Allagamenti, frane, centinaia di sfollati, 2 morti
Devastante alluvione in Emilia-Romagna
Ravenna la più colpita
Dal corrispondente del PMLI per l'Emilia-Romagna
Le forti precipitazioni che tra il 3 e il 4 maggio si sono riversate in Emilia-Romagna e in particolare su diverse zone di Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara e in particolare di Ravenna e Forlì-Cesena, potevano risultare imprevedibili, ciò che era prevedibile erano le devastanti conseguenze poiché i territori del nostro Paese non sono mai nelle condizioni di far fronte a questi eventi, improvvisi sì ma oramai diventati una “regola” soprattutto a fronte dei cambiamenti climatici.
Causa intense piogge cadute nell'arco di 2 giorni si sono verificate esondazioni, allagamenti e frane in numerosi comuni a ridosso dei fiumi, in particolare a straripare e a riversarsi nei campi, ma anche nei centri abitati limitrofi, sono stati i fiumi Lamone, Montone, Senio e Sillaro, che hanno colpito duramente Faenza, Bagnacavallo, Conselice, Castel Bolognese, Modigliana, queste sono solo le zone maggiormente colpite. Un po’ ovunque vi sono stati esondazioni, allagamenti, frane nelle zone collinari, con i campi divenuti fiumi, case con l’acqua che arrivava sino al primo piano, alcune rimaste senza acqua e gas per la rottura di tubazioni in seguito agli smottamenti, abitazioni e strade distrutte dalle frane, auto sommerse dall’acqua, centinaia di sfollati e anche 2 morti, uno a Castel Bolognese dove un 80enne è stato travolto in bicicletta dalla piena del fiume Senio, mentre a Fontanelice un 78enne è stato trovato sotto le macerie della sua abitazione crollata in seguito ad una frana.
Anche la circolazione ha subìto ripercussioni con la chiusura di ponti e strade, allagato un tratto della diramazione per Ravenna sull'A14, chiuse anche le tratte ferroviarie minacciate dalle piene, con migliaia di passeggeri bloccati nelle stazioni di Forlì e Faenza.
A questo ennesimo disastro ha fatto seguito la solita scia di “lacrime di coccodrillo” delle istituzioni borghesi che si appellano all’eccezionalità degli eventi climatici ma non hanno scuse valide per giustificare la loro incompetenza da una parte e dall’altra le responsabilità per l’incuria dei territori e l’inadeguatezza a fronteggiare simili situazioni, che si verificano oramai regolarmente,seppur colpendo di volta in volta territori diversi.
Il governatore PD dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini che ha chiesto lo stato di emergenza nazionale poi firmato dal ministro per la protezione civile e per le politiche del mare Nello Musumeci, ha ricevuto le telefonate dalla Meloni e di Mattarella, mentre è giunto sul posto il capo della protezione civile Fabrizio Curcio.
Il “piagnisteo” delle istituzioni borghesi, sia della “sinistra” che della destra del regime neofascista, e del governo neofascista Meloni, che sinora più che della cura del territorio si è speso per far ripartite lo sciagurato progetto del ponte sullo Stretto di Messina, per delegittimare e attaccare la Resistenza e il 25 Aprile, precarizzare ulteriormente il lavoro e via dicendo, ha fatto da contraltare alla solidarietà verso le popolazioni colpite verso le quali in tanti si sono messi subito al lavoro per aiutare chi si trova nelle situazioni peggiori.
Le precipitazioni del 3 e 4 maggio hanno avuto un carattere eccezionale, con 140 millimetri di acqua caduta in 36 ore, superando in alcune aree i massimi storici, e la siccità che aveva caratterizzato in particolare l’ultimo anno ha reso il terreno più secco e quindi meno in grado di assorbire le piogge, ciò che invece non può essere ascritto alle “calamità” sono in particolare il sistema di allerta alle popolazioni che è risultato inadeguato, infatti in molti hanno lamentato di non essere stati avvertiti del pericolo imminente, costituito dalla esondazioni dei fiumi e dalle frane che hanno travolto tutto ciò che trovavano lungo il loro cammino, cose e persone, e soprattutto il cedimento degli argini dei fiumi che si dimostrano inadeguati a difendere le popolazioni e i territori limitrofi.
