Sardegna
Gli operai della Portovesme in lotta per il lavoro

I quattro operai che si erano asserragliati a cento metri di altezza sulla ciminiera dell'impianto Kss della Portovesme srl a Portoscuso, il paese del Sulcis dove si trova il sito industriale, nel sud della Sardegna, hanno deciso di interrompere la protesta. Una decisione presa non in segno di resa, ma per concedere al governo e alla Regione un po' di tempo per agire, che tuttavia non sarà illimitato, “pronti nel caso - promettono - a nuove iniziative".
Il blitz era cominciato la mattina presto di quattro giorni prima, anticipando di qualche ora lo stop della produzione e gli ammortizzatori sociali programmati dall’azienda. Per sostenere l’azione dei loro compagni, gli altri operai della Portovesme srl si sono riuniti in assemblea permanente insieme ai lavoratori dell’indotto.
Tutta la vicenda ruota attorno ai costi energetici della fabbrica, controllata dalla multinazionale svizzera Glencore, e specializzata nella produzione di piombo, zinco, oro, argento, rame e acido solforico tra l’impianto di Portovesme e quello di San Gavino, passati dagli iniziali 47 euro a megawattora a cifre che hanno raggiunto anche i settecento euro a megawattora. Una situazione che ha spinto l’azienda a ridurre progressivamente la produzione e avviare un piano per ridurre i costi con il ricorso alla cassa integrazione per circa 600 dipendenti a rotazione. In seguito siamo arrivati allo stop dell’ottanta per cento degli impianti dal 1° febbraio di quest'anno e il ricorso alla cassa integrazione per tutti i lavoratori a partire dal 28 febbraio 2023
Rischiano il posto di lavoro 1300 lavoratori diretti più altri 500 dell'indotto. La chiusura dello stabilimento significherebbe la cancellazione del polo industriale dell'alluminio del Sulcis, da anni in profonda agonia. Questa situazione viene da lontano, ed è il frutto amaro delle privatizzazioni degli anni ’90. Il complesso, che si chiamava Alumix, era in mano all'Efim, una partecipata dello Stato, che aveva costruito anche una centrale elettrica per alimentare la fabbrica. Poi l’Efim viene privatizzata e viene privatizzata anche la Alumix, a pezzi. L’Eurallumina, in testa al ciclo, che estrae l’ossido di alluminio dalla bauxite, viene venduta ai russi della Rusal. La trasformazione dell’ossido di alluminio in alluminio, cioè la fabbrica vera, va alla multinazionale americana Alcoa, leader mondiale. Intanto la Glencore si prende la Portovesme. Tutte fabbriche energivore.
A un certo punto l’Unione Europea interviene e dice che il governo italiano, fornendo elettricità con lo sconto, distorce la libera concorrenza. La prima a mollare è l’Eurallumina: ha fermato la produzione nel 2009, da allora politici regionali e nazionali di ogni colore annunciano ogni anno l’imminente ripresa della produzione che, 14 anni dopo, ancora non c’è stata. Poi Bruxelles fa una mega multa all’Alcoa, sempre perché con l’elettricità sovvenzionata falserebbe il libero mercato. Alcoa a quel punto decide di andarsene, visto che ha fabbriche di alluminio in tutto il mondo, per esempio in Islanda dove l’energia è geotermica e quasi gratis, e quindi della fabbrica del Sulcis non sa che farsene. Siamo all’inizio del 2010, sono passati 13 anni, dei duemila operai rimasti a piedi allora ne sono tornati al lavoro un centinaio scarsi, chissà per quanto tempo.
In questi anni sono stati persi migliaia di posti di lavoro che hanno trasformato la provincia del Sulcis Iglesiente (capoluoghi Carbonia e Iglesias) nella più povera d'Italia, con 130mila abitanti e 40mila disoccupati. Per questo i lavoratori stanno attuando tutte le forme di protesta possibili, perché sono stanchi di essere presi in giro, sono stanchi delle passerelle e delle promesse dei politici che alla fine si dimostrano succubi e servi del capitale. Per il momento la clamorosa protesta ha ottenuto qualche risultato: il ministro del Lavoro D’Urso si sarebbe speso per strappare all'azienda, entro i dieci giorni che s’è preso per sbloccare la vertenza, l’impegno a riattivare le linee di produzione e a sospendere il ricorso agli ammortizzatori sociali. I lavoratori però restano in attesa di verificare l’attendibilità degli impegni presi dal governo.
Adesso si parla di un futuro di estrazione del prezioso litio per le batterie da batterie usate, anche in questo caso una prospettiva tutta da verificare e oltretutto si tratta di un attività altamente inquinante. Per l'immediato le possibili vie d’uscita proposte dal governo sono quelle di far leva sul principio di insularità inserito in Costituzione che riconosce alle isole un gap strutturale da colmare con misure straordinarie. Tra le quali potrebbero esserci un’estensione del credito di imposta sino al 45% del costo dell’energia e il ricorso a pratiche di raffreddamento dei prezzi in deroga alle norme dell’Ue che vietano gli aiuti di Stato alle imprese. Al momento però c’è solo la generica indicazione di un percorso.
I lavoratori non hanno alcuna intenzione di rinunciare alla lotta. Nel comunicato diffuso durante l'occupazione della ciminiera si legge: “A oggi i livelli istituzionali non hanno messo in campo nessuna iniziativa finalizzata a modificare le azioni dell'azienda. Le procedure di Cassa Integrazione sono partite mettendo addirittura in taluni casi i lavoratori gli uni contro gli altri, come si è potuto constatare in questi giorni negli appalti, anello debole del sistema produttivo che andrebbe maggiormente tutelato così come i lavoratori somministrati”. E i lavoratori non intendono accettare come soluzione “la mortificante cassa integrazione, nella migliore delle ipotesi, ma il lavoro dignitoso”. Mentre i quattro operai scesi dalla ciminiera hanno ribadito: “Vorremmo ricordare alla premier Giorgia Meloni le promesse che ci ha fatto quando, ancora all’opposizione, è venuta in Sardegna, qui in azienda. Ci aspettiamo che quelle promesse vengano mantenute”.
“Chiediamo al governo, - incalzano le segretarie territoriali dei chimici di Cgil, Cisl e Uil - di intervenire rapidamente e di utilizzare tutti gli strumenti per arrivare a una soluzione che assicuri alle attività produttive metallurgiche della Sardegna, vere eccellenze delle produzioni italiane, pari opportunità rispetto alle altre imprese del settore”. Un polo di questo tipo, aggiungiamo noi, deve essere considerato strategico e posto sotto gestione pubblica, in considerazione anche del suo ruolo in una regione con alta disoccupazione, e di una lavorazione ad alto impatto ambientale, che richiede un gestione avanzata, attenta al territorio e alla salute di lavoratori e cittadini.

8 marzo 2023