A rischio 1450 posti di lavoro tra Portoscuso e San Gavino
Gli operai di Portovesme bloccano i cancelli a oltranza
In risposta all'ennesimo fallimento del tavolo di crisi convocato dal Mimit il 24 marzo, gli operai della Portovesme srl, il 27 marzo si sono riuniti in assemblea plenaria e dopo aver raggiunto in corteo i varchi d'ingresso per i mezzi pesanti dello stabilimento di Portoscuso hanno deciso di bloccare a oltranza i cancelli e impedire il passaggio dei camion carichi di galena (il principale materiale che alimenta l’impianto) l’unico rimasto in Italia a produrre piombo e zinco.
A rischio ci sono 1450 posti di lavoro tra gli impianti dell’area industriale di Portoscuso e quelli di San Gavino nella provincia del Medio Campidano.
La mobilitazione generale dei lavoratori ha costretto il ministero a convocare a Roma i vertici della Glencore (la multinazionale anglo-svizzera che controlla la Portovesme srl).
In attesa dell'incontro, avvertono i lavoratori, la fabbrica di Portoscuso rimane occupata e in assemblea permanente. Mentre a San Gavino, dove c’è la fonderia per piombo, zinco, oro e argento, i lavoratori restano accampati, con le tende, sui tetti dello stabilimento.
In una nota la Rsu della fonderia di San Gavino dichiara lo stato di agitazione "con un'assemblea permanente all'interno dello stabilimento in attesa che l'azienda riveda la propria presa di posizione unilaterale". La decisione è stata presa "visto l'esito negativo dell'incontro avvenuto al Mimit, la presa di posizione dell'azienda nel non riavvio degli impianti fermi o in manutenzione, la comunicazione pervenuta in questi giorni sull'apertura della Cigs, con conseguenti proposte di cassa a zero ore senza un margine di trattativa per tutti i lavoratori coinvolti, e l'imminente cessazione del rapporto di lavoro degli interinali e ditte di appalto".
In particolare, come è emerso nel corso dall’assemblea plenaria, i lavoratori chiedono al governo e alla Glencore di fare chiarezza sulle sue reali intenzioni di “riconversione” dello stabilimento. Da diversi mesi il gruppo ha fatto sapere che vuole cambiare assetti produttivi. Intende riconvertire la produzione passando dal piombo e dagli altri metalli alle batterie al litio-cadmio, nuova frontiera in vista della svolta verso le energie green che la Ue dichiara di voler perseguire. Il sospetto degli operai è che Glencore voglia tagliare il personale impiegato nella vecchia linea produttiva per poi utilizzare l’organico “asciugato” nella realizzazione di batterie. Se così fosse, il costo troppo elevato dell’energia che Glencore dice essere il motivo del blocco degli impianti e della cassa integrazione sarebbe solo un paravento. Un’ipotesi avvalorata dal fatto che, con le condizioni proposte venerdì dal governo (credito di imposta al 45 % e compensazioni legate alla gestione della rete di distribuzione dell’energia elettrica da parte di Terna) Glencore verrebbe a usufruire di una tariffa molto favorevole: 55 euro a kilowattora contro uno standard sul mercato di 124 euro. Se nonostante questo i manager del cantone Zugo restano fermi sulla loro linea, è più che lecito pensare che il problema vero non sia il costo dell’energia.
In ogni caso, fanno sapere ancora i lavoratori, noi siamo pronti a nuove azioni di lotta e ad alzare il tiro della protesta. Stiamo preparando altre iniziative, manifestazioni e anche uno sciopero generale.
“La Glencore dimostri senso di responsabilità e riavvii gli impianti della Portovesme oggi fermi, dando corso al graduale rientro in attività dei lavoratori dalla cassa integrazione – ha aggiunto fra l'altro Fausto Durante segretario della Cgil sarda - La dinamica dei costi attuali per l'energia elettrica dimostra che riprendere le produzioni subito è possibile e necessario: ogni ulteriore ritardo è assolutamente ingiustificato”.
5 aprile 2023