Qualcuno, come il sindaco di Massa Lombarda, nel ravennate, ha tirato in ballo gli animali selvatici che con lo scavare le proprie tane avrebbero indebolito gli argini dei fiumi, ma è ben chiaro invece, secondo molti tecnici, come sia piuttosto la struttura degli argini a non essere adeguata, progettati cioè in altezza piuttosto che nello spessore, fondamentale per assorbire l’acqua, e nell’incuria degli stessi, così come andrebbero fatti interventi per gestire i territori vicini ai fiumi.
Basti pensare che tra il 2021 e il 2022 l’Emilia-Romagna ha dovuto restituire al ministero delle Infrastrutture 55,2 milioni di euro di un finanziamento di 71,9 milioni di euro ricevuto dallo Stato per la manutenzione e la messa in sicurezza dei corsi di acqua della Regione, perché la giunta regionale guidata da Bonaccini e dalla vicepresidente Elly Schlein, ora segretaria PD, non è stata capace di spenderli nei tempi previsti come stabilito dai contratti di finanziamento a carico dello Stato.
Ad influire nel potere di assorbimento del terreno non è solo la siccità, ma anche la sua urbanizzazione, che oltre a render impermeabile il terreno rende molto più veloce lo scorrere dell’acqua. In base ai dati dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) proprio l’Emilia-Romagna nel 2021 è stata la terza regione italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale, ed è la prima regione in Italia per cementificazione in aree alluvionali, più 78,6 ettari nel 2021 nelle aree ad elevata pericolosità idraulica; più 501,9 in quelle a media pericolosità. In pochi anni la Regione è arrivata ad avere una superficie impermeabile dell’8,9% contro una media nazionale del 7,1%.
La provincia di Ravenna, quella più colpita, è stata la seconda provincia regionale per consumo di suolo nel 2020-2021 (più 114 ettari, pari al 17,3% del consumo regionale) con un consumo procapite altissimo (2,95 metri quadrati per abitante all’anno) ed è quarta per suolo impermeabilizzato procapite (488,6 m²/ab).
Il 19 dicembre del 2017 la giunta regionale (PD) dell’Emilia-Romagna aveva varato la legge sull’urbanistica (con in consenso di Confindustria e sindacati) “Disposizioni regionali sulla tutela e l’uso del territorio” entrata in vigore dal 1° gennaio 2018 con queste parole del (anche) allora presidente Bonaccini: “Oggi è una giornata importante per l’Emilia-Romagna. Decidiamo di invertire la tendenza e di frenare il consumo di suolo, scegliendo un modello di sviluppo sostenibile... Vogliamo portare avanti un’idea di uso intelligente del suolo e il tetto che abbiamo previsto del 3% quale percentuale di territorio urbanizzato nei Comuni ci rende la Regione più avanzata nella sfida contro la cementificazione e l’espansione urbanistica”. Introducendo però una fase transitoria di tre anni durante i quali i Comuni hanno beneficiato di procedure semplificate e di un periodo “franco” per poter attuare le previsioni dei Piani oggi vigenti, con il rischio, denunciato anche dall’Organo del PMLI nell’articolo pubblicato sul n° 6 del 2018 de “Il Bolscevico”: “di tre anni di urbanizzazione selvaggia, dopodiché perderanno il potere decisionale sulla gestione del territorio passando da pianificatori (Prg) a mediatori coi privati che propongono iniziative.
