro immediato delle truppe di occupazione russe, chiarendo in questo modo innanzitutto dove sta la responsabilità del conflitto, ma rispettando anche la legittima posizione dell'Ucraina di ripristinare i propri confini e la propria indipendenza, e del suo popolo che resiste da un anno senza capitolare alla superpotenza zarista? Sbaglia chi afferma che l'Ucraina non è crollata solo perché ha combattuto armata fino ai denti dall'imperialismo occidentale; lo stesso Putin data l'enorme disparità di armamenti in grande favore dell'armata zarista, aveva ipotizzato di occupare l'Ucraina con una sorta di guerra-lampo; eppure l'Ucraina ha dato fin da subito, e quindi ben prima che iniziassero le forniture estere, gran filo da torcere agli occupanti, segno che in questo momento il popolo ucraino lotta per l'indipendenza a fianco del suo governo. Una volta libera, indipendente, sovrana e integrale, spetterà sempre al popolo ucraino e a nessun altro decidere del proprio destino e i propri rappresentanti.
Per quale motivo oggi, di fronte ad una guerra così chiaramente di stampo imperialista, la richiesta del ritiro immediato dell'esercito di Mosca dai confini ucraini non è in cima a tutte le piattaforme di pace? Eppure basterebbe questo a far terminare la guerra e andare poi a trattare sulla base degli interessi della parte aggredita. Non tutti coloro che non comprendono a fondo questa enorme contraddizione, la principale, che a noi pare evidente e chiara come la luce del sole, sono agenti prezzolati al soldo di Putin; noi ci rivolgiamo agli altri, a tutti quelli che hanno veramente a cuore il popolo ucraino, i suoi interessi e soprattutto che non vogliono legittimare questa sanguinaria occupazione. Per questi motivi il “cessate il fuoco immediato”, in ultima analisi, favorisce Putin e le sue mire annessioniste; non sfugge a nessuno infatti che egli ha già dichiarato al mondo intero che Donbass e Crimea gli appartengono, e che sono parti integranti essenziali del suo progetto da “Grande Russia”. Chi può essere così sciocco da pensare che una volta deposte le armi, gli accordi internazionali dei quali si è infischiato da un anno, faranno bonariamente ritirare i russi dalle terre occupate che Putin considera annesse per volontà referendaria? E se Putin manterrà tali territori con queste dinamiche d'invasione e di massacri di stampo nazista, cosa gli impedirà di farlo ancora in Moldavia o in Transnistria, per giunta sotto il ricatto nucleare?
In questa ottica si inserisce anche la parola d'ordine della manifestazione indetta dai CALP, “Giù le armi, su i salari”, un gioco di parole efficace ma non chiaro perché mescola le carte, unendo in una sola parola d'ordine due questioni tra loro ben distinte. Tra l'altro i contenuti della piattaforma – ad eccezione del giusto caposaldo dell'opposizione all'invio delle armi – mettono al centro l'aumento dei costi che deriverebbero dalle conseguenze della guerra fra Nato e Russia, omettendo di denunciare anche in questo caso, sopra ogni altra questione, chi è l'aggressore e quindi il responsabile ultimo della guerra e di tutte le sue conseguenze. Naturalmente noi concordiamo con le rivendicazioni salariali, sull'inaccettabile aumento dei prezzi e con la denuncia dei profitti da capogiro dell'industria bellica e delle grandi banche d'affari. Ma per ottenere questi obiettivi non è certo sufficiente un generico “deporre le armi” che non c'entra nulla, bensì sviluppare una lotta di classe incisiva contro il capitalismo che sappiamo essere anche nel cuore e nelle aspirazioni dei CALP stessi. anche noi siamo contrari dell'invio di armi da parte dell'Italia. Ma riteniamo che L'Ucraina abbia il diritto di richiedere e ricevere armi per difendersi dall'aggressione zarista. Anche noi chiediamo al governo Meloni, come l'abbiamo chiesto al governo Draghi, di rompere le relazioni politiche economiche, commerciali e diplomatiche con la Russia.
Fra l'altro Il Fatto quotidiano
, megafono di Putin fin dall'inizio della guerra, ha colto al balzo l'occasione per rilanciare come unica dichiarazione in un articolo redatto all'indomani dell'iniziativa genovese, la frase di un partecipante che affermava: “Siamo qua a portare la nostra solidarietà alla lotta del CALP contro questa guerra che ogni giorno ci viene raccontata in maniera unidirezionale. Il problema è diventato solo Putin, se aumentano le bollette il problema è sempre Putin, ma noi sappiamo bene che il problema è un altro ed è questo sistema che produce questa guerra”.
Uniti per una pace giusta
“La pace è l'unica vittoria di cui abbiamo bisogno”, recita uno slogan trasversale di queste manifestazioni; ma la pace vera, giusta, duratura e definitiva potrà esserci solo se l'aggressore sarà ricacciato entro i propri confini e l'Ucraina tornerà ad essere, fra le sue mille contraddizioni di classe, un Paese libero, indipendente, sovrano ed integrale. Per questo, prima di qualsiasi negoziato, se non espressamente richiesto dall'Ucraina, tutto il mondo progressista, pacifista, che ama la pace e la fratellanza fra i popoli, non può non mettere come primo punto della propria piattaforma il ritiro delle truppe russe entro i propri confini.
Non concordiamo pertanto con le dichiarazioni di Giulio Marcon di Europe for Peace che alla presentazione ufficiale dell'iniziativa di Bologna ha affermato “Quella in Ucraina è una guerra che non si può vincere (…) se prevalesse il negoziato sarebbe una pace di compromesso, ma meglio una pace ingiusta che una guerra giusta”. Secondo noi invece, senza il ruolo protagonista di Kiev, ciò significherebbe dare il via ad una nuova escalation di guerre di occupazione, nel caso in cui Putin riuscisse a mantenere i territori invasi infischiandosene di ogni norma internazionale come peraltro fatto fino ad adesso.
1 marzo 2023