Con la morte di Mao la Cina e il mondo intero hanno perso una grande sorgente di luce
di Ugo – Genova
Abbiamo chiesto al compagno Ugo di Genova, da poco tempo lettore assiduo de “Il Bolscevico”, una sua riflessione su Mao. Qui di seguito quanto ci ha scritto.
Egli racconta, con una vena emotiva e poetica, una bella esperienza della sua cellula di allora per commemorare Mao quando morì. Moltissimi dei seguaci e degli allievi italiani di allora si sono dispersi in vari organismi e movimenti.
Ma è un'occasione per ritornare con la mente ad allora e ritornare a Mao.
Se volessimo usare un linguaggio, che possa andare oltre al semplice senso delle parole, si potrebbe affermare che il pianeta Cina, e le masse popolari di tutto il mondo, con la morte di Mao Zedong, avvenuta il 9 Settembre del 1976, hanno perso una grande sorgente di luce.
Una sensazione indefinibile come se la scomparsa del Grande Timoniere avesse introdotto, fra le masse popolari dell’intero pianeta, un lungo brivido di inquietudine, come se, quei segnali, avessero ricordato che il mistero della morte potrebbe persino arrivare ad arrestare il corso della storia.
Era il 1976. Che il Presidente Mao Zedong fosse malato si sapeva. Ma, sarà che all’epoca avevo 19 anni, e sarà che il quel periodo ero impegnato a studiare proprio le sue opere, il fatto mi colse come impreparato. Come se quell’evento non potesse accadere. Saputa la notizia, con i compagni della cellula, si decise di convocare, per la serata, una riunione del Direttivo: dovevamo decidere come intervenire, cosa fare per ricordare l’insegnamento del compagno Mao. Ricordo quella sera. Si era come spaesati. Ci sentimmo, a ragione, come orfani. Per molti di noi il maoismo non era solo pensiero e pratica politica. Ma pure purezza, forza morale, intelligenza.
Decidemmo di preparare un volantino, ma soprattutto un dazebao. Dispiegammo sul pavimento, della nostra sede, dodici fogli di manifesti bianchi distendendoli in maniera da formare un grande rettangolo. Quindi ci facemmo da parte e dalle abili mani della compagna Andreina cominciò ad apparire, e prendere forma, ciò che intendevamo riprodurre sul nostro dazebao. La scelta non poteva che essere la più ovvia. La più pulita. La più suggestiva. La più bella immagine del Grande Timoniere; il profilo di Mao Zedong sorridente, con la sua casacca rossa e il suo braccio sollevato intento a salutare i compagni che sfilano in rassegna. Tracciato il disegno iniziammo, sotto la rigida, e competente, supervisione della compagna Andreina, a dipingerlo. Impiegammo almeno due ore. Poi demmo il tempo al colore di asciugarsi.
Fu intorno alle 5 del mattino che si decise il passo successivo. Arrotolammo i dodici manifesti, prendemmo pennelli e un secchio di colla, e con due scale portate sulle spalle ci dirigemmo al nostro muro di affissione. Collocato, in una ampia curva, sembrava eretto appositamente per essere scorto e notato da chiunque uscisse dal quartiere per andare a lavorare, per recarsi a scuola, o semplicemente per dirigersi verso il centro cittadino: Genova.
Quel muro altro non era che una parete perimetrale di una casa a due piani di proprietà di un compagno; un ex-partigiano di nome Bruno. Quando, anni prima, gli chiedemmo il permesso di utilizzare quel muro per attaccare, di volta in volta, i nostri dazebao, si mostrò entusiasta, persino si propose di difenderli contro le azioni vandaliche dei fascisti (ma non solo contro di loro, a tentare di staccare i nostri manifesti di propaganda ci provavano anche presunti e finti personaggi che si dicevano di sinistra). Terminata l’affissione ci spostammo in mezzo alla strada per vedere l’effetto, per cogliere possibilmente appieno il valore del dazebao. Mao sorrideva e sembrava che sorridesse proprio a noi e che dicesse: “Il mondo è vostro, come è nostro, ma in ultima analisi è vostro. Voi giovani, pieni di vigore e vitalità, siete nel fiore della vita, come il sole alle otto o alle nove del mattino. Le nostre speranze sono riposte in voi… Il mondo vi appartiene”.
Un compagno, non ricordo chi fosse, disse, “Compagni abbiamo fatto un buon lavoro”. Spontaneamente, alzando il pugno, sorse in me, e in tutti gli altri compagni, una breve risposta “Abbiamo servito il popolo”. Ricordo che, a questo punto, la compagna Andreina pianse.
Del Presidente Mao Zedong ci rimangono i saggi sulle contraddizioni, sulle masse, sul Partito, sulle donne e tanti altri scritti. Ci rimane anche la sua saggezza, la sua forza morale e, permettetemi di affermarlo, pure la simpatia che emanava, il suo sorriso. Ci rimangono pure le sue citazioni contenute nel suo famoso Libretto Rosso
. Raccolta di pensieri, brani di interventi, che hanno contribuito alla conoscenza e alla formazione politica di tanti comunisti.
Ancora oggi, a distanza di anni, sfogliandolo e leggendo quelle citazioni, mi accorgo della loro contemporaneità, della saggezza contenuta in quelle, apparentemente, semplici parole, della capacità, che hanno, di non divenire mai superate, ma piuttosto di essere già pronte per affrontare il futuro e i problemi dell’intera umanità.
Il compagno Presidente Mao Zedong, a ben ragione, ha servito davvero il popolo.
5 aprile 2023