Per non parlare delle numerose deroghe che fanno assomigliare la nuova legge sull’urbanistica più a un ‘colabrodo’ che a una ‘diga’ contro la cementificazione: ad esempio le opere pubbliche e i parchi urbani, gli insediamenti strategici di rilievo regionale e gli ampliamenti delle attività produttive esistenti non concorreranno al raggiungimento del limite del 3%, vi sarà la possibilità di costruire nuovi fabbricati se funzionali alle aziende agricole o se inseriti in un piano di ammodernamento dell’attività rurale. Per i progetti, agricoli o urbani, varrà lo scomputo dei contributi di costruzione fino al 50% dei costi sostenuti per lo svolgimento di concorsi di progettazione. Di fatto il limite al consumo di suolo è solo virtuale mentre il sostegno ad un’ulteriore urbanizzazione delle imprese è reale, con una legge incostituzionale che toglie potere decisionale ai Comuni, per questo bocciamo la nuova legge urbanistica dell’Emilia-Romagna”.
E non va certo nella direzione di una maggior tutela del territorio la realizzazione del “Passante di mezzo” approvato nel 2016 da ministero delle Infrastrutture, Regione Emilia-Romagna, Comune di Bologna, Città Metropolitana Bologna e Autostrade per l’Italia, e approvato il 27 dicembre del 2021 dal Consiglio comunale di Bologna e che prevede, come riportato nell’articolo de “Il Bolscevico” n°39/2022 de “Il Bolscevico”: “l’allargamento dell’attuale tangenziale e dell’autostrada che per un tratto saranno composte addirittura da 18 corsie, comprese quelle di emergenza, che scorreranno tutte parallelamente, 72 metri di larghezza, 25 ettari di territorio asfaltato, in un territorio, quell’Emilia-Romagna che è già il terzo in Italia per consumo di suolo, e la Pianura Padana che è già il luogo più inquinato d’Europa, e che vedrà un’emissione di 1850 tonnellate di C02 in più ogni anno. I lavori, che dovrebbero terminare entro 6 anni, prevedono una spesa di 1,5 miliardi di euro, più 250 milioni per gli interventi sulla viabilità di accesso, urbana ed extra urbana”, contro quest’ennesimo scempio ambientale il 22 ottobre dello scorso anno
si è svolta a Bologna una grande manifestazione popolare dove in 30.000 hanno sfilato sotto lo slogan “Convergere per insorgere”, presente anche il PMLI.
Il ripetersi di eventi alluvionali come quello di questi giorni in Emilia-Romagna dimostra ancora una volta come non siano più procrastinabili interventi volti a mettere in sicurezza i territori e le popolazioni. Secondo Legambiente i "danni causati dall’alluvione sono l’ennesimo monito che non possiamo più impermeabilizzare terreno vergine. Occorre insistere su opere di desigillazione in contesto urbano per ridare respiro alle città laddove possibile... Di fronte a precipitazioni sempre più intense, è fondamentale ridare spazio ai fiumi, ampliando gli spazi esondabili per favorire la laminazione naturale delle piene, evitando gli allagamenti in contesto urbano".
Anche secondo Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna: “Bisogna iniziare ad affrontare il problema con una visione almeno ventennale e non di rattoppo, e di conseguenza comportarsi... puntando sul rimboschimento "per trattenere l’acqua"… smettere di alzare gli argini e ampliare le casse golenali, creando spazi di laminazione tenendo conto che in un territorio fortemente antropizzato, cementificato il consumo di suolo zero deve essere davvero la priorità".
C’è da dire inoltre che le aumentate condizioni di rischio geologico, idrologico e idraulico sono conseguenza dei cambiamenti climatici, e questi sono noti da tempo, quindi ciò che prima poteva rappresentare evento di tipo nuovo ora è divenuto una consuetudine, pur palesandosi in zone, modalità e tempistiche diverse.
Per questo per il PMLI non sono più rimandabili una serie di provvedimenti volti ad adeguare la legislazione, gli investimenti e le strutture operative per la difesa e il risanamento dell'ambiente, per combattere il dissesto idrogeologico, la cementificazione selvaggia e il disboscamento, il consumo di suolo, l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del territorio. In particolare, come scritto tra l’altro nel Programma d’azione del PMLI occorrono: Piani straordinari per risanare e disinquinare i grandi fiumi, a partire dal Po, l'Arno e il Tevere, risistemare i loro alvei per favorire il normale scorrimento delle acque e la navigabilità, ripulire e ricoltivare la vegetazione sulle rive; ripopolare la fauna ittica. Piani straordinari per contenere il ripetersi delle piene e evitare le conseguenti alluvioni, impedendo l'escavazione selvaggia degli alvei, riallargando i corsi d'acqua "regimentati" e favorendo la loro espansione in aree adatte naturalmente o in casse di espansione artificiale, eliminando l'impermeabilizzazione del terreno, incrementando le aree protette alle foci e lungo i corsi dei fiumi. Interventi adeguati per piantare alberi nelle zone a rischio di valanghe e di frane.
Piani straordinari per contenere il ripetersi delle piene e evitare le conseguenti alluvioni, impedendo l'escavazione selvaggia degli alvei, riallargando i corsi d'acqua "regimentati" e favorendo la loro espansione in aree adatte naturalmente o in casse di espansione artificiale, eliminando l'impermeabilizzazione del terreno, incrementando le aree protette alle foci e lungo i corsi dei fiumi. Impedire nuovo consumo di territorio. Espropriare le terre incolte o abbandonate da almeno tre anni per realizzare attività agricole pubbliche sulla base delle necessità del territorio, ed assumendo innanzitutto i disoccupati locali, garantendo la parità fra donne e uomini. Riuscire a recuperare almeno quel 28% di territorio coltivato del nostro Paese che negli ultimi 25 anni è stato abbandonato, equivale anche a migliorare l'assetto idrogeologico dei territori sempre più a rischio di alluvioni, smottamenti e frane”.
Invece è palese l’incuria nella gestione idrogeologica del territorio da parte dei governi e degli amministratori regionali e locali che si sono succeduti negli ultimi decenni, anzi, l’abusivismo edilizio, l’onnipotenza dei palazzinari, i reiterati condoni edilizi che da decenni hanno promosso i vari governi, l’incuria e la cattiva amministrazione del territorio e dei corsi d’acqua hanno prodotto urbanizzazioni, cementificazioni, abbattimento di alberi, consumo di suolo, sfruttamento del suolo e dei letti dei corsi d'acqua per materiali edilizi, senza che fosse dato spazio agli interventi strutturali per mettere in sicurezza l'ambiente ed il territorio. Così a farne le spese, come sempre, sono le masse popolari che vedono il loro territorio, le loro case e le loro attività produttive colpite periodicamente e violentemente da frane e allagamenti.
Le responsabilità principali ricadono quindi sul regime capitalista che tramite le amministrazioni locali, regionali e centrali borghesi finanzia progetti speculativi e redditizi per i potentati economici e politici ad essa confacenti e non sulla base degli interessi comuni di sicurezza, benessere e rispetto del territorio.
“Il Bolscevico” n°44/2022 denunciava: “Conferenza ONU sul clima a Sharm el-Sheik. Cop 27, ennesimo nulla di fatto contro il gas serra. Il Pianeta costretto al baratro climatico dal capitalismo”. In tale articolo denunciavamo: “Nulla potrà cambiare perdurando il capitalismo, perché sono il sistema di produzione, lo sfruttamento ad oltranza delle risorse che non vengono gestite nell'interesse pubblico, la rapina attraverso la quale i capitalisti si appropriano delle risorse naturali e le sprecano nell'esclusivo nome del profitto mentre affamano popoli interi e li condannano alla fame e alla migrazione, ad essere il cancro economico, sociale e ambientale della Terra e dell'umanità… la battaglia per l’ambiente (così come tutte le altre che hanno temi sociali), non può rimanere imprigionata in questo modello economico che mette in secondo piano l'ambiente stesso, il clima, l’inquinamento e la salute pubblica, rispetto agli interessi privati dei colossi multinazionali dell’energia, dell’acqua e dei rifiuti poiché, perdurando il capitalismo, si ripeteranno nella sostanza e magari con tendenze alterne in base allo sviluppo delle mobilitazioni e delle lotte che le popolazioni saranno in grado di imbastire, gli accordi di Parigi o poco più, pomposi ma di facciata, poiché inutili e inapplicati, e mai risolutivi”.
10 maggio 2023